Leo Pugliese | Lunedì mattina, sul ponte di comando della “Zeus Palace”, nel porto di Livorno, non c’erano solo uomini e donne intenti nel loro lavoro. Tra il ticchettio degli strumenti e il fruscio del vento, si respirava qualcosa di più profondo: un senso di appartenenza che lega indissolubilmente l’isola di Procida alla sua gente di mare.
Il Comandante Vincenzo Meglio, i piloti Fabio Pagano e Michele Santini, il Terzo Ufficiale di Coperta Cristiano D’Orio e l’allieva di coperta Anna Ambrosino non erano lì solo per portare a termine un’altra giornata di lavoro. In loro c’era qualcosa che andava oltre la professionalità e il senso del dovere: un legame profondo, radicato, con la loro terra natale, quella piccola isola che è molto più di un semplice luogo geografico. Procida.
Per chi è nato su un’isola, il mare non è mai solo un elemento naturale che circonda la terraferma. È una presenza costante, un tratto identitario, una scuola di vita. Procida, in particolare, ha da sempre forgiato uomini e donne abituati a convivere con il mare, a comprenderne i silenzi e le sfide, a rispettarne i ritmi. È un’isola che non si limita a essere un punto fisico sulla mappa: è un luogo dell’anima, una bussola invisibile che accompagna chiunque vi sia nato o cresciuto.
Sul ponte della “Zeus Palace”, le mani esperte del Comandante Meglio e degli ufficiali di bordo non seguivano solo i protocolli di navigazione. C’era qualcosa di più nei loro gesti: una sicurezza, una consapevolezza che si radica in anni di tradizione marinara, tramandata di generazione in generazione. Procida è sempre lì, nei loro pensieri, anche quando la prua della nave punta verso l’orizzonte. È un filo invisibile che lega il passato al presente, che collega il porto sicuro dell’isola alle rotte imprevedibili del mare aperto.
Procida non è solo il luogo delle origini. È un simbolo, una madre silenziosa che continua a vivere nel cuore dei suoi figli, ovunque essi si trovino. La si ritrova nei piccoli gesti quotidiani, nella determinazione di affrontare il mare, nella nostalgia che si insinua nei pensieri quando si è lontani. Il mare, per i procidani, è un’estensione della loro terra, una via che li porta lontano, ma che al tempo stesso li riporta sempre indietro, almeno con il cuore.
Chi lavora sul mare lo sa bene: ogni viaggio è una sfida, un’avventura che richiede competenza, passione e, soprattutto, un forte senso di identità. È questa identità che si respira sul ponte della “Zeus Palace”. Il Comandante Meglio e il suo equipaggio non sono solo marittimi: sono ambasciatori di un’isola che vive nei loro gesti, nelle loro voci, nei loro pensieri. Procida li accompagna, li guida, li sostiene, come un faro che illumina anche gli orizzonti più lontani.
L’isola di Procida ha una lunga storia legata al mare. Da secoli, le sue famiglie hanno vissuto grazie alla pesca, alla navigazione e al commercio marittimo. Questa tradizione si riflette ancora oggi nei tanti procidani che lavorano sulle navi, come ufficiali, comandanti, o semplici marinai. È una vocazione che si tramanda di padre in figlio, una passione che cresce con il tempo e che diventa parte integrante della propria identità.
Non si tratta solo di un mestiere, ma di un modo di vivere. Essere “gente di mare” significa accettare le sfide e le incertezze dell’oceano, ma anche portare sempre con sé la certezza delle proprie radici. Per questo, anche lontano dalla propria terra, i procidani sentono sempre l’isola vicina. È come se Procida fosse una presenza costante, un’ancora che li tiene saldi anche quando solcano i mari di tutto il mondo.
E così, mentre la “Zeus Palace” si prepara a salpare dal porto di Livorno, Procida non è mai davvero lontana. È lì, tra il ticchettio degli strumenti, il fruscio del vento, e il rumore delle onde che lambiscono lo scafo della nave. È lì nei racconti condivisi tra colleghi, nei ricordi che riaffiorano al tramonto, nello sguardo di chi, anche tra mille miglia di distanza, porta l’isola nel cuore.
Per chi è nato e vive a Procida, quell’isola non è solo un luogo: è un faro che guida, una certezza che accompagna, una casa che non si può mai lasciare davvero. Procida vive nei suoi figli, nei loro sogni e nelle loro speranze. Anche quando la prua della nave punta verso il largo, l’isola resta sempre lì, invisibile eppure presente, a ricordare che l’identità non si perde mai, neanche in mare aperto.
Procida non è solo un’isola. È un filo invisibile che unisce vita, tradizione e appartenenza. È una bussola che guida i suoi figli, ovunque essi si trovino.