Come non ricordare per l’ennesima volta le parole del mio babbo: “Quando il Napoli deve sfruttare un’occasione, viene sistematicamente meno”. E ancora una volta ha avuto ragione lui, che dall’aldilà di certo si sarà incazzato come e più di me.Contro il Bologna non era certo la partita da vincere a mani basse, lo sapevamo. Loro giocano un gran calcio, hanno un’identità chiara, corrono, pressano, non mollano. Ma allora perché fa così male? Perché ogni volta che l’Inter inciampa, noi sembriamo più preoccupati di non approfittarne che convinti di farlo? È questo il vero veleno nella ferita: la sensazione che manchi la fame, che non ci sia la cattiveria giusta, che la maglia azzurra venga indossata senza sentirne il peso sacro della responsabilità.Il primo tempo si è chiuso in vantaggio 0-1 dopo aver sprecato ben più di un’occasione per mettere nel ghiaccio la partita, ma forse già sapendo che si sarebbe rientrati in campo con l’ennesimo sguardo basso, spalle curve, la sensazione familiare di chi ha già perso qualcosa prima ancora di giocarsela fino in fondo. E quando è così, c’è poco da fare. La ripresa, ancora una volta, è diventata un atto dovuto, più che un’occasione. E si torna a casa con quella rabbia muta, che conosce bene chi ama troppo e viene tradito da chi dovrebbe lottare con te e per te.E’ solo una questione fisica? Gli uomini di Conte, che pure ha portato con sé un rigore quasi militaresco e un’apparente fiducia incondizionata nei suoi ragazzi, sembrano sciogliersi come neve al sole appena l’avversario rientra in campo in svantaggio e tenta di correre ai ripari. Stellini, il suo vice, lunedì sera nel dopo-partitaparlava di mentalità carente. Ma cosa vuol dire, davvero? Che non abbiamo più la testa per reggere la pressione? Ma non era questa la squadra rinata dalle ceneri di quella dello scudetto di due anni fa, la stessa che lo scorso anno ha chiuso al decimo posto una stagione con il tricolore sul petto?Forse sì, qualcosa si è rotto: difetto di preparazione, errori tattici, cambi sempre tardivi, chissà… forse anche l’obiettivo di stagione ormai a portata di mano ma non ancora matematicamente assicurato. Ma il punto è che chi indossa questa maglia non può permetterselo. Perché alle loro spalle ci siamo noi, tifosi del Napoli, che non abbiamo mai smesso di crederci, nemmeno quando la logica ci suggeriva il contrario. Viviamo ogni partita come fosse l’ultima, oscillando in bilico tra speranza e disillusione, come equilibristi affamati di gloria.E allora viene da chiedersi: chi decide davvero dove deve finire la passione e cominciare la ragione? Chi traccia quella linea sottile tra l’amore viscerale per questi colori e il dolore di sentirsi, a volte, ignorati e bistrattati da chi dovrebbe rappresentarci in campo con la nostra stessa tensione? Siamo pazzi, noi tifosi, o semplicemente innamorati? Non si può spiegare il sentimento che ci fa urlare, esultare, soffrire, sperare. È un legame che scavalca il risultato, ma non per questo sopporta l’indifferenza, la svogliatezza, l’arrendevolezza, l’insuccesso.Il quarto scudetto sembrava un sogno, ma adesso è una possibilità, quasi una responsabilità a cui i fatti rispondono con una scrollata di spalle. Ed è questo che fa male: vederla sfumare perché chi dovrebbe guidarci verso quella meta non sembra crederci fino in fondo, un po’ come se fosse già pago di quanto fatto finora. Ma noi sì. Noi ci crediamo. Sempre. E proprio per questo, oggi, siamo così tremendamente frustrati da quello che sembra una sorta di inconsapevole rifiuto di scrivere un’altra rara, preziosissima pagina di storia azzurra. Peccato!
Ancora una volta, un Napoli smarrito | #4WD

Daily 4ward di Davide Conte del 9 aprile 2025