Un permesso di costruire in sanatoria troppo “superficialmente” concesso dal Comune di Barano, pur in presenza di evidenti incongruenze, di una ordinanza di demolizione non eseguita e di precedenti sentenze dei giudici amministrativi, è stato annullato dal Tar, che ha ordinato all’Ente di riesaminare l’intera questione.
Il ricorso accolto era stato proposto da una cittadina difesa dall’avv. Antonio Iacono, che aveva chiamato in causa il Comune, rappresentato dall’avv. Alessandro Barbieri, e la confinante, difesa dall’avv. Giuseppe Di Meglio. Si chiedeva appunto l’annullamento del permesso di costruire in sanatoria del 30.6.2023, a firma del responsabile del Settore e riferito alla istanza di condono edilizio del 28.2.1995, a firma della dante causa per opere consistenti nella realizzazione di un «immobile adibito a civile abitazione realizzato in difformità della licenza edilizia del 7.1.1971».
L’immobile della confinante, ereditato dalla madre deceduta, è costituito da un appartamento composto da solo piano terra di 5 vani catastali con terrazzo antistante. Ebbene, nel ricorso si evidenzia «che, a partire dal 1971, l’appartamento di proprietà della confinante sarebbe stato oggetto “di una intensa attività edilizia abusiva (…) quello che era un piccolo rudere ad uso agricolo, è stato trasformato, in un ampio fabbricato, attualmente suddiviso in due ampie unità abitative. A causa di tale, notevole ampliamento, il fabbricato della confinante, attualmente, si trova ad una distanza inferiore ai 2,50 mt dal limite del confine con la proprietà della esponente (…) è stata realizzata, sempre abusivamente, una struttura in ferro di circa 50 mq, per una altezza di metri 3 (ordinanza di demolizione del 1992) (…) agli inizi del mese di maggio 2020, la proprietà confinante è stata interessata da una ulteriore attività edilizia».
La ricorrente aveva quindi presentato al Comune di Barano istanza-diffida in data 25 gennaio 2022, volta ad ottenere «l’esame ed il rigetto, per improcedibilità e/o inammissibilità, della istanza di condono del 29.11.1986, con conseguente emissione di ordine di demolizione per le opere edili realizzate dalla dante causa e, successivamente, dalla resistente (fabbricato adibito a civile abitazione, ubicato al piano terra); l’esecuzione del provvedimento sanzionatorio del ‘92, emesso ai sensi dell’art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in danno della dante causa, per le opere edili eseguite senza titolo (struttura in ferro di circa 50 mq, alta metri 3); la applicazione a carico della confinante della sanzione pecuniaria di euro 20.000».
IL COMMISSARIO NON SI INSEDIAVA
Alla luce del silenzio serbato dall’Ente, era stato proposto il primo ricorso, per ottenere l’adozione di un provvedimento. In parziale accoglimento, nel 2022 il Tar aveva sentenziato «l’obbligo di concludere il procedimento iniziatosi con la domanda di condono del 29.11.1986» nominando, in caso di ulteriore inerzia, il commissario ad acta. Sta di fatto però che anche il commissario non eseguiva il compito assegnatogli. La ricorrente, infatti, dopo aver sollecitato l’esecuzione della sentenza, acquisiva «tra l’altro, degli atti del commissario ad acta e del Comune di Barano d’Ischia, tra cui il provvedimento del 29.11.2022, con cui il commissario acta, disponeva la conclusione del procedimento, sulla scorta della seguente motivazione “in riferimento alla disposizione dirigenziale registro ufficiale del 23.11.2022 di cui all’oggetto si comunica, per opportuna conoscenza, che da interlocuzioni tra le parti, ed alla trasmissione della nota del 25.11.2022 del Comune di Barano d’Ischia, pervenuta al ns. prot. il 28.11.2022, che la pratica risulta, come da ordinanza Tar, avviata in fase di conclusione: Lo scrivente, ritenuto di non doversi insediare e concluso il procedimento, fa presente che gli oneri finanziari relativi all’attività del Commissario, non saranno richiesti poiché non dovuti”».
SENTENZA INOTTEMPERATA
Una conclusione insoddisfacente e di qui il reclamo dell’interessata, affinché il commissario venisse “richiamato” ad assicurare piena ed integrale ottemperanza alla sentenza del 2022. Nel 2023 il Tar accoglieva il reclamo, evidenziando: «Siccome pacificamente riconosciuto inter partes ed emergente dalla documentazione versata in atti, il Comune di Barano d’Ischia si è limitato ad esaminare unicamente l’istanza di condono del 28/2/1995, reputando in tal guisa (note del 25.11.22 e 11.4.23) di avere ottemperato alla sentenza del 2022, scongiurando per l’effetto l’insediamento del commissario ad acta (nota del 29.11.2022, con cui il commissario, prendendo atto dell’opinamento comunale, ha reputato di “non doversi insediare”)”; evidente è, dunque, “la perdurante inosservanza dell’ordine giudiziale, stante il mancato esercizio della potestas di disamina e di definizione della domanda di condono del 29 novembre 1986, potestas che solo rientrava nello spettro decisorio di cui alla sentenza ottemperanda”». Un errore marchiano!
Quanto alla questione successivamente sorta «circa il rapporto tra la domanda di condono del 1986 e quella, successiva, del 1995, e alla riferibilità delle stesse agli immobili di titolarità delle germane confinanti», questa «giammai può precludere la esatta osservanza del dettato giudiziale de quo agitur, che irrefragabilmente sancisce – ad onta dei tentativi “ermeneutici” del Comune, già sperimentati in sede amministrativa, e reiterati dai suoi patrocinanti in questa sede di ottemperanza – la necessità di definire quodammodo la domanda di condono del 1986». Annullati quegli atti, veniva ordinato al commissario ad acta «di effettivamente esplicare i propri poteri, nel contraddittorio con la parte reclamante oltre che con le controinteressate, definendo la domanda di condono del 1986».
DIFFORMITA’ ALLA LICENZA EDILIZIA DEL 1971
Nelle more della pubblicazione di quella sentenza, si è registrato un nuovo colpo di scena: il Comune di Barano con provvedimento datato agosto 2023 ha rilasciato alla confinante il permesso di costruire impugnato con l’ultimo (si spera) ricorso.
Un provvedimento ritenuto illegittimo innanzitutto per carenza di istruttoria, violazione e falsa applicazione delle leggi n. 47/85 e 724/94, l’improcedibilità della istanza di condono e la non riferibilità della istanza di condono n. 2673/94 alle opere realizzate in difformità alla licenza edilizia del 7.1.1971.
Con questa prima censura la ricorrente ribadisce che l’immobile di proprietà della confinante a partire dal 1971, «è stato oggetto di una intensa attività edilizia abusiva e quello che era un piccolo rudere ad uso agricolo, è stato trasformato, in un ampio fabbricato, attualmente suddiviso in due ampie unità abitative; in violazione della licenza di costruire, il vecchio fabbricato veniva completamente demolito e, in sostituzione dello stesso, sarebbe stato realizzato un nuovo corpo di fabbrica, totalmente diverso da quello preesistente; l’ampliamento eseguito in difformità alla licenza edilizia del 7.1.1971 non sarebbe riferibile alla istanza di condono del 28.2.1995, ma alla istanza di condono del 1986, come risulterebbe dall’esame di tutta la documentazione acquisita a seguito di accesso agli atti; contrariamente a quanto affermato nel permesso di costruire in sanatoria impugnato, l’istanza di condono del 1995 sarebbe relativa ad un altro cespite di proprietà della sorella della resistente come risulterebbe dall’atto di donazione».
Nel ricorso si evidenziano ulteriori motivi di illegittimità del permesso di costruire in sanatoria, in riferimento alla istanza di condono del 28.2.1995. Deducendo che «il calcolo della oblazione è stato effettuato considerando la superficie oggetto della istanza di condono del ‘95 come non residenziale, pertanto l’oblazione è stata versata in mondo errato ed insufficiente, e da tanto discenderebbe la improcedibilità della istanza di condono».
FABBRICATO REALIZZATO EX NOVO
Inoltre, «come confermato anche nella relazione del tecnico comunale del 26.11.2013, l’istanza di condono del 28.2.1995 era priva di qualsiasi documentazione, e pertanto priva anche della documentazione fotografica; l’assenza di tale documentazione avrebbe dovuto condurre al diniego o archiviazione della domanda di condono, in quanto irricevibile; inoltre, nell’istanza di condono del 28.2.1995, la descrizione dell’abuso è molto generica e non pare riferirsi alle opere descritte nel permesso di costruire in sanatoria impugnato; nella detta istanza si parla di “abuso adiacente ad un esistente fabbricato”, pertanto non vi è alcun riferimento ad un ampliamento eseguito in difformità della licenza edilizia del 7.1.1971 mentre tale precisazione è contenuta nella istanza di condono del 1986; stante tale genericità ed incertezza sulle opere oggetto della istanza di condono, questa andava dichiarata improcedibile».
Ancora, «l’istanza di condono del ‘95 sarebbe da ritenersi improcedibile e/o inammissibile anche perché, essendosi proceduto, in difformità della licenza edilizia del 1971, all’integrale demolizione del vecchio e preesistente fabbricato, e, successivamente, alla realizzazione di un corpo di fabbrica avente dimensioni di molto maggiori a quelle originali (più del 50%), e caratteristiche completamente diverse, l’istanza di condono andava richiesta per l’intero nuovo fabbricato e non soltanto per un asserito ampliamento».
LA DIFESA DEL COMUNE
La controinteressata ha eccepito l’improcedibilità del ricorso a seguito della pubblicazione del provvedimento comunale del 29 maggio 2024 e l’inammissibilità dello stesso per difetto di interesse. Così come il Comune, «avendo il commissario ad acta, in esecuzione delle sentenze del 2023 e 2022, adottato il permesso di costruire in sanatoria del 2024, a definizione dell’istanza di condono del 1986».
Per il collegio della Sesta Sezione presieduto da Santino Scudeller, la ricorrente ha tutto l’interesse all’impugnazione, in qualità di confinante, «e paventa la violazione delle distanze, oltretutto in zona sismica».
Respinta anche l’eccezione di improcedibilità del ricorso a seguito del rilascio del permesso di costruire in sanatoria del 2024 da parte del commissario ad acta, permanendo l’interesse all’annullamento «del diverso permesso di costruire in sanatoria del 2023 rilasciato alla confinante».
L’INDIVIDUAZIONE DEI MANUFATTI
Il ricorso è stato ritenuto fondato per difetto di istruttoria del permesso di costruire in sanatoria «alla luce delle incongruenze evidenziate da parte ricorrente, e, in particolare, considerato che: l’istanza di condono del 1995 presentata dalla dante causa fa riferimento ad un abuso adiacente ad un esistente fabbricato, che la superficie abitabile da sanare al netto della muratura è di mq 42,00, che la superficie non residenziale è di mq 0,60; nell’atto di donazione la predetta istanza di condono del 1995 è espressamente riferita al seguente bene: “il manufatto di cui al numero 8 della narrativa è stato realizzato in assenza di concessione edilizia per cui è stata presentata istanza di condono ai sensi della legge 724/1994 protocollo del 28.2.1995” e il bene di cui al numero 8 è il seguente: “adiacente al locale di cui al punto 7, zonetta di terreno con in essa un manufatto a destinazione abitativa, confinante con beni di cui al punto 4, beni di cui al punto 7 e le particelle…”; tale bene rientra tra quelli (terza quota) assegnati alla sorella della controinteressata e non alla signora; inoltre nello stesso atto, si descrive il bene di cui al numero 7 come “Locale allo stato rustico, sottostante il terrazzo di cui al punto 5 e con lo stesso confinante oltre che con il cespite descritto al numero 6) e per due lati col cespite descritto al numero 8”; la documentazione integrativa del 2022 è stata presentata invece dalla controinteressata e nel rilievo allegato si fa riferimento ad un fabbricato ad uso abitativo costituito da due stanze in aggiunta all’immobile al piano terra di sua proprietà; nella dichiarazione allegata relativa anche al calcolo dell’oblazione si fa contraddittoriamente riferimento ad una porzione di mq 42,00 di superficie “non residenziale” e si attesta altresì che non è dovuto altro versamento».
Provvedimento dunque annullato, «con conseguente obbligo per l’Amministrazione di rideterminarsi ad esito di una più approfondita istruttoria in contraddittorio anche con la ricorrente».