MARCO TROFA | Questo è quello che ho sperimentato appena mi è arrivata la notizia dell’incidente mortale di lunedì mattina. Ancora sangue che continua a scorrere sulle nostre strade, sangue fresco su sangue fresco. Appena 25 giorni fa contavamo una nuova vittima sulla strada, dopo neanche un mese, eccoci a scrivere nuove parole ma sempre uguali.Al di là di tutti i ragionamenti che queste circostanze fanno sorgere, io, da giovane 18enne, inizio ad avere una grande preoccupazione: ci siamo abituati a queste morti? Quanto queste tragedie influenzano il nostro vivere? Quando decideremo di contrastare collettivamente un problema che attanaglia la nostra quotidianità?E, ancor meglio, non tanto quando né quanto, ma, andando al nocciolo della questione, desideriamo il cambiamento, sì o no?Perché è comodo pensare che sia il destino, la sorte, il fato, la “ciorta”.
No. Non è niente di tutto ciò. È una questione tra noi e noi. È una questione personale e collettiva. È una battaglia che o si combatte insieme o non si combatte, accettandone a priori la sconfitta, una sconfitta di morte.È vero, può esserci anche la fatalità, come un malore improvviso e stroncante, ma fortunatamente sono casi che accadono veramente di rado. Mi viene in mente Battiato che in una sua canzone cantava: “Questo Paese è devastato dal dolore, ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore?”. Il suo dubbio è il mio dubbio.
Un figlio che muore? Genitori senza un figlio, fratelli senza un fratello, nonni e zii senza un nipote, cugini senza un cugino, amici senza un amico, una fidanzata senza il fidanzato, una classe senza un suo compagno, una squadra senza un suo giocatore. Un padre che muore? Una moglie senza il martito, figli senza padre, nipoti senza nonno e zio… e potrei continuare ancora e ancora. Fermiamoci a pensare che le regole, i limiti, i divieti, gli obblighi non sono dispetti nei nostri confronti ma l’inizio della vita, della libertà. E ben venga l’indignazione per certe foto, troppo crude e violente, diffuse da alcuni organi di stampa locali, che di certo si potevano risparmiare, ma che ce ne sia altrettanta e altra ancora ogni giorno verso tutte quelle azioni che sono in propedeutiche a queste tragedie. Perché non si deve parlare solo di incidenti mortali, in quanto sono solo la punta dell’iceberg.
Che generi indignazione e “VERGOGNA”: la sosta selvaggia, il limite di velocità massima violato, il casco slacciato, il controsenso, il passaggio all’amico senza casco, il sorpasso rischioso, la fretta, il cellulare, il bicchiere di troppo, lo spinello, la cintura non allacciata, l’attraversamento fatto non sulle strisce pedonali. Occorre, quindi, combattere una mentalità radicata e vincente su questo Scoglio: la mentalità del “che può mai succedere”, del “ma sono solo 100 metri”, del “ma tanto non è successo niente”.Deroghe su deroghe, eccezioni su eccezioni, strappi alle regole su strappi alle regole: ma la morte non conosce né deroghe, né eccezioni, né strappi alle regole. Tutto ciò, anche se già noto, meglio che lo ricordi anzitutto a me e, in generale, a tutti. Essere “l’Isola più bella del mondo”, se deve essere, è, sì, onore e vanto ma grandissimo onere e responsabilità.
Altrimenti, lasciando le cose così come sono, le nostre strade saranno il più bel cimitero a cielo e porte aperte del mondo. Che ci spaventi, che non ci faccia poggiare, a sera, la testa serenamente sul cuscino il solo pensiero di ciò possa realizzarsi e che, seppur in parte, tutto ciò già può dirsi verosimile.Iniziamo a vedere nell’autovelox non una truffa organizzata per perpmettere ai Comuni di fare cassa, ma un tutore della nostra sicurezza, della nostra libertà, della nostra vita.
Iniziamo a vedere nei controlli delle Forze dell’Ordine su strada non un nemico, un costringimento, una scocciatura, ma una garanzia di ordine pubblico, un presidio di sicurezza, un riferimento amico. Iniziamo a vedere nei limiti massimi di velocità, anche quelli di 30 km/h in pieno centro non un’assurdità, ma una scelta di sicurezza ragionata e sensata. Occorre farlo uno ad uno, un passo alla volta, senza dimenticare le morti su strada già all’indomani, perché domani non sarà mai un altro giorno se agiremo male come ieri. Sarà un altro ieri, peggiore. Che sia non domani, ma l’ora presente l’inizio di un cambiamento che continua a non poter farsi attendere più, anzi che registra un notevole ritardo già sporco di sangue.
E sara mai vittoria? Ai posteri l’ardua sentenza. La morte non sarà mai possibile eliminarla per decreto, ma noi, dico io, non dobbiamo avere questa pretesa utopica e irrazionale. Se dobbiamo eliminare qualcosa, dobbiamo eliminare le nostre mancanze, finanche le più effimere. Per ora la media sembra restare ancora quella di due morti l’anno, bilancio gravissimo. Solo così facendo potremmo onorare le vittime, rispettare il dolore dei loro cari. Perché se abbiamo perso tutti, vinceremo solo se saremo davvero tutti a cambiare, a migliorarci.I giovani, gli adulti, le istituzioni, le scuole: tutti!