Troppo lavoro all’ospedale “Rizzoli”, evidentemente a causa della cronica carenza di personale, e il dipendente, seppur dirigente, non ha potuto godere di tutte le ferie che gli spettavano. “Avanzando” oltre un mese. Una volta andato in pensione, ha chiamato in causa l’Asl Na 2 Nord dinanzi alla Sezione Lavoro e previdenza del Tribunale di Napoli al fine di ottenere l’indennità sostitutiva. E il giudice dott.ssa Maria Rosaria Lombardi gli ha dato ragione. Peraltro l’Azienda sanitaria non si è nemmeno preoccupata di difendersi, risultando contumace.
Il ricorrente, difeso dall’avv. Felice Pettorino, ha chiesto che l’Asl venisse condannata al pagamento «della complessiva somma di euro 12.470,37 pari ad euro 377.89 per ciascun giorno di ferie non godute per un montante di gg. 33 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria maturati e maturandi, come per legge, nonché delle spese e competenze legali del presente giudizio con attribuzione».
Nel ricorso ha evidenziato da subito che dopo aver ricoperto le funzioni di direttore di UOC ed essere stato collocato in quiescenza per superati limiti di età poco più di un anno fa, «al momento della cessazione del rapporto di lavoro non aveva usufruito di 33 giorni di ferie che non aveva mai rifiutato di godere». Palese pertanto «l’inadempimento datoriale dell’obbligo di consentire la fruizione delle ferie con conseguente monetizzazione delle stesse». A sostegno del ricorso sono state richiamate la giurisprudenza comunitaria e gli art. 36 della Costituzione e 8 del CCNL.
IL CCNL E IL DECRETO LEGGE DEL 2012
Il ricorso è stato accolto condividendo in pieno il ragionamento seguito dall’avv. Pettorino. Puntualizzando appunto il giudice che il diritto all’integrale godimento delle ferie è garantito dalla Costituzione e dal CCNL.
La sentenza riporta innanzitutto che il CCNL dispone che «il periodo minimo di quattro settimane di ferie non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro».
Nella materia è intervenuto il decreto legge del 2012, in base al quale «Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica… sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. … La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile». Una norma che non ha “salvato” l’Asl.
L’INTERVENTO DELLA GIUSTIZIA COMUNITARIA
Infatti il punto cruciale è la impossibilità di usufruire delle ferie per motivi eccezionali e palesi carenze organizzative del datore di lavoro. Il giudice richiama infatti quanto sentenziato dalla Corte di Cassazione: «In applicazione di tale norma, la giurisprudenza di legittimità affermava che, qualora il dirigente, che avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro non lo aveva esercitato, così non fruendo dei periodi di riposo annuale, non aveva diritto all’indennità sostitutiva a meno che non avesse provato di non aver potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive».
Tanto più che la giurisprudenza eurocomunitaria ha “bocciato” la previsione a sfavore del lavoratore contenuta nel decreto legge del 2012, stabilendo che la direttiva CE del 2003 e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea «devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale, come quella discussa nel procedimento principale, in applicazione della quale, se il lavoratore non ha chiesto, nel corso del periodo di riferimento, di poter esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite, detto lavoratore perde, al termine di tale periodo – automaticamente e senza previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro, segnatamente con un’informazione adeguata da parte di quest’ultimo, in condizione di esercitare questo diritto».
TRE “PALETTI” INVALICABILI
La Corte di Giustizia ha fissato “paletti” invalicabili, individuando «tre cardini del giudizio di diritto demandato al giudice nazionale, al fine di assicurare che il lavoratore sia stato messo effettivamente nelle condizioni di esercitare il proprio diritto alle ferie, consistenti: a) nella necessità che il lavoratore sia invitato “se necessario formalmente” a fruire delle ferie e “nel contempo informandolo in modo accurato e in tempo utile… se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento”; b) nella necessità di “evitare una situazione in cui l’onere di assicurarsi dell’esercizio effettivo del diritto alle ferie annuali retribuite sia interamente posto a carico del lavoratore”; c) infine, sul piano processuale, nel prevedere che “l’onere della prova, in proposito, incombe al datore di lavoro… sicché la perdita del diritto del lavoratore non può aversi ove il datore “non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto”». Una prova che in questo caso non poteva essere in ogni caso fornita, visto che l’Asl non si è costituita in giudizio.
Pur ammettendo che nel caso di un dirigente, «per la normale posizione di minor debolezza e maggiore conoscenza dei dati giuridici, le predette condizioni possano trovare in concreto applicazioni di minor rigore, sotto il profilo dell’intensità informativa o del grado di diligenza richiesta al datore di lavoro», i principi enunciati restano validi a governare l’istituto dell’attribuzione, perdita o monetizzazione delle ferie.
MONETIZZAZIONE AVALLATA DALLA CASSAZIONE
Del resto anche la Corte Costituzionale aveva avallato questa interpretazione quando era stata chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità rispetto alla previsione del D.L. del 2012, che escludeva in tutti i casi trattamenti economici sostitutivi delle ferie.
La Consulta infatti ha ritenuto «che la legge non fosse costituzionalmente illegittima, in quanto da interpretare nel senso che la perdita del diritto alla monetizzazione non può aversi allorquando il mancato godimento delle ferie sia incolpevole, non solo perché dovuto ad eventi imprevedibili non dovuti alla volontà del lavoratore, ma anche quando ad essere chiamata in causa sia la “capacità organizzativa del datore di lavoro”, nel senso che quest’ultima va esercitata in modo da assicurare che le ferie siano effettivamente godute nel corso del rapporto, quale diritto garantito dalla Carta fondamentale, dalle fonti internazionali e da quelle Europee, sicché non potrebbe vanificarsi “senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso… da… causa non imputabile al lavoratore”, tra cui rientra quanto deriva dall’inadempimento del datore di lavoro ai propri obblighi organizzativi in materia, i quali non possono che essere ravvisati, per coerenza complessiva dell’ordinamento, nell’assetto sostanziale e processuale quale compiutamente delineato dalla Corte di Giustizia nei termini già sopra evidenziati».
In questo caso la “disorganizzazione” dell’Asl ha giustificato l’indennizzo.
DIRITTO IRRINUNCIABILE
E la Cassazione si è conformata, precisando che «il diritto alle ferie annuali retribuite dei dirigenti pubblici, in quanto finalizzato all’effettivo godimento di un periodo di riposo e di svago dall’attività lavorativa, è irrinunciabile; ne consegue che il dirigente il quale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non ne abbia fruito, ha diritto a un’indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto in questione prima di tale cessazione, mediante un’adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo” ed ha ora ulteriormente precisato che anche “il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore di lavoro della pianificazione delle attività e dei riposi, non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all’indennità sostitutiva delle ferie se il datore di lavoro non dimostra di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato altresì che l’organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento».
Ne consegue che «la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può dunque verificarsi “soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato”». La Corte ha specificato che «Tale assetto vale anche per i dirigenti muniti del potere di autorganizzarsi le ferie ma non collocati agli apici massimi dell’ente pubblico e quindi comunque sottoposti, come nel caso, a poteri autorizzatori o comunque gerarchici degli organi di vertice ultimo».
CONTENIMENTO DELLA SPESA
L’ultimo colpo all’Asl arriva poi dalla recente sentenza del 2024 della Corte di Giustizia europea, che ha sancito il contrasto con la direttiva CE e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea della «normativa nazionale che, per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, prevede il divieto di corrispondere al lavoratore dimissionario un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali non goduti alla data di cessazione del rapporto di lavoro».
Il “silenzio” dell’Asl ha reso inevitabile la condanna. E il giudice ha recepito anche il calcolo della somma dovuta contenuto nel ricorso: «Per quanto innanzi, non essendovi prova che la fruizione delle ferie sia stata dovuta ad una scelta personale del lavoratore, la domanda deve essere accolta. Deve, pertanto, emettersi condanna del datore di lavoro al pagamento della indennità sostitutiva delle ferie non godute, correttamente quantificata in euro 12.470,37 dovendosi recepire il computo eseguito dal ricorrente in quanto contabilmente corretto».
Statuito il diritto del ricorrente a percepire la indennità sostitutiva delle ferie non godute, l’Azienda è stata dunque condannata a pagare i 12.470,37 euro oltre interessi legali dalla cessazione del rapporto di lavoro al saldo e le spese di giudizio, liquidate in 2.500 euro oltre Iva, Cpa, Cu e spese forfettarie. Un esborso tutto sommato nemmeno esorbitante per l’Asl, ma la sentenza ha il valore, oltre che di risarcire l’ex dipendente, di punire le carenze organizzative dell’Azienda sanitaria.