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Trump, i dazi e l’UE che non cambia | #4WD

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Daily 4ward di Davide Conte del 9 novembre 2024



Circola su WhatsApp un nutritissimo ed esilarante elenco delle principali fandonie propinate fino a martedì scorso da esponenti italiani di centrosinistra a vario titolo (giornalisti, politici, opinionisti, economisti o semplici millantatori prezzolati dell’ultim’ora) per tentare di convincere il prossimo sul fatto che Donald J. Trump non avesse alcuna possibilità di vittoria contro Kamala Harris, indicata a furor di popolo quale novella paladina americana (e non solo) della libertà, della democrazia e del buon governo, in testa a tutti i sondaggi (manco a dirlo), pronta a salvare il mondo alla guida degli Stati Uniti col suffragio incondizionato di donne, immigrati, celebrities e chi più ne ha più ne metta.Dopo lo schiacciante successo del tycoon, il focus dei più si è spostato sulle inevitabili -a loro giudizio- conseguenze di tale risultato elettorale. Eccoli, quindi, a scrivere a più mani una sorta di nuovo libro dell’Apocalisse, con un neo-eletto presidente che oltre alla sua proverbiale immoralità, porterebbe con sé conseguenze nefaste, quali: la Palestina rasa al suolo da Israele in men che non si dica, l’economia mondiale e i mercati finanziari a picco, la Russia e la Cina nuove nazioni-padrone del mondo, l’appoggio alla supremazia di Putin per schiacciare Zelensky, l’aumento vertiginoso del contributo alle spese di difesa a carico degli alleati NATO, i rapporti transatlantici e le democrazie liberali in gravissimo pericolo, l’economia europea e i p.i.l. dei paesi membri in caduta libera a causa dei dazi e del protezionismo invocati da Trump.Specialmente a proposito di questo ultimo punto si sono espresse anche persone di insospettabile e abituale moderazione, qualcuno richiamando anche il principio smithiano secondo cui il benessere di un paese aumenta proporzionalmente a quello degli omologhi con cui commercia, che favorì sì l’abolizione dei dazi doganali nel 1968, ma -va ricordato- nei soli stati membri dell’Unione Europea.
La risposta, a mio giudizio, l’ha data forte e chiara Mario Draghi, che nell’ambito della presentazione del suo Rapporto sulla Competitività UE a Budapest, ieri ha affermato che è l’Europa a dover cambiare passo, ritrovando uno spirito ed una strategia di negoziazione unitari in luogo della spasmodica, inutile ricerca dell’unanimità e privilegiando l’assunzione delle decisioni più importanti in luogo di crescita e sviluppo sempre minori e talvolta stagnanti. Vivaddio!
Io, personalmente, comincio ad augurarmi che Trump riesca innanzitutto a fermare il conflitto in Ucraina, favorendo in tal modo il riallaccio dei rapporti tra UE e Russia e il ritorno ad una diplomazia serena e a un luxury incoming di fondamentale importanza anche per l’isola d’Ischia. Altro che embargo e negazionismo: meno chiacchiere e più fatti!

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