lunedì, Dicembre 30, 2024

Avvocato e cliente moroso, dall’“amore” alla guerra per la villa a Forio

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A compensazione del credito di 400.000 euro vantato per i compensi professionali maturati dal 1976, con una scrittura privata il debitore avrebbe venduto l’immobile al suo legale. Un passaggio di proprietà mai concretizzatosi e i giudici di legittimità hanno confermato la responsabilità dell’avvocato, che non aveva sottoscritto quel “contratto”. Discorso diverso per il recupero delle somme dovute

Il contenzioso tra un avvocato e il cliente che non gli aveva pagato i compensi ma in sostituzione gli “avrebbe” venduto una villa a Forio ha già fatto il giro delle aule giudiziarie, dal tribunale alla Corte di Appello fino in Cassazione e tornerà ora dinanzi ai giudici di secondo grado. L’ordinanza del collegio della Seconda Sezione civile della Suprema Corte innanzitutto ricostruisce la complessa vicenda. La sentenza della Corte di Appello impugnata confermava la decisione di primo grado, che aveva rigettato la domanda del legale.

Una istanza «diretta ad accertare l’autenticità della sottoscrizione, da parte del venditore, della scrittura privata con cui, in data 8.7.2004, questi gli aveva venduto un immobile sito in Forio, dando atto che il prezzo, indicato in euro 400.000, era stato interamente pagato mediante compensazione del credito vantato dal ricorrente per le prestazioni professionali di assistenza legale svolte in suo favore a partire dal 1976 e tuttora in corso, con conseguente ordine al conservatore di procedere alla trascrizione dell’atto di acquisto». Una scrittura privata mai trascritta in quanto il presunto venditore, oggi controricorrente, non l’aveva onorata.Così dal rapporto tra legale ed assistito, si è passati allo scontro tra contendenti. Un credito di 400.000 euro può apparire esorbitante, ma vanno calcolati gli interessi…

LA MANCATA ACCETTAZIONE

I giudici di secondo grado avevano anche confermato l’inammissibilità della domanda con cui l’avvocato, «in sede di memoria istruttoria, aveva chiesto in subordine la condanna del convenuto al pagamento delle prestazioni professionali per la somma suindicata di euro 400.000. A sostegno della sua decisione la Corte di merito affermò, condividendo la valutazione del giudice di primo grado, che la scrittura privata dell’8.7.2004, in cui si legge “ io sottoscritto…, con il presente atto dichiaro di vendere come in effetti vendo all’avv.…, il seguente immobile…”, non aveva un immediato effetto traslativo della proprietà del cespite per non essersi il relativo contratto perfezionato per difetto del requisito dell’accordo delle parti, mancando la manifestazione della volontà del ricorrente di accettazione della proposta in forma scritta; aggiunse che, prevedendo tale scrittura la facoltà per il venditore di riacquistare la proprietà dell’immobile corrispondendo l’importo di euro 400.000 entro il 31.12.2005, l’accettazione dell’acquirente sarebbe dovuta intervenire entro tale data, con l’effetto che la proposta di vendita, in mancanza, aveva perso ogni efficacia».“Colpa” dell’avvocato, in sostanza, che avrebbe così “perso”la villa a Forio.

La Corte d’Appello aveva inoltre ribadito «l’inammissibilità, in quanto domanda nuova, della richiesta di pagamento avanzata in subordine all’attore di pagamento delle proprie prestazioni professionali, precisando che, essendo essa dipendente dalle difese della controparte, avrebbe dovuto essere formulata alla medesima udienza di prima comparizione in cui il convenuto si era costituito, e non in sede di memoria istruttoria». Al legale era stata negata anche la possibilità di incassare i compensi dovuti.

LA CLAUSOLA DI RETROCESSIONE

Nel ricorso per Cassazione si evidenzia la violazione e/o falsa applicazione del codice civile, «censurando l’interpretazione della scrittura privata fatta propria dalla Corte di Appello, laddove l’ha qualificata come proposta contrattuale priva di effetto traslativo della proprietà dell’immobile in difetto della sua accettazione scritta. La Corte, ad avviso del ricorrente, non ha tenuto conto che tale scrittura configurava un trasferimento immobiliare solvendi causa, obliterando il testo della stessa, ove la controparte dichiarava di vendere il bene e veniva descritto compiutamente l’immobile, il prezzo e le modalità della sua corresponsione e richiamava le intese intercorse tra le parti. L’interpretazione dell’atto sconta pertanto la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, che impongono di ricostruire la volontà delle parti sulla base del significato letterale della dichiarazione, di attribuire alle clausole il senso che risulta dal loro complesso, in conformità alla natura ed oggetto del contratto e secondo il criterio della buona fede. Si assume che la Corte ha errato nel ritenere che l’atto necessitava di accettazione in forma scritta, contenendo esso già tutti gli elementi richiesti per la sua validità ed efficacia».

Un motivo ritenuto inammissibile, in quanto appunto la questione fondante era un’altra. Il collegio spiega infatti: «La sentenza impugnata ha affermato che la scrittura privata per cui è causa, risultando sottoscritta da solo controricorrente, integrava una mera proposta contrattuale, negando ad essa un effetto traslativo immediato in assenza dell’accettazione in forma scritta del ricorrente. Ha aggiunto che tale accettazione avrebbe dovuto essere manifestata prima della scadenza del termine previsto per l’esercizio della facoltà di riacquisto del proponente, rilevando che “In caso contrario la clausola di retrocessione non avrebbe avuto alcuno spazio di operatività e sarebbe stata inutilmente apposta”».

LA CENSURA NON COGLIE NEL SEGNO

L’ordinanza ribadisce che le censure «non colgono nel segno, in quanto non si confrontano con la esposta ratio decidendi. La Corte di Appello, infatti, non ha affatto negato che la scrittura privata esprimesse la volontà del dichiarante di cedere la proprietà del proprio immobile, ma ha affermato che, in mancanza di accettazione, tale dichiarazione aveva valore di sola proposta ed era priva pertanto di immediato effetto traslativo. A fronte di tale motivazione il ricorrente avrebbe dovuto dedurre che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice a quo, il contratto si era perfezionato in virtù della formazione del consenso di entrambe le parti, cioè, trattandosi di proposta contrattuale, in forza della sua accettazione da parte del destinatario e della sua ricezione da parte del proponente.

La regola della necessità del consenso è altresì ribadita dall’art. 1197 c.c. in tema di datio in solutum, cherichiede la concorde volontà del creditore, la quale, nel caso in cui il debitore intenda estinguere la propria obbligazione mediante il trasferimento di un proprio immobile, esige che esso sia espresso, in applicazione del principio generale, in forma scritta».L’avvocato “incastrato” dalla legge…

LA QUERELA DI FALSO

Nel ricorso inoltre non viene specificamente contestata «l’affermazione della Corte di Appello secondo cui l’accettazione della proposta, per ritenere perfezionato il contratto, avrebbe dovuto intervenire, cosa che pacificamente non è avvenuta, entro il termine indicato dall’atto per l’esercizio da parte del proponente del diritto di riacquisto (31.12.2005), maturato in data antecedente all’introduzione del presente giudizio ed alla produzione della scrittura privata per cui è causa, sicché sotto tale profilo il mancato perfezionamento della vendita può considerarsi come un dato definitivo».

La già complicata vicenda è “arricchita” anche da una querela di falso della scrittura privata proposta in giudizio dalla controparte, ovvero dal creditore dell’avvocato e presunto venditore. Una circostanza su cui la sentenza di appello non si era soffermata. Ma per i giudici di legittimità «il motivo va dichiarato assorbito in ragione del rigetto del motivo precedente, risultando chiara dal percorso motivazionale della sentenza impugnata, che ha statuito il rigetto della domanda dell’attore, la superfluità della decisione in ordine alla autenticità o meno della scrittura privata dell’8.7.2004».

LA CONDANNA AL PAGAMENTO DELLE PARCELLE

Accolto invece il terzo motivo, dove si censura la Corte di Appello per non essersi pronunciata, «ritenendola tardiva, sulla domanda con cui l’appellante aveva chiesto, in via subordinata rispetto alla domanda principale, in conseguenza delle difese ed eccezioni svolte dal convenuto, la condanna della controparte al pagamento dei suoi compensi per l’attività di assistenza legale esercitata in suo favore». Qui i giudici di secondo grado sono incorsi in errore e la Corte di Cassazione lo rileva, spiegando che «la pronuncia di tardività adottata dalla Corte di appello, per essere stata la relativa domanda avanzata in sede di memoria istruttoria e non anche alla udienza di prima comparizione, tenutasi il 15.1.2009, non ha considerato che il convenuto si era costituito, tardivamente, a tale udienza e non nel termine».

Una richiesta fondata, quest’ultima, da parte del legale: «Deve invero convenirsi sul rilievo del ricorrente che la domanda di pagamento dei compensi professionali, pur essendo nuova, come rilevato dalla Corte di Appello, era stata tuttavia originata dalle difese del convenuto, che aveva contestato la pretesa fatta valere con la domanda originaria, fondata sulla scrittura privata del 2004. La relativa richiesta costituiva conseguenza della contestazione del convenuto, tenuto conto che la scrittura privata contemplava una datio in solutum rispetto alla obbligazione di pagamento proprio dei compensi professionali, sicché la contestazione della sua validità ed efficacia faceva senz’altro sorgere l’interesse dell’attore alla proposizione della diversa domanda di adempimento del proprio credito professionale».

Conseguentemente «merita condivisione il principio secondo cui la domanda nuova dell’attore, una volta ritenuta ammissibile quale conseguenza della riconvenzionale o delle eccezioni del convenuto, possa essere formulata, oltre che nel corso dell’udienza, ove richiesto, nel primo termine perentorio di trenta giorni fissato dal giudice». Aggiungendo: «Depone in tal senso la stessa lettera della legge, che, prevedendo la fissazione di un secondo termine “per replicare alle domande ed eccezioni nuove”, esplicitamente riconosce l’ammissibilità della loro proposizione anche in sede di prima memoria istruttoria». In sostanza si è voluto valorizzare l’esigenza «di massimizzare la portata dell’intervento giurisdizionale richiesto dalle parti, così da risolvere in maniera tendenzialmente definitiva i problemi che hanno portato le parti dinanzi al giudice, evitando che esse tornino nuovamente in causa in relazione alla medesima vicenda sostanziale».

Tornando al caso specifico, la Cassazione puntualizza: «In ogni caso l’incertezza sul punto deve ritenersi superata dal rilievo che, nel caso di specie, la costituzione del convenuto, da cui è sorto l’interesse dell’attore di proporre, nello stesso processo, la domanda nuova, è avvenuta nella stessa udienza di trattazione, sicché la successiva memoria istruttoria ha rappresentato la prima occasione per l’altra parte di reagire, anche con la proposizione di una pretesa diversa, alle contestazioni ed eccezioni della controparte». La sentenza di secondo grado è stata dunque cassata solo in relazione al terzo motivo, rinviando la causa alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, che dovrà pronunciarsi sulla condanna del cliente a pagare i compensi dovuti al suo legale “di fiducia”…

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