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Boris Boffelli: «L’esperienza dell’aggressione mi ha cambiato. E l’indifferenza mi ha fatto male»

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Il 21 agosto 2022 la bottigliata che gli è costata la perdita di un occhio: «Il fatto si è verificato alle 13.15 e alle 16 mia moglie ancora non era stata avvisata dalla direzione che ero stato portato in ospedale». Le promesse non mantenute: «Tante telefonate di solidarietà mentre ero ricoverato, poi più nulla. Quando sono stato dimesso mi sono ritrovato solo e ho dovuto affrontare tutto con le mie risorse economiche». La difficoltà di riprendere una vita normale: «Ho sbalzi di umore, sono diventato irascibile, triste e il pensiero di tornare a lavorare mi provoca ansia»

Gaetano Di Meglio | Il 21 agosto del 2022, Boris Boffelli, che ringrazio di aver accettato il nostro invito, mentre lavorava fu protagonista di una selvaggia e ingiustificata aggressione, poi confermata anche dalla magistratura.

Proviamo un po’ a ripercorrere la tua storia.
«Lavoravo all’Hotel President con la mansione di chef de rang in sala. All’ora del pranzo, a servizio iniziato, mi sono sentito chiamare da dietro. Mi sono voltato e ho subito questa aggressione da parte di una singola persona che sosteneva che io avevo dato fastidio alla moglie. Subito dopo, nel difendermi, sempre da tergo è arrivato fratello che mi ha colpito con questa bottiglia, sbattendola sull’occhio destro. La colluttazione è continuata per diverso tempo. Ci hanno divisi e mi hanno soccorso, poi sono arrivati i carabinieri. Di lì a poco l’ambulanza mi ha portato in ospedale e subito dopo in elicottero sono stato trasferito a Napoli d’urgenza perché c’era questa situazione grave, l’occhio era già in cattivo stato.

L’episodio è nato, come emerso dalle indagini dei carabinieri, perché un mio collega avrebbe dato fastidio a questa persona, ma preferisco non farne il nome. La cosa durava da un po’ e quella mattina, a colazione, per l’ennesima volta l’aveva infastidita. Lei poi aveva raccontato vagamente cosa era successo al marito. E all’ora di pranzo lui e il fratello hanno fatto quello che ho raccontato. Tengo a precisare che questo collega era diciamo recidivo, perché si era già comportato in questo modo in altri alberghi ed era stato allontanato per questo suo vizio. Anche perché diversi clienti si erano già lamentata di lui, che era troppo invadente e che aveva invitato a fare un giro in moto e prendersi un caffè anche donne molto giovani. Ma noi, più che segnalare la cosa in direzione, non potevamo fare».

Questo è il riassunto della tua storia. Ma è in primo luogo il racconto di un dramma personale e familiare…
«Quanto alle difficoltà del dopo, durante la degenza in ospedale ho avuto grande solidarietà da parte di amici, familiari e parenti. Ma questa solidarietà è finita lì. Una volta dimesso, sono state pochissime le persone che mi hanno sostenuto moralmente, fisicamente e psicologicamente. Anzi, meno di poche. In ospedale mi erano state fatte delle promesse che poi, una volta uscito, non sono state mantenute. Io mi sono dovuto. Nel momento in cui sono uscito ho dovuto vivere da solo, cioè fare affidamento su quello che avevo messo da parte, sulla mia famiglia.
Parto dalla circostanza che l’episodio si è verificato alle 13.15 e addirittura alle 16, quando ero in ospedale, mia moglie ancora non era a conoscenza di nulla. Mi ha inviato un messaggio e io le ho fatto rispondere dal dottore per riferire quanto accaduto. Già da questo si capisce che le cose non sono andate come sarebbero dovute andare. Una moglie non viene avvisata che il marito sta andando in ospedale dalla direzione… Poi c’è stata una sequela di telefonate di solidarietà, che si sono sprecate. E io ho cercato in tutti i modi di essere gentile, educato, ho risposto a tutti. Però quando sono stato dimesso mi sono ritrovato sempre da solo. Mi sono sentito veramente solo, abbandonato».

DANNO NON RICONOSCIUTO DALL’INAIL

I tuoi aggressori sono stati incriminati, anche se il processo è ancora in corso. Come hai affrontato anche questa fase?
«L’entità del danno subito l’avevo capita da subito. E quindi uscito dall’ospedale sapevo che dovevo solo abituarmi a questa situazione che per me era nuova. Però, quando sono tornata a casa credevo che avrei potuto pensare un po’ a me stesso, a quello che avrei dovuto fare, perché comunque non è stato facile riprendere la vita con un occhio solo, abituarsi alla profondità, a tante cose. Invece tutto ho dovuto fare tranne che pensare a me. Ho dovuto pensare a tante cose che poi sono successe subito dopo, alle promesse che mi erano state fatte che non sono state mantenute, al fatto che comunque mi sarebbero state vicino persone importanti con cui ho lavorato e invece niente. Mi sono trovato veramente da solo e tuttora sono solo. Non sento la proprietà per cui lavoravo da qualche giorno prima di Natale, e abitiamo anche vicino. Insomma, oltre al danno la beffa e non è una situazione facile da sopportare. Comunque sto seguendo un percorso psicologico per aiutarmi, che mi servirà sia ai fini legali, ma anche per me stesso. Perché un fatto del genere sicuramente ti cambia la vita, ma anche quella delle persone che ti vogliono bene, che ti stanno al fianco perché hai sbalzi di umore, ansia.

Tuttora, ad oggi potrei lavorare perché l’Inail mi ha convalidato la perdita dell’occhio, ma non mi ha riconosciuto il danno. La motivazione è che oggettivamente non mi sono fatto male lavorando. Quindi adesso da parte dell’Inail non ho alcun introito. E questa è una sofferenza anche mentale che sta subendo pure la mia famiglia, perché è un anno che mi sono mantenuto da me. Anche se devo dire la verità, la proprietà dove ho lavorato, ha sempre detto che potevo riprendere il mio posto. Ma per come mi sono sentito, per come si sono comportati con me, non potevo ritornare, anche se avessi avuto delle agevolazioni sugli orari, cambio di reparto. E’ stata l’indifferenza che mi ha fatto male. Io, al di là dell’aspetto fisico, sono una persona molto sensibile. E quando sei in queste situazioni, sei vulnerabile anche mentalmente, oltre che fisicamente. Ti vengono fatte delle promesse e tu ci fai affidamento, però poi vedi che non vengono messe in atto.

Quindi non è stato un anno facile, anzi veramente difficile. Abituarsi a non avere un occhio crea difficoltà. C’è una tempistica, almeno per come mi hanno detto. Un anno, un anno e mezzo e dovrebbe tornare una certa normalità. L’occhio che mi è rimasto dovrebbe prendere la forza anche dell’altro. Ma inizialmente è stato difficile, perché si avvertono vertigini, nausea. E una cosa che non sopporto tuttora è l’auto. Non riesco a stare in auto e se posso evito di andarci. La sera, ad esempio, non esco mai. In un anno si possono contare sulle dita di una mano le volte che sono uscito. Il caos, la troppa gente mi innervosisce. Però, devo dire la verità, pensavo peggio, me la sono cavata abbastanza bene».

IL QUARTO “INCOMODO”

Hai chiarito benissimo questo aspetto, diciamo l’arrabbiatura di quest’ultimo anno. Dal punto di vista di giovane uomo, anche provando a pensare all’aggressione, che idea ti sei fatto?
«Quelle persone ad oggi non ho avuto il piacere di incontrarle. Però gli direi che alla fine non ne è valsa la pena anche per le loro vite. Nel senso che a me l’hanno rovinata perché comunque ho perso un occhio ma loro, al di là del fatto che rischiano la galera, comunque dovranno risarcirmi e quindi perderanno qualcosa anche a livello economico. E dunque cosa hanno ottenuto? C’è questa rabbia, perché poi qualsiasi cosa gli abbia potuto dire questo individuo, non può mai essere messo alla pari con quello che hanno fatto. Nel senso che alla fine c’è questo quarto incomodo che è l’artefice di tutto e a lui non è toccato niente».

Secondo te hai pagato, tra virgolette, il costo del tuo essere, della tua libertà di dimostrarlo? E oggi?
«Diciamo che mi ha cambiato, ha cambiato proprio il mio modo di essere, perché io me ne accorgo che sono diventato triste. Prima ero sempre sorridente. Non sono mai stato una persona che faceva progetti futuri, però mi godevo quello che avevo. Mentre adesso mi scoccia di fare tutto, veramente. Posso dire che di questo anno trascorso metà l’ho passata in casa, tra alti e bassi. Per esempio ieri l’altro sono rimasto chiuso in casa, ma non mi viene proprio di forzare, mi viene poco naturale. Mi rendo conto che la cosa mi ha cambiato proprio di carattere.

Mi ha fatto diventare nervoso, arrabbiato, cattivo, perché comunque ho subito un’ingiustizia. Quindi finché non arriverò a essere risarcito sotto ogni punto di vista, rimango una vittima a 360 gradi. Nel senso che mi interesso poco alle questioni degli altri, anche se prima comunque mi facevo i fatti miei. Anche se sto in compagnia, il giorno dopo la evito, mi annoia. Io sono sempre stato una persona che si è data da fare, però questa stazione mi sta logorando e me ne accorgo. Se ora penso di dover tornare a lavorare, mi prende l’ansia, ne parlo anche con la dottoressa che mi segue settimanalmente. Ma non è la paura di quello che è successo, è proprio il fatto di sentirsi vittima. Nel senso che io ho pagato, fisicamente sto pagando tutto, però se guardi sul mio telefono, i messaggi di persone che in primis avrebbero dovuto chiamarmi, risalgono a nove, dieci mesi fa, è assurdo. Queste cose ti scavano dentro, pesano.

Ricordo parola per parola le promesse fatte telefonicamente, non sono cose che ho sognato o mi sono inventato. E’ stato quell’interesse di facciata, dovevano farlo per prassi, ma poi è finita lì. Non nego e ribadisco che mi hanno sempre offerto il posto di lavoro, ma come ho detto non ci sarei mai voluto tornare. Tanto meno nego che inizialmente hanno fatto vedere di avermi fatto un deposito sul conto in banca. Non mi serve. Invece i medici dell’Ospedale del Mare sono stati veramente un’equipe stupenda, si sono interessati a me non solo dal punto di vista professionale, ma anche umano.

E tuttora ci sentiamo, siamo amici. E mi hanno consigliato di non fermarmi lì, di consultare anche altri specialisti. E ci ho messo il pensiero, tant’è vero che poiché mia sorella vive al Nord, mi sono organizzato per fare due o tre visite con professori di un certo livello. Sono arrivato al professore che aveva in cura Berlusconi al San Raffaele e non è poco. Sono stato anche in cliniche private, dove erano bravissimi a livello di traumi. Per fortuna c’è mia sorella che mi ha ospitato e mi accompagnava in auto, altrimenti avrei dovuto affrontare altre spese. Però nel momento in cui sono partito, l’ho fatto con le mie forze, economicamente. Dal primo giorno che sono tornato a casa, oltre al danno la beffa, perché sto pagando di tasca mia tutte le visite e le altre spese. Però un po’ di sorriso c’è, nel senso che comunque faccio il mio e so stare in mezzo alle persone e farmi voler bene».

PERCORSO PSICOLOGICO

Ho una bella immagine di tua moglie al mare con le tue figlie…
«Sono molto scosse. Non sono io a dirlo, sono stati gli stessi professori perché hanno rilevato delle carenze per un certo periodo, ma comunque sono brave a scuola, considerando il periodo che hanno vissuto. Però adesso stanno bene, continuano a fare la loro vita».

Come si fa a rispondere alle domande di Boris?
«Non lo so, credimi, non riesco a pensare neanche a domani. Riesco a pensare fino alla mezzanotte di oggi perché so che a mezzanotte finirà la giornata. Avevo fatto comunque dei progetti, nel senso che inizialmente avevo pensato di tornare a lavorare lì, vedere come si sarebbero evolute le cose dopo l’uscita dall’ospedale. Però tante situazioni non mi sono piaciute e alla fine ho preferito non andare».

Capisco e condivido il tuo stato d’animo. Ma non esiste solo quel luogo di lavoro.
«Volendo sì, potrei andare a lavorare da un’altra parte, ma non so se riuscirò più a fare questo mestiere, perché comunque ho questi sbalzi di umore. E’ un lavoro in cui sei a contatto con le persone e devi avere molta pazienza. E io la pazienza, ora come ora, non ce l’ho più. E non so se riuscirei a stare tante ore in piedi, perché ad oggi ad una certa ora la vista, l’occhio si stanca. Quindi non ho la percezione della luce come l’avevo prima. Anche se l’occhio rimasto assimila la forza dell’altro, non è facile lavorare una giornata intera, stare in piedi per tre turni al giorno.

Ci avevo pensato, poi però mi sono detto: mi prendo un anno giusto per riposare. Anche perché sto facendo questo percorso psicologico che mi dovrebbe aiutare, mi sta aiutando, ma ancora non sono riuscito ad arrivare a quella serenità che avevo prima. Perché continuare a fare questo mestiere? Ripeto, ho avuto altre proposte da amici che mi hanno detto “vieni qua, ti distrae”. Dico la verità, forse è ok, penso anche che forse ho sbagliato a dire di no, che forse avrei potuto accettare e che comunque avrei lavorato quel poco che mi sarebbe bastato ad avere la disoccupazione. Però a dirlo oggi è facile, ma all’epoca, cioè quattro-cinque mesi fa, la testa non era lucida e non me la sentivo. In futuro? Non so, non posso saperlo».

«SONO FORTUNATO AD AVERE ACCANTO MIA MOGLIE»

E il tuo rapporto con Dio? Credi nel rapporto con Dio, in qualche modo?
«Non mi sono mai appassionato, diciamo così. Perché penso che in questi momenti di prova alla fine sarei ipocrita ad andare a frequentare un qualcosa che non sento, non avverto una chiamata. Non dico che non credo, ma credo a modo mio. Conosco molte persone che frequentano con assiduità la chiesa, la parrocchia, e non le critico, anzi. Però non mi hanno consigliato di fare un percorso spirituale».

Ti faccio fare un salto nel passato. Siamo 10, 15 anni fa. Raccontaci un po’ della tua giovinezza, e anche dell’uomo.
«E’ stata un po’ come per tutti i ragazzi. Avevo una testa che pensava che l’isola mi andava sempre un po’ stretta e a quell’epoca avevo un padre che faceva un lavoro che lo costringeva sempre a stare lontano da casa. Comunque avevo piena libertà, ma sono cresciuto da solo, nel senso che, ripeto, avevo un padre quasi sempre assente e una mamma che era come tutte le mamme della nostra epoca, diverse da quelle di oggi, che avevano un distacco dai figli che si faceva sentire.

Quindi alla fine, tra virgolette, nel bene e nel male sono cresciuto da solo, però ho sempre cercato nel mio piccolo di essere una persona rispettosa, educata, cosa che insegno alle mie figlie. Ed infatti non ho preso mai cattive strade, se non piccole stupidaggini. Però mi sono divertito. Sono stato a Londra, ho passato il periodo più bello della mia vita, ho fatto bellissime esperienze, una cosa che mi manca perché comunque vivi una città che sai che all’epoca, vent’anni fa, già era all’avanguardia. A 20 ero già al pari di una persona di 50 anni a livello lavorativo, a livello sociale. Tornare qui comunque mi ha fatto piacere, perché io sono amante dell’isola. A parte il mese di agosto che odio, però sono ischitano e amo l’isola dove sono tornato. Però ho dovuto cambiare il mio modo di vivere, il mio modo di pensare, perché comunque c’era una differenza da lì a qui. Ma mi sono ambientato, mi sono diciamo sottomesso, ho fatto tante cose, l’ho accettato, ho messo su famiglia».

Una domanda un po’ più personale. Con tua moglie come è cambiato il rapporto? Cosa è successo nella coppia, nella vita? Perché due persone che si amano queste vicende come le vivono?
«Certamente con dolore. Io dico che sono poche le persone che potevano fare quello che ha fatto mia moglie, perché veramente in quest’anno ho fatto cose di cui mi vergogno. Nel senso che ho avuto scatti d’ira, ma su sciocchezze, su stupidaggini, che in passato non ho avuto nemmeno per cose veramente più serie. E lei stata paziente. Ma io, ripeto, sono cambiato come uomo. Personalmente a volte sono irruento, irascibile, mando affanculo. Però lei c’è sempre e non so tanta pazienza fino a quando l’avrà. Anche lei insieme a me ha dovuto subire non solo il dolore mio fisico e la sofferenza psicologica, ma anche la sofferenza economica, perché purtroppo ci siamo dovuti adeguare a certe esigenze e quindi abbiamo dovuto rinunciare a certe cose che facevamo prima e non è facile. In un anno senza lavorare mi sono mantenuto con le mie forze e non è facile. Ma lei mi è vicina perché capisce. Capisce che tu sei nel giusto, che comunque non hai fatto nulla di sbagliato. Quindi dico che sono veramente fortunato».

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