giovedì, Settembre 19, 2024

Accoltellato dal cugino, esce dalla rianimazione. E’ pronto per essere interrogato dai carabinieri

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Il cugino che lo ha colpito con una coltellata è agli arresti domiciliari ed ha raccontato i motivi della lite. Gli inquirenti ritengono necessario sentire l’altra campana per conoscere quali sono i veri motivi che hanno scatenato questa dura contrapposizione, tale da indurre uno ad impugnare un bastone e l’altro un coltello

Paolo Mosè | E’ uscito dalla rianimazione ed è stato trasferito nel reparto di chirurgia. Le sue condizioni fisiche sono migliorate e il drenaggio che gli era stato applicato per un versamento polmonare eliminato, anche se deve rimanere tuttora sotto osservazione per la grave ferita riportata. Vittima dell’aggressione del cugino Noè Fioretti, molto più giovane ed attualmente detenuto agli arresti domiciliari. Come disposto da subito dal pubblico ministero di turno, che ha poi firmato la richiesta di convalida senza alterare lo stato detentivo.

E’ una fase per così dire di conferma dell’attività investigativa svolta celermente dai carabinieri del Nucleo operativo della Compagnia di Ischia, che sono intervenuti subito dopo il ferimento. Nelle ore successive il giovane indagato sottoscrisse delle dichiarazioni. Ricostruendo l’accaduto sommariamente e spiegando le ragioni che lo avevano indotto a reagire in quel modo. Per poi arricchire la ricostruzione alla presenza del suo difensore di fiducia, Michele Calise, allorquando si è trovato di fronte il giudice per le indagini preliminari Rossetti che lo ascoltava con un collegamento predisposto dalla caserma dei Carabinieri di Ischia all’ufficio del giudice.

I RAPPORTI FAMILIARI
Ora che le condizioni di salute del trentaduenne sono migliorate e che a quanto pare non vi è più alcun pericolo per la sua vita, il pubblico ministero d’accordo con i carabinieri ha intenzione di ascoltare colui che si ritrova ancora disteso su un letto dell’ospedale “Rizzoli” e dalle indiscrezioni che sono trapelate, la Procura è intenzionata a delegare i carabinieri, che conoscono benissimo tutto ciò che è stato raccolto finora e che hanno svolto ulteriori accertamenti ascoltando persone informate sui fatti. Parenti e amici che in qualche modo sono a conoscenza dei rapporti che intercorrevano tra i due. Per arrivare alla verità, conoscere cosa covava sotto le ceneri prima dell’incontro che si è dimostrato molto tumultuoso, fino a sfiorare la tragedia.

Il magistrato intende arrivare all’interrogatorio con la parte offesa, che è rappresentata dall’avv. Vincenzo Aperto, con più elementi possibili onde porre domande ben precise. Prima di entrare nel merito che ha portato al suo ferimento. Solo in questa fase successiva gli inquirenti si attendono che la vittima ricostruisca dalla sua viva voce le cause di questo violento diverbio. Per rintuzzare, molto probabilmente, ciò che ha riferito l’indagato, che ha asserito – per difendersi dall’accusa di tentato omicidio – di aver avuto un rapporto con il cugino a volte teso, opprimente. Di essere diventato un soggetto nelle sue mani, era obbligato a fare tutto ciò che gli veniva chiesto, di volere a tutti i costi che lui troncasse ogni rapporto con i propri genitori. Anche se nell’ambito dei nuclei familiari non correvano buoni rapporti tra il padre dell’indagato e gli altri fratelli per questioni varie, non scartando ovviamente quella della distribuzione dell’eredità, che è una delle cause principali delle rotture traumatiche. Ma questo aspetto, a quanto pare, non sarebbe per nulla collegato al litigio tra i due. Ecco, i carabinieri intendono sapere da colui che ha subito la coltellata se effettivamente avesse messo in atto una serie di azioni tali da rendere la reazione spropositata del cugino armato. O se invece vi è qualcosa che fino a questo momento non è emerso in modo chiaro.

LA STRATEGIA DELLA DIFESA
Siamo in una fase di indagine molto delicata, che diventa determinante per il prosieguo degli accertamenti, che si concluderanno di sicuro con il processo. L’unica sede ove si dimostra la penale responsabilità o meno di un imputato. Dall’altra la difesa, sostenuta dall’avv. Calise, non contesta in toto il comportamento del proprio assistito, che tra l’altro non ha negato di aver colpito utilizzando il coltello che custodiva nel giubbino. Cercando di “rimodellare” l’accusa. Passare dal reato di tentato omicidio a quello di lesioni gravissime. E’ una circostanza non da poco, sotto l’aspetto quantitativo della pena, una volta accertata la responsabilità. Come la difesa sta ancora valutando sulla necessità o meno di presentare ricorso al tribunale del riesame per la misura applicata. Arresti domiciliari che potrebbero essere eventualmente modificati con una misura meno afflittiva.

E’ una possibilità da valutare con attenzione, in considerazione della gravità dei fatti e per non “incorrere” nel rischio che si giunga ad una conferma, che comporterebbe per la difesa l’unica soluzione di un ulteriore ricorso in Cassazione. E sarebbe anche in questo caso un rischio da valutare con altrettanta ponderatezza. Alla luce degli atti, non è da escludere che si possa valutare più avanti un rito alternativo, ma questo verrebbe preso in considerazione solo nel momento in cui il pubblico ministero ordinasse la notifica della chiusura delle indagini preliminari.
Dall’altro la difesa della vittima lamenta che in questa fase la pubblica accusa non abbia voluto mandare un segnale più forte, soprattutto allorquando decise di inviare il Fioretti a casa ai domiciliari non ritenendo che vi fossero esigenze tali da ordinarne il trasferimento in carcere in attesa della convalida. E si è detta anche sorpresa che nella richiesta di convalida sia stata avanzata una misura che andava a confermare la decisione presa nella immediatezza dei fatti. Sono posizioni che si appalesano quando vi sono due posizioni contrastanti e quando c’è di mezzo il ferimento di una persona.

LE CAUSE DELLA CONTRAPPOSIZIONE
E’ un’indagine in via di evoluzione e le prossime attività consentiranno di avere ancora più chiara la dinamica e per così dire il movente, su cui non si riesce ancora a capire con chiarezza quali siano le fondamenta di tanta acredine, contrapposizione. Del perché il Fioretti avesse voluto questo incontro per un verso chiarificatore e dall’altro per cercare di ritornare ad avere la sua vita e le sue scelte senza alcun condizionamento. L’indagato dinanzi al giudice per le indagini preliminari ha cercato di dare una risposta ad ogni dubbio, di colmare quelle lacune che il gip ha cercato di chiedere per ottenere una risposta che squarciasse quel velo che fino a quel momento consentiva a chiunque di sviluppare diverse ipotesi. Perché il giovane indagato ha posto nuovamente in evidenza, dopo averlo fatto con i carabinieri qualche giorno prima, che il cugino ferito aveva avuto nei suoi confronti da molto tempo un atteggiamento morboso. Tant’è vero che ogni sua scelta, ogni suo rapporto anche nell’ambito familiare venisse in qualche modo affrontato dalla vittima, anche con richiami.

Questo rapporto aveva innescato, secondo queste dichiarazioni, una situazione non più sostenibile, tale da sentirsi “prigioniero” del cugino. E il più tempo passava, più la situazione diventava insostenibile. Ed è stato per questo che ad un certo punto ha affrontato il cugino trentaduenne per chiarirsi e sgombrare gli ultimi ostacoli. Non ritenendo più che questo rapporto potesse andare avanti all’infinito. Il faccia a faccia c’è stato e si è concluso male, malissimo. I dubbi, le accuse, le richieste di ritornare a trovarsi con se stesso avrebbero ricevuto risposte per nulla accomodanti. Come l’indagato ha precisato al giudice. Innescando uno scontro verbale con toni anche accesi, come avviene di solito quando esistono visioni diverse e interessi diversi. Con il Fioretti a rinfacciare al cugino certe pretese, mentre dall’altra la risposta sarebbe stata del tutto infastidita, di una contraccusa.

IL BASTONE DI LEGNO
Uno scontro verbale con toni alti che sarebbero aumentati di più, fino ad arrivare allo scontro fisico. Il Noè ha riferito sul punto che il cugino abbia perso completamente il controllo delle sue azioni. Fino ad arrivare ad armarsi di un bastone di legno e senza alcun tentennamento iniziare a lanciare fendenti per colpirlo, fargli male. Stando alle dichiarazioni rese dall’indagato, alcuni di questi colpi sarebbero finiti a vuoto. Qualche altro a ferirlo lievemente, senza però provocare grossi danni. L’aggressione non sarebbe terminata anche dinanzi a delle richieste di fermarsi provenienti dal venticinquenne. Il quale era costretto a indietreggiare per evitare di farsi male veramente e di fronte alla impossibilità di calmare le ire del cugino a quel punto ha dichiarato di aver impugnato il coltello che deteneva nel giubbino per bloccare l’avanzata dell’aggressore. Non riuscendo neanche mostrando la lama d’acciaio e a quel punto, per difendersi, ha sferrato il colpo, la cui lama si è conficcata nel lato sinistro provocando danni irreparabili alla milza e solo per provvidenza divina il coltello si è fermato a pochi centimetri da altri organi, che se danneggiati avrebbero potuto compromettere la salute della vittima. Ed ha concluso che solo a quel punto si è fermato per il dolore lancinante, piegandosi su se stesso. E proprio in quell’istante è sopraggiunto un parente, che ha udito le grida che giungevano da ambo le parti. Dando immediatamente soccorso al ferito. E confermando lui stesso di aver cercato di dare assistenza per tamponare la fuoriuscita di sangue.

Nella ordinanza del gip la scelta di applicare conformemente la misura degli arresti domiciliari (come sollecitata dal sostituto procuratore) è dettata dal comportamento dell’indagato, che nella circostanza ha colpito una sola volta il trentaduenne. Fermandosi immediatamente e ciò in qualche modo a voler anche significare che non aveva proprio tutta quella “voglia” di uccidere. Ha dimostrato di voler collaborare con le forze dell’ordine prima e con l’autorità giudiziaria poi. Dando una spiegazione per ciò che era accaduto. Assumendosi la responsabilità del ferimento e di ricostruire le fasi più calde dando un’ulteriore spiegazione del perché avesse voluto quell’incontro. Per chiarirsi. Un chiarimento che poi è diventato dramma per ambo le famiglie coinvolte.

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