mercoledì, Febbraio 5, 2025

Abusi nell’hotel alla Scannella, la Cassazione conferma il sequestro

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Dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla titolare. Il decreto emesso dal gip ad aprile era stato confermato dal Tribunale in funzione di riesame. Il collegio ha rilevato la correttezza del provvedimento alla luce della natura delle opere abusive realizzate, non rientranti nella “minima entità” e non realizzate in epoca risalente. Ritenute irrilevanti le tesi difensive

Restano sotto sequestro le opere abusive realizzate nell’ambito dell’Hotel Club Scannella a Panza. La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha infatti ritenuto inammissibile il ricorso presentato dalla titolare della società proprietaria della struttura ricettiva, come richiesto peraltro dal pubblico ministero. Il decreto di sequestro preventivo era stato emesso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli il 30 aprile 2024 e aveva ad oggetto «le opere insistenti nell’area in cui si trova l’Hotel Club Scannella, in località Scannella-Forio d’Ischia, nell’ambito del procedimento relativo alle violazioni della normativa edilizio-urbanistica ed ambientale». Un provvedimento scaturito dalle attività antiabusivismo condotte dalle forze dell’ordine sul territorio.

In sede di riesame, il 16 maggio il Tribunale aveva confermato il sequestro ed è proprio questa ordinanza ad essere stata impugnata con esito negativo.
Il ricorso era fondato su due motivi, ad iniziare dalla violazione di legge e vizio di motivazione «quanto alla conferma del sequestro della struttura turistico-ricettiva, gestita dalla MIDA s.a.s.». Contestando una serie di presunti errori.

L’IMPOSSIBILITA’ DI CONDONO

Si censurava «il travisamento in cui il Tribunale era incorso ritenendo che le opere fossero allocate nella particella 65 in cui si trova la struttura, mentre le uniche contestazioni di opere nell’ambito della struttura riguardavano interventi effettuati in epoca risalente, con provvedimenti già definiti (sul punto, si invoca il principio del ne bis in idem)».
Ancora si evidenziava che, «quanto alle altre opere oggetto di sequestro, la struttura non aveva subito modifiche né era stata da queste interessata sul piano funzionale (tale circostanza era stata già evidenziata in altro procedimento); altrettanto era a dirsi quanto alle opere relative ad un tracciato stradale che “non attengono alla struttura e non sono oggetto della procedura di riesame”».

La consulenza tecnica, inoltre, «non aveva spiegato le ragioni della ritenuta illegittimità e della impossibilità di ottenere concessione in sanatoria». In replica ad altra contestazione, pure si lamentava che il Tribunale fosse incorso in errore, «essendo lo smaltimento inattivo dato che non era ancora iniziata la stagione turistica». Nel secondo motivo si puntava il dito sulla contestazione concorsuale dei reati, essendo tra l’altro quello di violazione di sigilli ascrivibile a solo altro coindagato. Il Procuratore Generale ha sollecitato come detto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, «per il carattere reiterativo e comunque manifestamente infondato delle doglianze formulate».

ORDINANZA MOTIVATA

In premessa il collegio della Suprema Corte ha voluto evidenziare la tardività della memoria di replica, «trasmessa dalla difesa senza il rispetto del termine di tre giorni e la conseguente impossibilità di tenerne conto ai fini del giudizio».
Ma il dato principale è la inammissibilità del ricorso, che la sentenza motiva ampiamente: «Secondo un indirizzo interpretativo assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, “il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice”».

Dunque «In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, il ricorso non supera lo scrutinio di ammissibilità, dovendosi escludere che il provvedimento impugnato presenti le criticità suscettibili di essere denunciate con il ricorso per cassazione».

LA CONSULENZA E I RILIEVI AEROFOTOGRAMMETRICI

Per i giudici di legittimità il Tribunale in funzione di riesame «ha invero diffusamente ed esaustivamente motivato le ragioni della conferma del decreto di sequestro preventivo, disattendendo le censure difensive». E qui si riportano gli elementi evidenziati, tutti contrari alle tesi sostenute nel ricorso: «La diffusione capillare degli abusi all’interno della struttura riferibile alla ricorrente e nelle immediate vicinanze con finalità serventi, e la conseguente impossibilità di accedere ad ipotesi di revoca parziale del sequestro; l’irrilevanza della prospettata appartenenza a terzi delle particelle interessate dagli abusi, attese le specifiche finalità dell’incidente cautelare reale; l’infondatezza della tesi difensiva secondo cui si tratterebbe di opere già esistenti e oggetto di altri procedimenti, alla luce delle considerazioni svolte dal consulente del P.M. e della dettagliata individuazione delle opere di nuova realizzazione; l’illegittimità di tutte le opere in questione perché realizzate in violazione della disciplina urbanistica ed ambientale, oltre che in totale assenza di titoli abilitativi; la certa esclusione della possibilità di ricondurre gli interventi nell’alveo della “minima entità” di cui all’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004; l’infondatezza dell’assunto secondo cui le opere sarebbero state già ultimate, alla luce di quanto direttamente rilevato dagli operanti (presenza di escavatori, bobcat, aree di cantiere ancora in essere)».

Inevitabile la conclusione: «Dinanzi a tale compendio motivazionale, strettamente correlato alle risultanze acquisite (rilievi aerofotogrammetrici, consulenza, ecc.) ed ampiamente idoneo a supportare le valutazioni di sussistenza del fumus e del periculum in relazione a tutti i reati contestati, le censure difensive appaiono – oltre che reiterative di prospettazioni esaminate e disattese dal Tribunale – tendenti ad un non consentito sindacato della logicità e coerenza della motivazione, oppure non sorrette dal necessario interesse (è il caso del secondo motivo di ricorso, concernente la violazione di sigilli che gli stessi giudici del merito cautelare hanno attribuito ad altro soggetto, individuato nel proprietario e custode)».
Come è consuetudine, la Corte ha rinvenuto una “colpa” nell’azione della ricorrente, alla luce della evidente inammissibilità del ricorso proposto. Di qui la condanna non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche dell’ammenda di 3.000 euro.

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