Eliana De Sanctis | A dispetto di quelle credenze comuni che vedono nella commemorazione dei defunti una pratica d’amore, il rito del 2 novembre ha una simbologia spirituale più complessa. In qualità di ricorrenza cristiana risale al IX secolo, quando l’abate benedettino Odilone di Cluny decise di ufficializzare una pratica diffusa già da duecento anni che consisteva nel dedicare un intero giorno alla preghiera per i morti.
Il concetto di “morte” appare all’inconscio come un qualcosa di stratificato, un’entità dagli innumerevoli volti. Molte scienze dedicano ricerche a questo fenomeno tanto naturale quanto esoterico, a metà tra il mondo delle cose comuni e quello inviolato dell’aldilà. La più antica è la filosofia, che si distinse tra i saperi dell’epoca classica per spiegare in senso netto il perché della vita e della sua fine.
Tra i suoi rappresentanti, una lettura di ampio respiro è offerta dal napoletano Ernesto De Martino. Vissuto tra il 1908 e il 1965, si laureò presso l’ateneo federiciano e si interessò da subito allo studio dei gruppi etnografici. Compì diversi viaggi tra le terre primitive del Meridione del primo Novecento, una realtà rimasta incorrotta dalle idee e tecniche progressiste che imperversavano in Occidente e che restituiva un’immagine dell’umanità al pari di quella dei popoli amerindi agli occhi dei colonizzatori. Le abitudini, le relazioni, le credenze si fondavano su convinzioni infantili, l’idea che una forza incontrollabile avesse il potere di intervenire sugli eventi faceva da spina dorsale a questi “mondi culturali”.
La forma sotto cui questa forza si manifestava era la magia, il mezzo attraverso il quale compiva i suoi benefici era il rito. De Martino dedicò notevole attenzione allo studio del rito, accorgendosi come riguardasse qualsiasi sfera della vita umana, dagli espedienti per garantire le nascite, funzioni religiose per ricevere grazie, pratiche per spergiurare la morte. Al tema della morte come fenomeno antropologico De Martino riservò uno libro, composto nel 1958, dal titolo Morte e pianto rituale. Il filosofo osserva la stretta relazione che esiste tra morte e pianto, il quale finisce con il diventare un istituto magico funzionale a trasformare l’evento luttuoso in un atto di culto. L’istinto verso la morte è di repulsione e rigetto, ma la possibilità di intenderla come un fatto culturale accompagnato da riti specifici, aiuta la comunità a civilizzarlo e integrarlo. De Martino nota come l’essere umano sia incapace di gestire la morte come fatto gratuito e senta la necessità di giustificarlo come fenomeno civile.
Il sottotitolo del libro è Dal lamento funebre antico al pianto di Maria, che sottintende un confronto tra mondo pagano e cristiano e la rispettiva visione della morte. Nella cultura greca vi era una generale accettazione del lamento funebre rituale, per quanto se ne preferisse un’esecuzione privata e una ripulitura del popolare threnos in forme letterarie più alte, come la tragedia. Nell’antica Roma il lamento popolare era chiamato nenia, quello colto laudatio. Nel rito seguiva a una funzione detta conclamatio che consisteva in un bacio che raccoglieva l’ultimo respiro esalato dal defunto. Israele al contrario accoglieva le manifestazioni popolari del lamento tanto da formare lamentatrici professioniste da ingaggiare per eventi luttuosi.
La crisi del formulario funebre pagano arriva con il Cristianesimo. In un passo del Vangelo di Matteo Gesù risuscita la figlia del capo della sinagoga respingendo le lamentatrici e svilendo lo status ontologico di morte a quello di sonno («Non è morta, dorme»). Si intravede l’allegoria sul rigetto della morte e l’affermazione della vita, attuata definitivamente nel compito messianico di Gesù. Dalla morte fisica il cordoglio si sposta sulla morte morale, la caduta nel peccato. La fede cattolica abolisce il lamento per la morte di Cristo, considerata passaggio essenziale per la sua opera di salvezza. Contemporaneamente respinge il pianto per la morte umana, trasformata in sonno in attesa della risurrezione.
La tradizione patristica cercherà di mantenersi fedele a questa rinnovata concezione della morte con pratiche più sobrie come la lettura di Salmi. Tuttavia l’elemento folkloristico sopravvive tant’è che la Chiesa se ne servirà a fini pedagogici con la creazione della Mater Dolorosa, l’effige della Madonna Addolorata. De Martino precisa che biblicamente non v’è riscontro di una descrizione del pianto di Maria. L’immagine ricurva e affranta che domina l’immaginario collettivo diviene l’intermezzo magico per cui il credente riesce a riconciliarsi con Cristo, purificarsi dei propri peccati e risorgere con Lui.