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Daily 4ward di Davide Conte del 8 febbraio 2025



L’avvento di internet e il rifugio in quello che amo definire “l’arto biomediatico” di cui ognuno di noi ormai dispone rappresenta senza dubbio un mix di dipendenza e utilità molto difficile da sradicare nella nostra cultura popolare moderna. Mentre ieri scrivevo questo pezzo, mi trovavo sulla nave in arrivo a Pozzuoli e mi sono reso conto che ognuno dei passeggeri presenti trascorreva il viaggio con lo smartphone in mano, piuttosto che chiacchierare con il proprio congiunto o con il vicino di turno. Il tutto, ovviamente, con un imperare di audio fastidiosi, spazianti dai semplici video musicali, storie di TikTok e serie tv su Netflix, che si intrecciavano impietosamente a danno delle orecchie altrui, specie di chi -come me- magari utilizzava quell’ora di traversata per lavorare a qualcosa un tantino più seria e importante.
Ma di internet e degli smartphone siamo abbastanza schiavi anche per funzioni piuttosto basic, una volta affidate alla normalità del singolo e che oggi, invece, passando per il mezzo telematico, atrofizzano sempre di più la nostra elasticità mentale e il nostro rapporto con il prossimo. Penso, ad esempio, al semplice esercizio della memoria: una volta eravamo tutti molto più allenati nel ricordare i numeri di telefono dei nostri cari, cosa rarissima ormai, vista la comodità di registrarli tutti direttamente in rubrica, sulla sim o sul cloud, tendendo così ad atrofizzare il nostro allenamento mentale in vista della vecchiaia. Ma anche nelle applicazioni più semplici, come ad esempio quelle legate al meteo, ci rendiamo conto di quanto fosse affascinante affacciarsi alla finestra per vedere che tempo fa, ovvero affidarsi -nel caso di noi ischitani- all’esperto parente marittimo o al pescatore sotto casa. Ed è ancora più frustrante, poi, in casi come questi, rendersi conto di quanto spesso emerga l’inaffidabilità di questa o quella app meteo, pronta a garantirci un temporale al posto di quella che si dimostrerà invece una splendida giornata, o magari viceversa, in ogni caso condizionandoci consequenzialmente.E non parliamo poi della cultura autoreferenziale, quella che ci porta a prendere per oro colato tutto quel che proviene dal nostro motore di ricerca e a farlo nostro, salvo poi renderci conto che né il dott. Google e men che meno il prof. Bing risultano alla lunga i depositari della verità assoluta e ciccano molto più spesso di quel che immaginiamo. E noi con loro.
Anche una risorsa importantissima come l’intelligenza artificiale può terrorizzare finanche quelli come me che utilizzano i computer sin dagli anni ottanta. Perché non oso immaginare dietro miliardi di tastiere e monitor in ogni parte del mondo quanti nuovi docenti, medici, fotografi, artisti, progettisti, talenti onniscienti e falsari del web in generale possano celarsi, mettendo a rischio la nostra e anche la loro stessa sicurezza.Che Dio ci aiuti, amici. Ma… aiutiamoci anche da noi!

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