TREND NAZIONALE: Il dato ischitano si inserisce perfettamente in un trend che sta investendo tutta l’Italia e che vede, con la perdita totale di 200 mila ettari di terreno, il nostro paese cedere il passo alla Spagna, alla Francia e addirittura alla Cina, che cominciando da zero si trova oggi in quotidiana ascesa.
Elvira Agnese | Mi si sono ristretti i vigneti. O meglio: sono scomparsi. Non tutti, naturalmente, ma il calo a Ischia è ormai evidente e, per la verità, cominciato già 30 o 40 anni fa. Il processo di ridimensionamento dei vigneti sul territorio isolano sembra ormai irreversibile con la scomparsa, dagli anni ’60 ad oggi, di circa 1300 ettari di vigneti. Il dato ischitano si inserisce perfettamente in un trend che sta investendo tutta l’Italia e che vede, con la perdita totale di 200 mila ettari di terreno, il nostro paese cedere il passo alla Spagna, alla Francia e addirittura alla Cina, che cominciando da zero si trova oggi in quotidiana ascesa. Ma cosa è successo alla nostra isola che vantava numeri da capogiro all’inizio del secolo per quel che riguardava la produzione agricola? I produttori sembrano essere tutti d’accordo nel segnalare un impoverimento del territorio, nonostante un’inversione di tendenza degli ultimi anni con l’arrivo di nuovi investimenti e nuovi progetti. «Questi progetti però – segnala Vito Iacono dell’azienda vinicola Pietratorcia – fanno da contraltare alla perdita irrefrenabile delle piccole realtà che si trovano bloccate dalla burocrazia e dall’invecchiamento dei vecchi agricoltori». Di fatti questa tendenza all’abbandono dei vigneti investe soprattutto i piccoli produttori di uva che abbandonano i campi per svariati motivi. Chi ha fatto l’agricoltore per tutta la vita ha continuato a farlo fino a che ha potuto ma è sempre più difficile oggi, se non impossibile, passare il testimone alle nuove generazioni che non credono più nell’agricoltura. Un processo questo cominciato in realtà già negli anni ’60 quando gli agricoltori hanno progressivamente scelto di passare all’attività turistica, vista nell’immediato come il settore più redditizio. E questo fenomeno diventa ancor più forte con il passare degli anni, tanto che oggi appare impensabile che un giovane ischitano scelga di dedicare la propria vita all’agricoltura o alla produzione di vino. E se è vero che una risposta alla crisi del settore potrebbe arrivare proprio da giovani preparati che riescano a gestire con serietà sia il settore agricolo che quello manageriale di un’azienda, anche un istituto superiore di agraria, di cui sempre più spesso si parla, sembra però stentare a decollare. È così che ci si ritrova oggi con ettari ed ettari di terreno incolto, che oltre a rovinare l’immagine del territorio, versano in un degrado e in una situazione di incuria tale da essere sempre più facilmente soggetti a fenomeni di dissesto idrogeologico. «C’è da dire che a disincentivare agricoltori o aziende ad investire nel territorio sono stati negli anni anche i prezzi altissimi degli appezzamenti – conferma Vito Iacono – in passato i terreni venivano “spacciati” tutti per edificabili, raggiungendo così costi esorbitanti e anche chi intendeva acquistare un terreno per coltivarlo alla fine era costretto a cambiare idea. Ma i terreni che oggi, per questo ed altri motivi, versano nell’incuria sono pericolosi perché più facilmente soggetti al dissesto idrogeologico. Ai comuni costerebbe molto meno affidarli alla cura di un viticoltore, per preservare il nostro territorio da fenomeni pericolosissimi». Un altro dei fattori che hanno contribuito all’allontanamento dei coltivatori dai terreni vitati è stata, sicuramente, anche la diffusione di alcune patologie della vite. «Man mano che le viti seccavano a molti non è più convenuto dedicare tempo ed energia per rimettere in piedi un terreno che ormai non dava più i frutti sperati, in termini economici» continua Vito Iacono, soprattutto perché anche l’autoconsumo che teneva in piedi molti produttori è andato scemando. «Sempre meno famiglie bevono vino a tavola, soprattutto quello locale, a cui si preferisce quello imbottigliato proveniente da aziende più grandi della terraferma e più competitive». E proprio la grossa competitività in fatto di prezzi delle aziende campane, ma non solo, ha influito notevolmente sul consumo di vino locale, mentre la nuova burocrazia ha gettato in una situazione di stallo i piccolissimi produttori che vendevano il prodotto sfuso. «Dispiace vedere vini importati da altre regioni, soprattutto se si tratta di paesi come la Cina, che noi abbiamo “colonizzato” in fatto di cultura vinicola, e che oggi si presenta sul mercato in maniera molto più competitiva. Dovremmo essere noi, che siamo sempre stati all’avanguardia, ad esportare lì il nostro prodotto e non certo il contrario. La nostra è una cultura centenaria che oggi sta andando perduta dietro alla burocrazia e alla perdita di appeal del settore sui giovani». Ma al di là dell’esportazione i numeri del consumo di vino locale sull’isola non sono certo confortanti «Oggi solo il 15-20% di ristoranti e alberghi ischitani utilizza vini imbottigliati a marchio ischitano, mentre si continuano a prediligere i più concorrenziali vini della terraferma. I nostri costi di produzione sono altissimi. Il costo del vino è dato almeno per il 40% da altre voci di spesa come la commercializzazione, la promozione ecc.. e la nostra produzione perde, in termini di prezzo, il confronto con aziende che hanno maggiore possibilità di meccanizzazione e che spalmano le loro spese su una produzione molto più vasta. Il nostro è un territorio tanto fertile quanto difficile da coltivare che non ci permette una meccanizzazione elevata, da lì l’aumento dei prezzi». D’altro canto la vendita di un brand, come può e deve essere quello dell’isola d’Ischia, passa attraverso una differenziazione dell’offerta che sembra non potersi più permettere di lasciare indietro determinati settori, come quello enogastronomico, appunto. Di questo è convinto Arnaldo Castagna, albergatore che ha deciso solo 10 anni fa di ampliare al settore vinicolo i suoi investimenti e che ci racconta così una scelta che definisce lui stesso folle ma coraggiosa: « Abbiamo questo fondo, da cui nasce Crateca, dal 2003, e fin dal primo giorno ci sono state imposte numerose limitazioni e mille intoppi. Pensare che abbiamo dovuto acquistare anche i diritti per il reimpianto. Nonostante le difficoltà però noi abbiamo scelto di andare avanti, perché in quanto albergatori ci siamo resi conto che quest’isola non può continuare a non pensare al proprio territorio e abbiamo fatto quest’investimento per dare una svolta e un segnale sperando che anche gli altri facciano la stessa cosa. I turisti stanno cambiando tendenza e l’enogastronomia è un settore in crescita oggi. Anche la promozione dell’isola deve cambiare, troppe sono oggi le località che possono puntare su mare o terme, noi dobbiamo creare un pacchetto unico. E per farlo abbiamo bisogno di ricreare anche i nostri vigneti». E se realtà come “Andar per cantine”, il tour per le aziende vinicole organizzato da anni con successo dalla proloco di Panza, o la nascita di agriturismi che propongono prodotti locali, sembrano essere segnali positivi in questo senso, l’assenza di una proposta “locale” da parte di ristoranti e alberghi regala al brand isolano un’immagine negativa. Il visitatore che assaggia con piacere i prodotti ischitani in giro per l’isola, ha poi voglia di ritrovarlo anche nella tavola dell’albergo in cui alloggia. Ma la realtà dei prezzi è un’altra e porta gli imprenditori a fare altre scelte, dimenticando di privilegiare il marchio ischitano. E l’esportazione? Secondo quanto confermato da Pasquale Cenatiempo, il vino ischitano dovrebbe riuscire ad auto sostenersi sul territorio, perché l’interesse che i prodotti locali suscitano nel resto del paese e all’estero si limita ad una fascia di nicchia. «Se è vero che potrebbe risultare interessante acquistare ed assaggiare il vino proveniente da una piccola isola come la nostra, d’altro canto le limitazioni date dagli alti costi di produzione e di esportazione sono evidenti e giocano a nostro sfavore. Ischia dovrebbe riuscire a sostenersi autonomamente con un consumo che vada dalle nostre tavole a quelle dei turisti e degli estimatori». Ma nessuno dei viticoltori intervistati sembra pessimista sul tema. Un dato positivo è la nascita di nuove realtà, delle nuove cantine come Crateca o Giardini Arimei, che raccontano di nuove sfide e di nuovi successi per la nostra isola. Una crisi c’è, è vero, ma può essere superata e quasi tutti sembrano d’accordo sulla necessità di fare sistema e di cogliere le nuove opportunità, come Vito Iacono: «Solo attraverso un sistema Ischia si potranno superare le difficoltà e approfittando delle opportunità della Comunità Europea si potrà garantire la continuazione di una cultura vinicola per Ischia». Una cultura che dovrà però immancabilmente passare per una rivoluzione industriale vera e per un recupero delle competenze, vecchie e nuove.