Ugo De Rosa | L’interrogazione a risposta immediata del ministro Cartabia è l’argomento del momento. La valutazione “caso per caso” delle demolizioni utilizzato come metodo alternativo alla definizione di “abusivismo di necessità” apre un dibattito che, come al solito, divide.
Per avere una valutazione esperta abbiamo chiesto all’avvocato Bruno Molinaro di darci una sua chiave di lettura.
Avvocato come giudica questa risposta? È un’apertura, come sostengono i più ottimisti, verso la soluzione del problema o è il solito palliativo?
“Non è la soluzione al problema e non è a mio avviso nemmeno il solito palliativo, perché un palliativo è sempre qualcosa in più del nulla, non combatte la malattia ma, comunque, ne allonta anche se di poco le conseguenze.
Qui non c’è proprio nulla di nuovo e di risolutivo. Anzi, ritengo che la risposta del Ministro rappresenti un esplicito riconoscimento di impotenza della politica di fronte al sovranismo giudiziario ormai imperante in Italia da “mani pulite” ai giorni nostri.
Le Procure, prima di ogni altro organo giudiziario, il problema delle demolizioni e delle ricadute sociali che ne derivano non se lo pongono neppure, soprattutto da noi in Campania. Procedono con i paraocchi, inflessibili ed incuranti delle conseguenze della loro azione sovente disancorata da criteri di logica e ragionevolezza, limitandosi soltanto a giustificare le esecuzioni con l’esigenza di dover dare attuazione alle sentenze passate in giudicato.
Poco importa che tali sentenze siano rimaste ineseguite per decenni, determinando giustificato affidamento nei condannati.
Tutto questo è paradossale perché altri sono i principi, di eguale valore sul piano Costituzionale, che andrebbero salvaguardati in queste situazioni: primo su tutti quello della proporzionalità della misura ripristinatoria.
È evidente e pressoché scontato che, come dice il Ministro, è il giudice a dover valutare caso per caso la proporzionalità della sanzione ma è sotto gli occhi di tutti che questa è, nei fatti, solo una petizione di principio, poiché non si è registrato, a mia memoria, in Italia sino ad oggi un solo esempio di procedimento di esecuzione in cui la demolizione sia stata considerata sproporzionata rispetto alle gravi condizioni socio-economiche e di bisogno del condannato.
Frequentemente vengono disapplicati anche i permessi in sanatoria rilasciati dai comuni anche quando gli stessi non costituiscono il prodotto di attività criminose, ovvero di collusioni tra pubblico ufficiale e privato beneficiario.
In molti casi vengono demolite anche opere preesistenti agli abusi oggetto di RE.S.A. ed è innegabile che questo “modus procedendi” non trovi rispondenza in alcun addentellato normativo, ponendosi per di più in contrasto con lo stesso titolo esecutivo, ovvero la sentenza di condanna.
Non doveva – di certo – essere il Ministro a ricordarci che “è nell’ambito della procedura esecutiva che debbono assumere rilievo le istanze di carattere individuale, come per esempio quelle delle persone sprovviste di alloggio alternativo, che dovranno essere valutate accuratamente dalle autorità competenti e in primo luogo dall’Autorità giudiziaria, caso per caso”. Questa precisazione, considerata da qualcuno come un’apertura, è oltremodo lapalissiana e pecca, peraltro, di originalità.
Il principio, infatti, è stato affermato per la prima volta dalla Corte di Cassazione con una sentenza dell’8 gennaio 2021, cui hanno fatto seguito altre due decisioni del medesimo contenuto.
Tuttavia, questo principio, che a ben vedere è un principio di civiltà giuridica di matrice europea, frutto di un orientamento consolidato della Corte di Strasburgo inaugurato con la nota sentenza “Ivanova” (relativa ad una demolizione di una casa sul Mar Nero in Bulgaria), nella pratica non viene mai applicato, forse perché i giudici della esecuzione sono insofferenti ai vincoli giurisprudenziali imposti dalla Corte Europea.
In concreto, i giudici della esecuzione, così come anche le Procure, si limitano ad affermare, in linea con un indirizzo risalente e superato della stessa Corte di Cassazione, che non esiste un diritto assoluto alla abitazione e, dunque, non può esservi tutela per il destinatario della sanzione demolitoria, anche se sprovvisto di un alloggio alternativo e in precarie condizioni economiche e di salute”.
Quindi siamo davvero di fronte all’ennesima resa della politica di fronte ad un problema di così grave impatto sociale?
Ritengo proprio di sì. Ed aggiungo che è ancora più grave il fatto che il Ministro, dopo aver dato atto che “dall’analisi delle singole, specifiche situazioni possono emergere situazioni di insuperabile necessità a cui dovrà essere dato adeguato rilievo, individuando di volta in volta le soluzioni appropriate”, ha anche inteso sottolineare che “tali specifiche problematiche sembrano invece assai difficilmente declinabili nel quadro di un intervento normativo o comunque di carattere generale”.
In questa frase si coglie da un lato il fallimento e la subalternità della politica al potere giudiziario che dovrebbe solo occuparsi della applicazione della legge e, dall’altro, il gigantismo o se si vuole il sovranismo dello stesso potere giudiziario, la cui discrezionalità nel valutare i singoli casi è ormai illimitata e talvolta sconfina anche in arbitrio, per giunta non punibile se non vi è prova di dolo o colpa grave.
I magistrati, infatti, non possono essere puniti per la cattiva interpretazione della legge, né chiamati a rispondere, in tale ipotesi, dei danni arrecati al cittadino per il cattivo esercizio della funzione giudiziaria.
Il Ministro, nel riconoscere che solo il giudice potrà risolvere caso per caso ogni questione, non il legislatore, ha finito per ammettere candidamente che la politica ha delegato alla magistratura il suo potere.
Siamo, quindi, al cospetto di una magistratura che non “parla” solo il diritto ma lo “crea” e il popolo, con i suoi rappresentanti democraticamente eletti, nulla può fare per impedire questo stato di cose.
Deve solo sperare nel prudente intervento del giudice.
Quindi, per il Ministro, non può esserci nessuna legge, nessun decreto-legge, nessun intervento normativo e, a quanto pare, nemmeno un provvedimento di sospensione come quello adottato di recente in materia di sfratti.
Ciononostante – ha concluso il Ministro – “non sfugge all’attenzione di questo Governo la condizione sociale di chi potrebbe trovarsi sprovvisto di una soluzione abitativa proprio durante l’emergenza sanitaria in corso”.
Ma non si può trascurare che “la procedura di demolizione tende ad eliminare le conseguenze dannose di una condotta illecita, rimuovendo i danni recati alla tutela del territorio e dell’ambiente, con l’obiettivo di ricostituirne l’equilibrio”.
Questa è una frase ad effetto che, però, non è nemmeno farina del sacco del Ministro.
Gli addetti ai lavori sanno bene che questa frase corrisponde ad un’affermazione di principio estrapolata dalle sentenze della Cassazione.
Si veda – tra le tante – quella della Sezione Terza dell’11 novembre 2020, n. 4015, in cui si legge testualmente che “nell’ordinamento italiano, infatti, l’ordine di demolizione non riveste una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, ma assolve a una funzione ripristinatoria del bene tutelato; la ratio della previsione, dunque, non è quella di sanzionare ulteriormente (rispetto alla pena principale inflitta) l’autore dell’illecito, ma quella di eliminare le conseguenze dannose della condotta medesima, rimuovendo la lesione del territorio così verificatasi e ripristinando l’equilibrio urbanistico-edilizio violato dalla commissione dell’illecito penale».
Nessuna speranza, quindi, per una soluzione?
No. Nient’affatto. Io non mi arrendo mai neppure di fronte all’evidenza più cupa, anche perché spero molto in Draghi, che è un vero statista e, al tempo stesso, un uomo molto pragmatico.
L’avvocatura intera, del resto, ha piena coscienza del problema ed è per questo che sta mettendo in campo una serie di iniziative che, prima o poi, daranno i loro frutti, anche perché ritengo che si stia esagerando troppo, come verificatosi, ad esempio, nel caso di De Siano Domenico di Forio e della moglie Filomena con sospetta positività al COVID e ciononostante costretta impietosamente ad abbandonare l’unica sua dimora.
Questa non è giustizia e la corda prima o poi si spezzerà.
È nella logica delle cose”.
“Sovranismo giudiziario” e la ” lotta continua”, quando la contraddizione è metodo e le leggi vengono considerate come zavorra. “Mani pulite” diventa terrorismo di stato e i paladini del grigiore pseudolegale la fanno da padroni.