giovedì, Novembre 21, 2024

Al Polifunzionale gli ischitani e “i giusti nel tempo del male”

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Gianni Vuoso | Siamo nel 2004. D’Alema fu tassativo nel difendere la partecipazione dei caccia italiani ai bombardamenti. “Noi siamo impegnati in un evento bellico e siamo anche in una posizione molto esposta. Credo che nessuno possa pensare che le Forze armate italiane non difendono i soldati e i civili italiani che operano nell’area. Se si chiede questo al mio governo… venga un altro al mio posto. Finché ci sono io, neutralizzare chi ci bombarda è giusto. Anzi è un dovere, una scelta obbligatoria”. Poi, ostentando i galloni di “guerrafondaio” e mettendo a tacere gli inoffensivi mugugni che provengono dalla sua maggioranza, ha ribadito che l’Italia è sempre stata in prima linea nell’aggressione alla Serbia”.

Fin qui brani di cronaca di alcuni giornali, di quel periodo in cui in Bosnia, in Jugoslavia, c’era l’inferno.

Nel dicembre del 2004 il “Financial Time” scriveva che la Bosnia è “il maggior fallimento politico europeo degli ultimi vent’anni”. Di fatto l’Unione europea imperialista in Bosnia è intenzionata a giocare due carte: la prima per sperimentare per la prima volta sul campo il suo esercito, la seconda per diventare l’interlocutore privilegiato ed esportare le leggi imperialiste, liberiste e liberticide contenute nella sua nuova Costituzione.

Insomma, stiamo parlando della tremenda e atroce pulizia etnica in Bosnia, alle porte del nostro paese, con D’Alema, uomo di una certa sinistra, al potere! Una tragedia di cui parla Svetlana Broz in un suo bellissimo libro “I giusti nel tempo del male” (Edizioni Erickson), dove raccoglie testimonianze di gesti positivi compiuti durante la guerra bosniaca. Grandi e piccole resistenze alla logica della divisione. Per una memoria non solo etnica.

Novanta testimonianze dalla guerra in Bosnia Erzegovina. Persone diverse tra loro per provenienza, cultura, appartenenza nazionale. Persone normali, potremmo dire. Ma che nella loro normale esperienza di violenza dentro la guerra hanno potuto vivere e riconoscere anche gesti di solidarietà umana. Le sue quasi cinquecento pagine sono un valido contributo alla memoria di quanto accaduto al di là dell’Adriatico nell’ultimo decennio del secolo scorso. La Broz si concentra sulle vittime, e sui loro racconti spesso semplici. Per sé riserva appena nove pagine tra prologo ed epilogo, il resto va alla voce diretta degli intervistati. “Le generazioni future devono sapere ed essere coscienti che nel mondo sono esistite persone di questo genere”.

I testimoni descrivono atti di coraggio estremo – “Prendetemi al posto suo. Impiccate me ma lui lasciatelo andare” – insieme a dettagli apparentemente minori, come il caffé ricevuto da un prigioniero dopo giorni di botte e maltrattamenti. L’autrice svolge l’indagine come un vero e proprio atto politico, sua personale resistenza alla logica di divisione imposta dalla guerra. Prima come medico e poi come intervistatrice incontra nel corso dei combattimenti e nell’immediato dopoguerra centinaia di persone, facendosi raccontare le esperienze positive da loro vissute. L’obiettivo non è negare il male, che anzi appare a volte nelle pagine in tutta la sua tragicità. Ma salvare anche gli sprazzi di generosità, pure esistiti e raramente ricordati.

Certo, a volte nelle storie raccolte ci sono molte più crudeltà che gesti positivi. Una mamma di Visoko, picchiata e violentata, racconta della salvezza grazie ad alcuni militari che la proteggono e insieme del tormento di ogni notte per le grida del figlio, sgozzato sotto ai suoi occhi. Un’anziana croata testimonia dei vicini serbi che l’aiutano, ma anche del giovane miliziano che la stupra per ore. Forse è proprio la linea sottile tra bene e male, la soggettività di ogni interpretazione degli eventi il dato che più emerge dal libro.

Svetlana Broz è nipote di Josip, il maresciallo Tito. Alcune delle persone intervistate ricordano con nostalgia gli anni del socialismo: “Abbiamo vissuto bene durante il periodo di suo nonno”, oppure “Vivevo nel più bel paese che c’era al mondo. Chi ha osato portarmelo via?”.

Questa tragedia diventa studio teatrale, introspezione scenica, grazie al lavoro del CLAET (Centro Lettura e Attività Espressive Teatrali) nato nel 1987 con l’intento di costituire un gruppo teatrale amatoriale che coinvolgesse i ragazzi del quartiere, così da portare avanti l’esperienza positiva ed entusiasmante di approccio al teatro vissuta alla scuola elementare “L. Mercantini“ di Palombina.

E a distanza di più di trent’anni e più di cinquanta premi conquistati in tutta Italia, senza una sede fissa, ma con tanto entusiasmo, per noi è ancora teatro, il CLAET, sotto la regia del bravissimo Diego Ciarloni, è sbarcato ad Ischia, ancora una volta, per riconquistare gli applausi ricevuti quando uscirono vincitori di una precedente edizione di Aenaria. Anche stavolta gli applausi sono stati fragorosi anche se la sala non conta le folle del teatro di famiglia. Gli ischitani che hanno partecipato sapevano bene cosa avrebbero visto e sono usciti tutti soddisfatti, entusiasti.

Tra l’altro, la Compagnia teatrale Claet compie 30 anni di attività e riscuote successi a livello nazionale. Il bilancio del 2016 parla chiaro: la compagnia di Ancona ha riscosso ben quindici premi a livello nazionale. Inoltre, tra i successi che hanno reso orgoglioso il gruppo e gli spettatori, il Claet ha ottenuto il premio “Marche in…atti” e ha rappresentato la regione Marche nella finale nazionale del Gran premio Fita del 2017. Insomma, il gruppo che conta 6 componenti fra artisti e tecnici, è diventato una vera e propria palestra di teatro e continua a mietere successi, premi e riconoscimenti. Ad Ischia l’altra sera, il gruppo si è esibito con un trio eccezionale: Simona Paolella, Angela Ursi e Diego Ciarloni. La regia è dello stesso Diego Ciarloni, che ha anche curato egregiamente la regia.  Diego conosce il teatro fra i banchi del Liceo nel 1993, come tanti giovani ischitani. collabora con alcune compagnie della città. Fonda una compagnia a Macerata. Con il C.L.A.E.T. “cresce” grazie a figure professioniste come quella di Luigi Moretti. Nel 2001 dirige un laboratorio teatrale del comune di Falconara rivolto a bambini. Nel 2002 altra esperienza con il Claet in qualità di attore e regista. Poi riassapora cosa significa dedicarsi solo alla recitazione per il Claet nel fortunatissimo spettacolo Xanax, vincendo anche un premio come miglior attore protagonista, proprio alla rassegna ischitana di Aenaria. Il 2017 segna l’inizio dei lavori dello spettacolo “I giusti nel tempo del male” in cui Diego sarà ancora impegnato nel duplice ruolo di regista e attore protagonista.

Detto questo di Diego, riteniamo doveroso segnalare anche l’esibizione di Angela Ursi e Simona Paolella che sono riuscite a comunicare il pathos, lo sdegno, l’amore, quel groviglio di sentimenti che il lettore può ritrovare nel capolavoro della Broz.

Un ennesimo plauso al fondatore di Aenaria Corrado Visone che, insieme agli Amici del Teatro, sta coraggiosamente percorrendo una strada difficile, ma di grande valore civile, essenziale a far crescere il nostro livello culturale. Mancano altri due importanti appuntamenti: “Icaro caduto” che farà discutere, proprio laddove il lavoro ricorda che non si deve sfidare la parola del padre, in antitesi con lo spirito che ha caratterizzato cinquant’anni fa, il moto sessantottino; e “Rapido 904” (sabato e domenica 14 de 15 dicembre) scritto e interpretato dallo stesso Corrado e da Valentina Lucilla Di Genio, una bellissima opera dedicata a Federica Taglialatela.

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