Incontriamo il consigliere comunale di Ischia Carmen Criscuolo per discutere della recente attenzione sul tema della violenza sulle donne. Un argomento che conosce bene e su cui lavora costantemente, in vista del 25 novembre. In queste settimane, sull’isola, abbiamo registrato diverse notizie di cronaca. Una di queste riguarda una coppia di coniugi, il cui rapporto è terminato con una denuncia e l’adozione del braccialetto elettronico per uno dei due partner. Inoltre, sul nostro giornale, abbiamo riportato lo sviluppo di un processo presso il Tribunale di Ischia relativo a un caso di violenza contro le donne.
– Partiamo dalla questione culturale. Mi sembra di capire che la violenza di genere si origina da una certa visione della società. A che punto siamo arrivati?
«La similitudine tra questi episodi, come molti altri del passato, è che spesso c’è un compagno, sovente un ex, che non accetta la decisione della donna di terminare la relazione. Questo lo destabilizza perché percepisce la donna come un possesso e non può tollerare l’abbandono. Inoltre, molti uomini dipendono eccessivamente dalle loro partner, sia per abitudini familiari, passando da una madre a una moglie, sia per la mancanza di una figura femminile durante la crescita. Qualunque sia il motivo, il punto centrale è che alcune persone non riescono ad accettare l’allontanamento volontario della donna dalla loro vita. Questo fenomeno non si può considerare una manifestazione d’amore, ma piuttosto di possesso; si tratta di una forma estrema di non accettazione delle conseguenze di un allontanamento. Si parla quindi di un problema culturale che non distingue tra classi sociali, educazione o formazione. In qualsiasi tipo di coppia, indipendentemente dal livello sociale o dalle competenze del partner maschile, può emergere questo tipo di reazione. È qualcosa più legato alla sfera intima e al modo in cui la relazione viene vissuta.
È interessante notare come alcune persone subiscano delle trasformazioni nel loro comportamento, e come le donne spesso impieghino molto tempo per riconoscere la vera natura di questi uomini. Ci si chiede se effettivamente queste persone siano sempre sembrate rispettose e tranquille, per poi cambiare improvvisamente comportamento. È legittimo avere alcuni dubbi su tali eventi. Una vicenda in particolare ci induce a riflettere e la collego ad un altro evento di cronaca, pur essendo del tutto diverso. Dobbiamo comunque ricordare che non possiamo entrare nella vita privata delle persone. Vorrei anticipare qualcosa che avremmo detto più avanti riguardo all’evento del 25 novembre. Spesso mi viene chiesto quale sia l’utilità di questi incontri. Probabilmente organizzeremo un corteo con le scuole. Alcune persone pensano che tutto si svolga solo in quella giornata, ma non è così. Queste giornate rappresentano un momento di comunità in cui manifestiamo insieme e portiamo al pubblico i nostri messaggi. Tuttavia, queste giornate sono il risultato di un lavoro continuativo fatto nel tempo attraverso incontri e discussioni. Il modo in cui le donne affrontano queste problematiche è cambiato radicalmente.
CONFRONTO E SOSTEGNO RECIPROCO
«Un tempo, la violenza domestica era considerata una questione privata da trattare all’interno delle mura domestiche. Ad esempio, persino i genitori, come una madre che notava segni di violenza sul volto della figlia, venivano ammoniti dal marito con frasi del tipo “sono affari loro, è la loro vita, è la loro casa”. Era come se una volta che una donna si sposava o iniziava una convivenza e formava un nucleo familiare, tutto ciò che accadeva all’interno di quelle mura dovesse rimanere lì. Ai figli non poteva essere chiesto nulla riguardo a questi tabù, e non si poteva parlare con un minore. Alla donna non si poteva dire nulla e la donna a sua volta non parlava. Raccontare all’esterno quello che succedeva con il marito era considerata una violazione dell’intimità familiare e anche motivo di imbarazzo. Oggi invece il tema è diventato meno tabù, o meglio si sta cercando di renderlo tale.
Si cerca di far capire alle donne che subire violenza non significa aver commesso errori nella relazione o con i propri figli. È in corso un dialogo nelle scuole, anche con i bambini più piccoli, per spiegare loro che le manifestazioni di violenza viste in casa non rappresentano la normalità, ma che è importante educare gli uomini del futuro. Se non interveniamo, la situazione non cambierà domani mattina. Pertanto, siamo entrati nelle abitazioni private per far sì che la donna si senta a suo agio nel parlare della sua situazione. L’obiettivo è permetterle di rendersi conto che, forse, anche un’amica che non ha mai parlato per vergogna potrebbe vivere una situazione simile alla sua. Questo confronto permette di creare opportunità per il sostegno reciproco. Inoltre sensibilizziamo i cittadini, i vicini, gli amici e i conoscenti sull’importanza di parlare e intervenire in questi casi, laddove prima potevano sentirsi quasi giustificati nel rimanere in silenzio. Non entro nelle questioni familiari personali. Tuttavia, oggi, se si osserva e non si denuncia, si è complici di chi commette l’atto. Pertanto, è essenziale promuovere un tipo di comunicazione che incoraggi ogni donna a denunciare situazioni di abuso. Non credo che i casi di femminicidio siano effettivamente aumentati negli ultimi anni come spesso sento dire».
– Infatti non penso che il fenomeno sia aumentato, sono aumentate le denunce e gli episodi che vengono portati all’esterno, sono aumentate le condanne e le misure cautelari anche grazie a riferimenti normativi che hanno portato ad accelerare i provvedimenti. E’ così?
«Non si è trattato di un virus che ha trasformato gli uomini. C’è stato un processo di comunicazione e di esternazione dei problemi domestici che oggi ci aiuta notevolmente. Continuiamo il nostro viaggio analizzando i fatti. I recenti eventi di cronaca hanno purtroppo visto coinvolte due donne. Discutendo di questa società in evoluzione, emerge che il fenomeno è sempre esistito. Tuttavia, grazie al maggiore dialogo, questi casi stanno emergendo con più frequenza».
GLI STRUMENTI A DIFESA DELLA VITTIMA
Le faccio una domanda da consigliere e anche da avvocato. Sono tanti i casi che abbiamo raccontato e bisogna anche dire che lo Stato, in qualche modo, sta facendo dei passi in avanti. Quando finisce un rapporto, molto spesso, finisce sempre con lui che chiama “troia e puttana” lei, quando non c’è violenza fisica; poi c’è la fase della violenza di comunicazione e con messaggi WhatsApp fino ad arrivare a fenomeni più gravi, come quelli che sono le vere e proprie violenze fisiche. Nel 2024 quali sono le armi con cui le donne possono combattere per difendersi?
«Oggi esistono fortunatamente rimedi concreti e rapidi per aiutare le donne. In passato, uno dei fattori che bloccava le donne era il pensiero delle conseguenze della denuncia. Dopo una denuncia, l’ex partner veniva informato e ascoltato, il che poteva portare a un aumento di comportamenti violenti da parte sua. Questo timore scoraggiava dal denunciare. Oggi, grazie alla presenza dei centri antiviolenza sul territorio, si sta fornendo un’assistenza sempre più attenta e precisa. La persona che entra in un centro viene seguita dal momento della denuncia fino al processo, attraverso un percorso integrato con assistenti sociali, avvocati, psicologi e forze dell’ordine. Gli assistenti sociali accompagnano la persona negli incontri con le forze dell’ordine e altri professionisti coinvolti. Inoltre esistono strumenti normativi che permettono un contatto diretto tra la persona e le forze dell’ordine, migliorando l’efficacia degli interventi. In passato era sempre consigliato farsi accompagnare da un legale quando si doveva sporgere una denuncia, per ricevere assistenza nella redazione della stessa.
Oggi, grazie all’istituto dell’ammonimento del Questore, nasce un contatto diretto tra la vittima di violenza e le autorità. Questo riguarda quelli che vengono chiamati reati spia, ovvero quei reati che ancora non hanno avuto un esito drammatico, ma che oggettivamente sono provati. Questi reati sono stati classificati in quanto possono portare a conseguenze gravi. Di conseguenza, viene data la possibilità alle donne di denunciare direttamente alle forze dell’ordine, che possono attivare un procedimento più rapido. Il Questore o l’agente che raccoglie la denuncia può rivolgersi immediatamente all’autorità giudiziaria, che entro tre giorni emette un provvedimento, come l’allontanamento dalla casa familiare. Recentemente, abbiamo osservato l’applicazione del cosiddetto braccialetto elettronico che porta a risultati concreti nella protezione delle donne. Questo dispositivo offre una vigilanza effettiva: viene attivato quando viene violata una restrizione di avvicinamento alla vittima. In tal caso, il braccialetto invia immediatamente un segnale alle forze dell’ordine, consentendo loro di intervenire prontamente. Di conseguenza, aumenta la sensazione di sicurezza e le donne possono presentare denuncia con maggiore serenità».
CAMPANELLI D’ALLARME
– Spesso, quando si parla di violenza di genere o di violenza sulle donne, si tende a dimenticare che tutto ha origine da una relazione che inizialmente sembrava amorosa, ma che progressivamente si è trasformata in un rapporto tossico. In questo contesto è importante riconoscere come tali dinamiche possano evolvere nel tempo. Lei ha seguito anche diversi casi. C’è una gradualità delle reazioni, ovvero quando finisce il rapporto c’è sempre uno che sta male e un altro che, magari, reagisce diversamente. Ecco, è necessario valutare bene quelle che sono le denunce, perché, magari ci troviamo a denunciare solo uno che sta soffrendo d’amore?
«È necessario fare una distinzione adeguata per evitare che lo strumento venga abusato anche dalla presunta vittima. Bisogna prestare attenzione a cosa si denuncia, poiché in fase di separazione si possono esagerare comportamenti o reazioni dell’uomo per ottenere un vantaggio nella separazione. Questo strumento è fondamentale per la libertà e tutela delle donne vittime di violenza, ma non deve essere strumentalizzato. In caso di fine di una relazione, è normale che ci siano manifestazioni eccessive da parte di chi soffre, ma devono essere valutate con attenzione. Qual è la differenza tra inviare un messaggio di troppo piuttosto che tentare di recuperare il rapporto andando a bussare alla porta della persona che ha lasciato? Non bisogna confondere la reazione di una persona che sta soffrendo per amore con una persona che potrebbe essere pericolosa. Normalmente, la pericolosità nei rapporti problematici emerge all’interno della relazione stessa. Spesso si nota che una persona può mostrare comportamenti pericolosi già mentre ci si avvia verso la rottura del rapporto. È importante prestare attenzione ai campanelli d’allarme e osservare i comportamenti successivi alla fine della relazione».
IL REDDITO DI LIBERTA’
– Non è la prima intervista su questo argomento. In passato ci siamo trovati spesso a discutere della necessità per le donne, dopo una denuncia, di lasciare la propria abitazione e ottenere un’autonomia economica. Questo è importante soprattutto in famiglie dove solo una persona lavora. È fondamentale accompagnare le donne anche dopo la denuncia, per evitare che restino vulnerabili fino al processo…
«Oggi è importante riconoscere i progressi compiuti, soprattutto il ruolo dei centri antiviolenza. I centri antiviolenza svolgono una doppia funzione: aiutare la donna a iniziare il percorso e accompagnarla grazie all’assistenza delle assistenti sociali, alla rete di sportelli e a tutte le figure professionali che operano in questo settore. Le donne vengono seguite in un percorso di ricostruzione della propria vita. Molte non denunciano gli abusi perché non sono autosufficienti economicamente e si trovano spesso con figli a carico o come componenti della coppia senza figli ma dedite alla famiglia. In alcuni casi, l’uomo può aver esercitato un potere economico su di loro, spingendole a lasciare il lavoro per dedicarsi alla famiglia.
Quando una donna si trova senza un compagno di vita, senza casa e senza denaro, interviene il centro antiviolenza. Nei casi più gravi, le donne possono essere trasferite in case rifugio sicure, come quella di Marano e altre sul territorio campano. Questi luoghi offrono protezione e aiutano le donne a separarsi fisicamente dai loro aggressori. Stiamo lavorando per assicurare che le donne vittime di violenza abbiano accesso prioritario a opportunità di impiego e possano richiedere il reddito di libertà. Esistono diverse soluzioni che offrono assistenza finanziaria immediata e la possibilità di beneficiare del supporto di una persona dedicata al monitoraggio e all’aiuto nello studio dei figli, nel caso in cui essi siano destabilizzati a causa delle mutate circostanze. Con il Centro per l’impiego stiamo cercando di trovare un modo per garantire opportunità lavorative alle donne vittime di violenza. Non è sufficiente fornire assistenza economica immediata; è necessario offrire loro la possibilità di raggiungere l’autosufficienza e ripristinare le abilità che hanno perso».
SOCIETA’ IN EVOLUZIONE
– Abbiamo focalizzato il momento su quelle che sono le risposte dello Stato e quelle che stanno dando anche le amministrazioni con il centro antiviolenza di Ischia, che ricordiamo è fisicamente raggiungibile in Via Morgioni ma in modalità telefonica anche h24. La nostra società si trova a fare i conti con tanti cambiamenti e oggi si trova a muso duro davanti alla violenza contro le donne o di genere come denunciano le comunità LGBTQ, ma anche dinanzi a tanti altri comportamenti che sono accettati. Secondo lei dove stiamo andando? Questa è una domanda che esula dalla violenza sulle donne.
«Stiamo cercando di adattarci rapidamente ai cambiamenti della società. Abbiamo assistito alla trasformazione da una struttura familiare patriarcale a una più flessibile, con l’affermazione dei diritti delle donne e altre nuove dinamiche sociali. Questo cambiamento crea difficoltà, soprattutto per i giovani che vivono in una società in rapida evoluzione. Come cittadini e come amministratori, dobbiamo supportare i ragazzi in questa transizione, aiutandoli a comprendere che la libertà e il rispetto per gli altri sono fondamentali, ma devono essere vissuti nel rispetto delle regole comuni. È essenziale lavorare su questo aspetto, coinvolgendo scuole e famiglie, poiché hanno un ruolo cruciale nell’educazione dei giovani».