Gaetano Di Meglio | La vicinanza con i fatti di cronaca sono sempre amari. È sempre più difficile capire quello che ci succede da vicino. Quando accade, però, storpiati dalla vicinanza non abbiamo quel sentimento di difesa. Se le stesse storie di Casamicciola si fossero verificate a Giugliano, forse, non avremmo neanche commentato. È vero, è una circostanza che conosciamo eppure, c’è bisogno di una dimensione di realtà.
Pur senza togliere nulla all’agire di Suor Edda, pur riconoscendole tutte le buone azioni compiute e pur tenendo ben presente il loro impegno non possiamo non accettare la realtà, indubbia, delle accuse. Accuse che sono state valutata con una precisione che non abbiamo mai letto. La doppia misura cautelare imposta alla stessa persona è segno di quanto sia stata seria la valutazione della pena. E non è una pena chiesta dal pubblico ministero e poi, come avviene in molti casi, ridotta dal giudice, qui parliamo di due operatori del diritto che si trovano sulla stessa posizione. Suor Goretti merita sia l’arresto in carcere per il primo capo di imputazione, sia gli arresti domiciliari per il secondo capo di imputazione.
Le parti offese in questo processo sono 3 bambini a cui sono stati tolti i genitori naturali. Perché? Non lo sappiamo. Resta il fatto che erano tre piccoli bimbi già penati della loro vita e che avrebbero dovuto trovare, invece, un ambiente accogliente e educativo e che non li esponesse agli stessi rischi per cui lo Stato li aveva privati dei genitori.
Bimbi di 4 e 8 anni che nessuno ha preso in considerazione. Bimbi che sono stati picchiati, nonostante tutto, davanti ai genitori privati della potestà e obbligati a subire non solo l’umiliazione di non essere genitori ma di vedersi anche i figli presi a schiaffi solo perché il padre – con la potestà e che, forse, pagava – di un altro bambino li aveva accusati.
Sono queste le persone offese. Sono bambini. Che già stanno pagando il loro conto con la vita.
La solidità delle accuse si leggono nel corpo dell’ordinanza applicativa di misure cautelari personali del giudice per le indagini preliminari, dr.ssa Federica De Bellis, nei confronti di: RAHASIMALALA Marie Georgette, RAZANADRAOZY Noeline, CURAYAlice Albaracin e DE BONIS Angela.
Le decisioni del GIP sono molto chiare e, soprattutto, sono basate su gravi indizi di colpevolezza.
Dalle fonti di prova acquisite, come sopra sinteticamente esposte, emerge con evidenza la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, nei confronti delle indagate per i reati ascritti in rubrica. In punto di diritto si rileva che le dichiarazioni della p.o., possono essere assunte; anche da sole, come fonte di prova ove siano sottoposte a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente riscontri esterni ove non sussistano situazioni che inducano a dubitare della loro attendibilità. La giurisprudenza, con orientamento assolutamente consolidato, ha affermato il principio che, pur non applicandosi alle dichiarazioni della p.o. le regole di cui ai co. 3° e 4° dell’art. 192 c.p.p. (che postulano la presenza di riscontri esterni), occorre pur sempre, in considerazione dell’interesse di cui la parte lesa è portatrice, una rigorosa valutazione ai fini del controllo di attendibilità rispetto al generico vaglio cui vanno sottoposte le dichiarazioni di ogni testimone (cfr., da ultimo, Cass. Sezioni Unite, 19/7/2012- 24/10/2012, n. 41461).
Le dichiarazioni accusatorie rese dalla minore appaiono, per precisione e coerenza, genuine oltre che corroborate da oggettivi riscontri rappresentati dal video acquisito agli atti, nonché dalle s.i.t. rese, che confermano quanto dichiarato dalla minore e forniscono ulteriori elementi indiziari a carico delle indagate.
L’insieme, dunque, di tali elementi porta a ritenere assolutamente credibile la·versione dei fatti resa da una delle pp.oo. Allo stato, appaiono dunque sussistenti i gravi indizi di colpevolezza per tutti i reati contestati in imputazione.
In particolare, deve rilevarsi che il video posto all’attenzione di questa A.G. e appositamente visionato restituisce un quadro allarmante delle violenze e dei soprusi che, a dire della minore, si consumano abitualmente all’interno dell’Istituto. Le immagini catturano, infatti, tutta l’azione feroce che si consuma ai danni del piccolo.
Si nota, infatti, una delle consorelle presenti in Istituto, identificata in “Suor Goretti” (Rahasimala Marie Georgette) accanirsi furiosamente sul piccolo di appena 4 anni, prima colpendolo con un panno giallo e poi schiaffeggiandolo reiteratamente e tirandogli con forza i capelli nonostante lo stesso sia visibilmente terrorizzato e pianga vistosamente anche a causa del dolore provocato dalle violenze subite – si nota, infatti, il minore piegare il collo e poi il busto, durante l’azione aggressiva, a dimostrazione del vigore con cui viene tirato per i capelli dalla donna.
Non può, inoltre, non sottolinearsi la personalità particolarmente allarmante della donna che non placa la sua azione gratuitamente aggressiva neanche di fronte alle richieste degli altri bambini che la invitano a fermarsi gridandole “..Oooh, è un bambino! E’ un bambino! Gli fai i segni in faccia! Non mi sto zitto! Lui, ma che c’entra? Gli fai sempre male!…”.
Agli atti vi è poi un secondo video che mostra il piccolo trovare conforto tra le braccia del fratello Antonio, il quale, a sua volta, evidenzia un’evidente fuoriuscita di sangue dalle narici, segno palese di una precedente violenza subita.
Tale video riscontra le dichiarazioni rese della minore, rendendo il suo narrato perfettamente attendibile: “A questo punto, il fratello più grande Antonio, è intervenuto per difendere il piccolino e veniva picchiato con schiaffi e tirate di capelli, dalla suora, tanto che gli usciva il sangue dal naso.”
La minore riferiva poi che le violenze erano perpetrate in quella stessa circostanza anche ai danni dell’altra sorella, alla quale parimenti erano tirati i capelli e che, nelle more, giungeva anche Suor Nellina, la quale però non si adoperava in alcun modo per fermare l’azione violenta.
Il narrato della minore, dunque, è confermato e deve ritenersi genuino non solo con riguardo all’episodio in parola, ma anche con riferimento a tutte le condotte contestate alle consorelle e alle indagate del presente procedimento.
La piccola, infatti, ha riferito che tali tipo di violenze erano poste in essere da tempo e abitualmente soprattutto ai danni dei bambini più piccoli anche da parte di “Suor Nellina” (Razanadraozy Noeline): “Anche questa suora, è solita, soprattutto con i bimbi più piccoli, dai quattro ai tre anni circa ”picchiarli… tipo bacchettandoli con una ciabatta, colpendoli sulle braccia, tirandogli i capelli, dandogli schiaffi, soprattutto questa “Suor Nellina” che ha una mano molto forte, fatto che ricordo bene essendo stata anche io colpita negli anni passati”.
L’abitualità delle condotte appare comprovata anche dalla affermazione resa nel video dal minore che tenta di fermare l’ira della suora accusandola di fare sempre del male al piccolo: “gli fai sempre male”.
Ancora, deve ritenersi, sulla scorta degli elementi indiziari raccolti, che anche le dichiarazioni accusatorie rese siano del tutto attendibili con particolare riferimento al le violenze poste in essere da “Suor Edda” (identificata in Angela De Bonis) la quale avrebbe schiaffeggiato il figlio anche alla sua presenza.
Inoltre, dichiarava che i figli le avrebbero più volte raccontato di essere stati colpiti dalle suore e in particolare da Suor Edda con pugni, lanci di oggetti, schiaffi e persino con la scopa.
La donna riferiva di non aver denunciato le violenze subite dai figli poiché la stessa Suor Edda l’aveva minacciata che laddove avesse lamentato un qualcosa che riguardava il suo Ente, le avrebbe impedito di far visita ai bambini. La donna, dunque, in quanto sospesa dalla responsabilità genitoriale, per paura di non poter più incontrare i suoi figli, decideva di non denunciare quanto dagli stessi riferitole.
Va, inoltre, sottolineato, lo stato evidente di soggezione psicologica in cui versano i minori presenti in Istituto, tanto che uno di loro, escusso a s.i.t., dopo essersi riconosciuto nelle foto che lo ritraggono rispondeva “Non voglio dire nulla finché non ho il permesso”, più che verosimilmente impaurito delle possibili ripercussioni nei suoi confronti.
Ciò posto, deve ritenersi configurato il reato in contestazione al capo a) quantomeno sotto il profilo della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
IL REATO NEL DETTAGLIO
La reiterazione, per un apprezzabile lasso di tempo, di condotte moleste e vessatorie (ingiurie, aggressioni fisiche e verbali, atti di dispotismo) rende configurabile il delitto di cui all’art. 572 c.p.
Secondo lo schema dei reati abituali propri, nel cui genus si colloca la fattispecie prevista dall’art. 572 c.p., il delitto di maltrattamenti consiste nella reiterazione nel tempo di più fatti lesivi genericamente omogenei che, isolatamente considerati, possono anche non costituire reato, ma che, valutati nel loro insieme, determinano uno stato di sofferenza fisica o morale della parte offesa, integrando così la condotta tipica.
Pertanto, alla stregua della sopra riferita struttura, in alcuni casi il singolo atto non giunge ad offendere il bene giuridico della dignità fisica e morale del soggetto passivo, poiché la compromissione dello stesso è ricollegata solo alla reiterazione degli atti lesivi.
Per questo motivo illustre dottrina evidenzia come, nel reato in argomento, la condotta incriminatrice deve assurgere a vero e proprio “regime di vita” connotato dall’abitudine costante, cosciente e volontaria del soggetto attivo di offendere l’altrui personalità e dal costante patimento del soggetto passivo (in tal senso anche Cass. sez. VI, 4/3/96, n. 4015).
Dunque, ai fini della configurabilità della fattispecie, occorre che venga rintracciato tra le singole manifestazioni della condotta l’esistenza del cd. nesso di abitualità, cioè la frequente e non sporadica ripetizione di comportamenti omogenei, essendo la reiterazione degli episodi lesivi elemento costitutivo del reato.
1 – continua