Oggi ad Ischia, in Piazza Antica Reggia e con inconsueto anticipo, gli operai della ditta incaricata stavano smontando le luminarie di Natale. Evviva, mi verrebbe di esclamare, nella felicità che ormai quasi sicuramente non assisteremo al ripetersi di quell’assurda quanto ingiustificata permanenza ben oltre l’Epifania del 2024, aggiungendovi peraltro l’ampio anticipo con cui quest’anno tali addobbi sono stati installati rispetto alla rituale scadenza dell’Immacolata. Ma evito di gioire, perché la considerazione da porre è un’altra e non riguarda certo la qualità degli stessi, fritti e rifritti in una ormai rituale rotazione tra i vari Comuni e, a quanto pare, sempre con lo stesso fornitore (ma guarda…).
Ora che è ufficialmente terminato il periodo delle feste natalizie, molti negozi, bar, ristoranti e i pochi alberghi già aperti tornano a chiudere i battenti e, con loro, l’isola d’Ischia e noi isolani torniamo in quel pericoloso torpore invernale che in linea con i primi veri freddi ci portano ad accentuare ogni nostro limite -non solo mentale- verso tutto quel che ci riguarda, direttamente o indirettamente.
Fino a quando il bel tempo non tornerà a fare capolino dalle nostre parti e, con il weekend pasquale, scatterà l’illusoria partenza di una stagione turistica sempre più breve (per la cronaca, la Resurrezione quest’anno si festeggerà domenica 20 aprile), resteremo ancor più arrovellati nei nostri pensieri, nei nostri timori e nel nostro modo consuetamente asettico, autoreferenziale, menefreghista e anche alquanto incompetente di riflettere sul perché il nostro sistema economico locale continua a perdere colpi senza che nessuno di noi, sia nel pubblico che nel privato, lanci un grido di dolore all’insegna di un tentativo concreto di migliorare -non dico risolvere- questo stato di cose.
La verità è una sola: Ischia intera sta affrontando una crisi economica che sembra inghiottirla in un circolo vizioso. La mancanza di reattività da parte della sua popolazione, imprenditoria compresa, è evidente, così come la passività con cui noialtri affrontiamo le sfide d’ogni genere è preoccupante. In un contesto in cui l’economia locale è storicamente ed essenzialmente basata sul turismo, la difficoltà di adattarsi ai cambiamenti globali e la mancanza di diversificazione dell’offerta si sono tradotti in una stagnazione che appare inevitabile e che tocca ognuno dei nostri gangli sociali.
Ancora troppi preferiscono restare ancorati a modelli obsoleti, incapaci di cogliere le opportunità offerte dalle nuove tecnologie o da una gestione più integrata e sostenibile delle risorse, con una politica locale fin troppo inefficace e concentrata su interessi di parte piuttosto che sulla promozione di strategie inclusive. Intanto, la nostra ex-splendida realtà rischia di perdere definitivamente la sua identità, non solo economica. Per quanto ancora riusciremo a resistere?