E’ andata male al Ristorante da Cocò di Ischia Ponte nel contenzioso con il Comune d’Ischia per l’occupazione abusiva di un’area demaniale sul Piazzale Aragonese e la relativa somma da versare. La querelle si è trascinata fino in Cassazione e la Prima Sezione civile della Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso che chiedeva la riforma della sentenza d’appello, in parte favorevole all’Ente.
Nel 2010 i carabinieri e il Comune avevano accertato l’occupazione abusiva e di qui la società Ristorante da Cocò di Di Meglio Salvatore & C. s.n.c. citava l’Ente dinanzi alla Sezione Distaccata di Ischia «chiedendo accertarsi e dichiararsi che l’area di mq 406,00 ubicata in Ischia, al Piazzale Aragonese, prospiciente l’esercizio di ristorante all’insegna “Da Cocò”, non era occupata abusivamente, nonché chiedendo dichiararsi non dovuto l’importo di euro 49.451,00 richiesto dal Comune di Ischia con nota del 26.11.2010, a titolo di indennità per occupazione abusiva di suolo demaniale, anche a fronte del canone di circa euro 19.000 che l’attrice, a partire dal 2001, aveva corrisposto annualmente all’Ente».
A sostegno, evidenzia che «non ricorreva alcuna occupazione abusiva delle aree in questione poiché la società era titolare delle autorizzazioni amministrative (mai revocate) e, comunque, aveva presentato istanze di sanatoria, “allo stato non definite” e, inoltre, perché, per le stesse aree, la società aveva provveduto regolarmente a versare, ogni anno, il canone di occupazione dovuto, i cui importi erano stati introitati dal Comune di Ischia, senza alcuna contestazione».
Dopo una consulenza tecnica, il giudice della Sezione Distaccata aveva accolto la richiesta della società, dichiarando «che l’area di mq 406,00 ubicata in Ischia, Piazzale Aragonese, prospiciente l’esercizio di ristorante all’insegna “Da Cocò”, non era occupata abusivamente; in conseguenza di tale accertamento dichiarava non dovuto l’importo di euro 49.451,00 richiesto dal Comune di Ischia a titolo di indennità per occupazione abusiva di suolo demaniale, anche in virtù del fatto che erano state corrisposte le somme richieste dall’ente impositore a partire dal 2001».
LE DUE TERRAZZE ABUSIVE
Il Comune proponeva appello e nel 2018 la Corte lo accoglieva parzialmente, dichiarando che «l’area di mq. 224,50 mq. prospiciente l’esercizio di ristorante con insegna “Da Cocò” e di cui al verbale di contestazione del 15 ottobre 2010 della Legione Carabinieri di Ischia, non era occupata abusivamente dalla società Ristorante da Cocò di Di Meglio Salvatore & C. s.n.c.; la restante area di mq. 181,50 era abusivamente occupata dalla predetta società; in relazione a tale minore superficie andava adeguata la pretesa creditoria del Comune di Ischia avanzata con la nota protocollo del 26 novembre 2010».
I giudici di secondo grado osservavano che «la cd. terrazza 3 (di mq.137,17) non era oggetto di istanza di condono ed era certamente abusiva e priva di titolo autorizzativo. In ordine alla cd. terrazza 2 di mq. 44,33, in relazione alla quale la società aveva presentato in data 10-12-2004 istanza di condono edilizio, non ancora definita, la Corte di merito escludeva l’applicabilità alla fattispecie del regime sospensivo previsto dal combinato disposto degli artt. 38 e 44 della legge n. 47/85, poiché la richiamata sospensione era limitata alle sanzioni per abusi edilizi, mentre nel caso concreto si controverteva di occupazione di fatto di demanio comunale e della debenza del corrispondente canone, ossia di un procedimento autonomo e indipendente rispetto a quello avente ad oggetto sanzioni per abusi edilizi». Proprio sulle due “terrazze” si è dibattuto nel prosieguo del contenzioso.
LA PRETESA CREDITORIA DEL COMUNE
Due i motivi del ricorso per cassazione avanzato dalla società titolare del ristorante, difesa dall’avv. Bruno Molinaro, mentre il Comune era rappresentato dall’avv. Gioacchino Celotti.
Con il primo motivo, pur trattandosi appunto di occupazione di area demaniale e non di “semplici” lavori abusivi, come rilevato dalla Corte di Appello, è stata invocata la sospensione di ogni sanzione in presenza dell’istanza di sanatoria. Censurando «“in ordine all’avvenuto riconoscimento, in parziale accoglimento dell’appello principale, della natura abusiva dell’occupazione della “terrazza 2” (mq 44,33) oggetto di domanda di condono edilizio”, la violazione degli artt. 32, 38 e 44 Legge 47/1985 e dell’art. 32 Legge 326/2003, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.. Deduce che la pendenza dell’istanza di sanatoria circa l’occupazione della “terrazza 2” ha determinato un effetto sospensivo in base alle norme suindicate, come da giurisprudenza amministrativa richiamata, e che anche il canone per occupazione abusiva doveva ritenersi un provvedimento sanzionatorio perché il canone richiesto era di gran lunga superiore a quello normalmente preteso per l’occupazione di un’area demaniale».
La norma invocata stabilisce che «“per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà di enti pubblici territoriali, in assenza di titolo abilitante al godimento del suolo, il rilascio della sanatoria edilizia è subordinata alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente l’uso del suolo su cui insiste la costruzione” e, ad avviso della ricorrente, il Comune di Ischia aveva manifestato il proprio consenso implicito a riconoscere alla ricorrente la disponibilità dell’area, per non essersi l’Ente espresso sull’istanza di disponibilità, oltre che su quella di condono edilizio». Un “silenzio assenso”, in sostanza.
La seconda censura riguarda il Regolamento comunale per l’occupazione di spazi pubblici. Lamentando «“in ordine all’avvenuto riconoscimento in favore del Comune di Ischia del potere di adeguare la pretesa creditoria avanzata con la nota prot. 385/2010”, la violazione dell’art 115 c.p.c., ai sensi dell’art.360 comma 1 n. 4 c.p.c., per avere la Corte di merito disposto la mera riduzione della somma dovuta. Lamenta l’omesso tempestivo deposito del regolamento comunale per l’occupazione abusiva di spazio comunale e assume di avere rilevato tale omissione con la comparsa di risposta. Inoltre si duole dell’omessa valorizzazione degli importi già versati per l’occupazione di area pubblica regolarmente detenuta, che assume siano state incamerate dal Comune a totale soddisfazione delle sue pretese creditorie».
Per la società ricorrente «la Corte di merito ha sorprendentemente posto a fondamento della propria decisione, sul punto, il regolamento comunale per l’occupazione dello spazio pubblico mai richiamato né depositato agli atti del primo giudizio, così consentendo al Comune di Ischia di rideterminare gli importi da riscuotere senza nemmeno tener conto di quanto da quest’ultima regolarmente corrisposto».
AFFERMAZIONI PRIVE DI RISCONTRO
Entrambi i motivi sono stati ritenuti inammissibili.
Nel primo caso, hanno rilevato i giudici di legittimità, «la ricorrente si limita a riproporre le deduzioni espresse nel giudizio di appello, senza confrontarsi compiutamente con la motivazione della sentenza impugnata. In particolare va osservato che la pretesa del Comune riguarda la debenza del canone di occupazione di suolo demaniale e i giudici di merito hanno accertato, in fatto, che l’occupazione è sine titulo, con riferimento all’area di mq. 181,50. Come correttamente affermato dalla Corte di merito, che ha rimarcato lo specifico oggetto della suddetta pretesa e quindi del contendere, non si verte affatto in ambito di poteri sanzionatori del Comune e relativi provvedimenti e le norme invocate in ricorso sono del tutto inconferenti, così come lo sono le deduzioni, tra l’altro espresse in modo non lineare e chiaro, circa l’asserito consenso implicito del Comune a consentire la disponibilità dell’area e circa la rilevanza della sanatoria edilizia chiesta nel 2004, mai perfezionata secondo quanto espone la stessa ricorrente e, peraltro, non solo concernente bene demaniale, come stigmatizzato dalla Corte territoriale, ma anche riguardante solo la limitata porzione di mq. 44,33». Infatti la cosiddetta “terrazza 3” non era oggetto di istanza di condono.
Generica per la Corte la seconda censura: «La ricorrente lamenta la mancata detrazione dal dovuto di importi che assume regolarmente corrisposti, senza nulla precisare sul punto, ossia senza indicare quando, come e a quale titolo siano stati effettuati i suddetti versamenti, di cui neppure è specificata l’esatta entità. Parimenti del tutto generica, in quanto priva di ogni riferimento a dati o documenti di riscontro, è l’affermazione della ricorrente secondo cui i suddetti versamenti avevano determinato la “totale soddisfazione” delle pretese creditorie del Comune».
Ancora: «La censura difetta di autosufficienza circa la lamentata mancata produzione del regolamento comunale, poiché nella sentenza impugnata non vi è menzione di detta questione e nel ricorso non è indicato quando e come sia stata svolta nei giudizi di merito la relativa contestazione, ma si afferma solo, genericamente, che tale omissione era stata eccepita nella “comparsa di risposta”».
Alla luce di questa pronuncia, inevitabile la condanna al pagamento delle spese di giudizio: 5.200 euro.