Leo Pugliese | Era un mercoledì qualunque, un giorno come tanti per i procidani. Ma il 1983 portò con sé un dramma destinato a restare scolpito nella memoria collettiva. Quel giorno, la giovane Anna Grazia Esposito, appena diciottenne, si trovò a combattere contro il tempo e contro un destino crudele, in un’isola priva di risorse sanitarie adeguate. La sua storia è diventata il simbolo di una battaglia che va oltre la sua tragica fine: è la storia di una comunità tradita, abbandonata, costretta a lottare per un diritto fondamentale, quello alla salute.
Quando Anna Grazia si sentì male, la sua famiglia e i medici capirono subito che la situazione era grave e che serviva un trasferimento immediato in ospedale, sulla terraferma. Ma ciò che accadde nelle ore successive fu un susseguirsi di ostacoli, ritardi e inefficienze che si trasformarono in una condanna a morte.
L’unica ambulanza disponibile era già impegnata in un’altra emergenza, la motovedetta della Guardia Costiera risultava in avaria, l’aliscafo che avrebbe potuto garantire un trasporto rapido era fermo per problemi tecnici. L’isola era completamente isolata, senza alcun mezzo di emergenza funzionante.
Di fronte all’assenza di alternative, si prese una decisione disperata: trasportare Anna Grazia su un mezzo di linea fino a Torregaveta, sulla terraferma. Ma quel tragitto, che avrebbe dovuto essere immediato e sicuro, divenne un’odissea fatale. I minuti si dilatavano in ore, il tempo scorreva inesorabile mentre la giovane lottava per la vita. Quando finalmente raggiunse l’ospedale, era troppo tardi. Il ritardo accumulato le fu fatale.
La notizia della morte di Anna Grazia si diffuse rapidamente, lasciando l’intera isola sotto shock. Il dolore si trasformò in rabbia, la disperazione in indignazione. Non era stato il destino a ucciderla, ma l’inefficienza di un sistema sanitario incapace di garantire un servizio di emergenza adeguato.
Nel giro di poche ore, l’isola si sollevò. Oltre 3000 cittadini scesero in strada, determinati a non lasciar cadere quella tragedia nel silenzio. Si organizzò un comitato permanente, nacquero manifestazioni spontanee, le strade si riempirono di cortei e striscioni. La popolazione chiedeva giustizia, chiedeva risposte, chiedeva che mai più un’altra vita venisse spezzata a causa dell’inefficienza dei soccorsi.
Le proteste durarono giorni, con una determinazione che non si era mai vista prima. Non era solo il dolore per Anna Grazia a spingere la gente a combattere, ma la consapevolezza che quella tragedia poteva colpire chiunque. Oggi era lei, domani sarebbe potuto accadere a un altro giovane, a un anziano, a un bambino. L’isola non poteva più permettersi di vivere in questo stato di abbandono.
La mobilitazione della popolazione fu un segnale potente, impossibile da ignorare. Le istituzioni, fino a quel momento sorde alle richieste dell’isola, furono costrette a prendere provvedimenti. Si aprì un dibattito nazionale sulle condizioni della sanità nei territori insulari e sulla necessità di garantire mezzi di soccorso sempre operativi.
Nei mesi e negli anni successivi, furono potenziati i collegamenti sanitari con la terraferma, vennero destinati nuovi fondi per migliorare le infrastrutture ospedaliere locali e furono attivati servizi di emergenza più efficienti. Ma il prezzo di questi cambiamenti era stato altissimo: una vita spezzata, una famiglia distrutta, una comunità segnata per sempre.
A oltre quarant’anni da quel tragico giorno, il nome di Anna Grazia Esposito non è stato dimenticato. La sua storia continua a essere raccontata, non solo per onorare la sua memoria, ma per ricordare a tutti che il diritto alla salute non deve mai essere un privilegio, ma un’assoluta garanzia per ogni cittadino.
L’isola ha imparato una lezione dolorosa: senza servizi sanitari adeguati, ogni emergenza può trasformarsi in una condanna senza appello. E se oggi i soccorsi sono più efficienti, se le istituzioni sono più attente, è anche merito di quella diciottenne che, con la sua tragica fine, ha acceso i riflettori su una vergogna inaccettabile.
Ma la battaglia non è finita. La storia di Anna Grazia deve restare impressa nella coscienza collettiva, affinché tragedie simili non si ripetano mai più. Perché nessuno, mai, dovrebbe morire nell’attesa di un soccorso che non arriva.