Quando parliamo di cittadini disabili e di come le strutture ricettive e di svago della nostra isola (ma non solo!) dovrebbero essere accessibili, dobbiamo sempre pretendere il massimo. Non solo per quanto attiene alla logistica e alle infrastrutture che le strutture devono fornire, ma anche per quanto riguarda la collaborazione e l’empatia che dovrebbero avere tutti quei dipendenti che lavorano a contatto con il pubblico e, in particolar modo, con quelle persone che già affrontano un conto amaro con la vita e si trovano a vivere con una mobilità ridotta.
Quella che vi raccontiamo è la storia di un giovane disabile che ha vissuto un’esperienza spiacevole al Bar Calise di Ischia. È domenica pomeriggio quando questo disabile decide di vivere qualche ora di relax insieme ai propri amici nei luoghi che gli erano familiari quando non era costretto su una sedia a rotelle e poteva muoversi liberamente. Poi la vita lo ha costretto a vivere in una nuova dimensione e tutto è cambiato.
Ma veniamo alla storia. Domenica sera, mentre con gli amici gustava il suo aperitivo, al nostro amico scappa la pipì. Una cosa normalissima. Conoscendo bene il Bar Calise perché lo aveva frequentato per anni e conoscendo i bagni di quello che era il bar più importante di Ischia, chiede all’amico di accompagnarlo in bagno e, insieme, di affrontare le difficoltà per accedervi. Nulla da fare: la carrozzina non riesce ad avere accesso al bagno, e allora il nostro amico e il suo accompagnatore si spostano verso la cassa e chiedono dove sia possibile fare questa benedetta pipì. Passano i minuti, ovviamente lo stimolo aumenta, ma dagli addetti del bar arrivano solo soluzioni provvisorie e inadeguate alla vicenda. In tutto questo aumenta l’umiliazione per il nostro amico, che si trova al centro di un dibattito assurdo che nel 2025 non dovrebbe proprio verificarsi.
Gli addetti del bar iniziano a pensare e a proporre soluzioni, fino a quando non individuano un bagno accessibile presso una nota pizzeria all’interno della struttura. Sembra finita, e invece no. Passano altri interminabili minuti alla ricerca di una chiave per aprire il catenaccio che tiene chiuso il cancello. Altri minuti di attesa, al buio e al freddo, per il nostro amico in sedia a rotelle.
La storia finirà, tra l’imbarazzo e la rabbia, parecchi minuti dopo. Tuttavia, l’aspetto più grave di questa vicenda sono le parole pronunciate da una delle dipendenti del bar nei momenti più concitati: “Ma perché la pipì non la potevi fare nel giardino?”
Davvero vogliamo che un disabile in sedia a rotelle faccia pipì nel giardino di un bar rinomato, di sera e al freddo? Davvero questo è il livello di empatia e comprensione che abbiamo raggiunto?
Evitiamo tutta la discussione sulle normative che prevedono la totale accessibilità ai disabili nei luoghi pubblici, così come evitiamo di rimarcare la storia del cancello chiuso, delle luci spente e dei rifiuti ammassati nel bagno per disabili. Ma non possiamo non evidenziare come, certe volte, si perda completamente il senso della misura e della vergogna.