Pasquale Gargano è un fotografo freelance che ha scelto Ischia come sua seconda casa. Ha trovato e moltiplicato il suo amore ed è un ischitano pendolare che vive tra Napoli e Ischia. Fotografo sensibile e pronto al racconto degli eventi più importanti, ha viaggiato per raggiungere il confine tra la Polonia e l’Ucraina e ha racchiuso attimi di tragedia nel suo obiettivo, in un racconto, quello delle foto della Stazione di Przemyśl e di Medyka.
“Ho trascorso tre giorni al confine tra la Polonia e l’Ucraina e ho visto il vero volto della guerra. La TV e i social – ci dice Pasquale – mettono un filtro alla realtà e quando la vedi ti rendi conto di quanto sia grande la tragedia”.
Essere a un passo dai territori teatro di guerra è sicuramente una esperienza molto forte che segna, irrimediabilmente, l’animo di chi la vive. Attraverso il tuo obiettivo, cosa hai visto presso la stazione di Przemyśl?
“La stazione di Przemyśl è un centro nevralgico. I rifugiati, praticamente, sostano in questa stazione e poi vengono smistati per le varie città della Polonia. Vedi tutte queste mamme, tutti questi bambini e tutta questa gente che ha fatto i conti con la guerra. Mi sembra di usare molta retorica ma non ho altre parole. Vedi i sorrisi dei bambini e i volti disperati delle mamme e non riesci a fare una vera sintesi del dramma che stanno vivendo. Poi sono stato a Medyka – continua il racconto Gargano -, praticamente sul confine tra Polonia e Ucraina a 10 chilometri della guerra. Qui i rifugiati praticamente superano la frontiera Ucraina e arrivano in Polonia.”
Sei un fotografo non nuovo a questi reportage, diciamo, estremi. Sei già stato in altre parti del mondo dove i conflitti sono molto forti e le lotte sociali molto marcate. Sei anche stato a Calais dove hai raccontato, attraverso splendidi scatti d’autore, il dramma di un popolo diverso, che era in fuga per altri motivazioni. Quali sono le differenze tra gli snodi centrali di Calais e in Polonia?
“Quando ho raccontato il dramma dei rifugiati a Calais, la questione era totalmente diversa rispetto a questa. A Calais vivevano in una sorta di giungla, una giungla di monnezza, ma trovavi uomini, donne, anziani. Qui, invece, trovi solo donne e bambini, mamme. Ed è tutto molto più difficile da raccontare. La guerra, guardandola da casa, dal televisore c’è uno schermo che non ci fa dare conto di quella che è la realtà. Una volta arrivati sul posto ci rendiamo conto che praticamente la realtà è una realtà drammatica. È un dolore vedere bambini che ti sorridono ignari e i volti delle mamme che dicono tutto e praticamente parlando di sofferenza, sofferenza e sofferenza. Ti rendi conto che la guerra è vicino e che c’è una realtà lontana anni luce da quelle che sono le nostre condizioni di europei”.
Qual è la lezione che ti porti a casa?
“A prescindere da quelle che sono le nostre posizioni, tra virgolette, di simpatia o geopolitiche che si possano avere o di quelle che sono le nostre competenze, in questa condizione prevale solamente l’aspetto umano e l’aspetto umano è un vero e proprio pugno nello stomaco, perché non ci sono vincitori, ma solamente vinti. È la drammaticità della guerra. La guerra praticamente si vede nello sguardo dei bambini e delle madri. Prima di arrivare al confine, nella stazione di Cracovia, ho visto convogli di rifugiati, distrutti dal dolore e pronti ad un altro viaggio verso i paesi della Polonia. Ho anche visto, va detto, che molti italiani si sono prodigati per prestare soccorso a questi rifugiati, c’erano carovane di nostri connazionali che erano andati in territorio polacco e hanno fatto tutta la trafila burocratica per portare in Italia quanti più possibile.”
Dalle parole di Pasquale traspare tutta l’emozione che ha vissuto e che continua a vivere dopo una esperienza così forte e toccante, una emozione che è entrata a far parte del suo grande bagaglio emotivo che trasfonde in ogni suo lavoro. Lo sguardo sensibile ed attento di Pasquale, infatti, ha saputo raccontare in modo delicato, mai invasivo, il dramma che migliaia di donne, uomini e bambini stanno vivendo sulla propria pelle, un dramma che si sta consumando a pochissimi chilometri da noi e che in modo diretto e indiretto ci tocca profondamente.