domenica, Febbraio 2, 2025

Bruno Molinaro: «Il nuovo Piano paesaggistico non risolverà i nostri problemi»

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«Bisogna essere realisti. Non possiamo nascondere che qui a Ischia come in tutta la Campania abbiamo un enorme patrimonio edilizio abusivo, e se non si regolarizza tale patrimonio non si può pensare di programmare l’uso del territorio». Molteplici criticità: «Tuttora vige l’orientamento della Cassazione sul silenzio-rifiuto per le pratiche di condono, orientamento che conferisce al giudice penale il potere di disapplicare il permesso edilizio»

FRANCESCO FERRANDINO | Sull’accordo di collaborazione sottoscritto la scorsa settimana tra il Commissario Legnini e la Soprintendenza su condono e ricostruzione abbiamo raccolto il parere dell’avv. Bruno Molinaro.

– Avvocato, la scorsa settimana anche lei è intervenuto al convegno dove si è discusso di tutela paesaggistica ed è stata presentata la bozza di accordo di collaborazione inter-istituzionale in materia di gestione delle pratiche di condono edilizio, la cui positiva definizione è necessaria per poter ricostruire o delocalizzare gli immobili privati distrutti o danneggiati dagli eventi sismici del 2017, avanzando però alcune perplessità.
«Considero l’iniziativa del protocollo d’intesa particolarmente lodevole, perché si accompagna alla esigenza di garantire una pianificazione paesaggistica, non in termini di tutela statica del bene-paesaggio, bensì in termini di tutela dinamica, nell’ottica di promuoverne i valori e gli elementi identitari, oltre che di assicurarne la salvaguardia, soprattutto nell’interesse delle generazioni future, come sottolineato in esordio dal Sindaco di Serrara Irene Iacono.

Stando alle “voci di dentro”, il piano di ricostruzione in corso di approvazione, che avrà valenza di piano paesaggistico, orienterà le scelte pianificatorie sulla base di parametri ragionevoli, non inquinati da eccessi ed ideologismi che non hanno portato, negli anni, a nulla di buono. Un intento, dunque, assolutamente meritevole e condivisibile! Ma bisogna essere anche realisti: il nuovo piano paesaggistico non risolverà i nostri problemi. Esso, come qualsiasi strumento di pianificazione territoriale, guarda al futuro e non al passato, e non potrebbe essere diversamente, in quanto si tratta di uno strumento di programmazione dell’uso del territorio. Non possiamo nascondere che qui a Ischia come in tutta la Campania abbiamo un enorme patrimonio edilizio abusivo, e se non si regolarizza tale patrimonio non si può pensare di programmare l’uso del territorio in termini di tutela dinamica o statica che dir si voglia.

Insomma, se non si recuperano a legalità gli abusi edilizi, che, comunque, fanno parte del paesaggio, magari mediante oculati interventi di bioedilizia e riqualificazione sotto il profilo della estetica e della sicurezza, non è pensabile alcuna pianificazione per il futuro. Anche perché la Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che su un immobile abusivo o anche soltanto con poche criticità, non è possibile realizzare nemmeno un intervento di manutenzione.

La manutenzione, ordinaria o straordinaria, presuppone, infatti, la piena legittimità delle preesistenze. Se la legittimità difetta, qualsiasi intervento anche semplicemente conservativo, è inammissibile, perché la legge prevede in tali casi la demolizione dell’immobile, non il suo mantenimento in sito. Poi ci sono altri problemi che vengono in evidenza anche laddove sia stato rilasciato un permesso a monte».

VINCOLI E “VARIAZIONI ESSENZIALI”

– A cosa si riferisce?
«Nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, qualsiasi difformità anche minima, nel caso sia stato rilasciato un titolo, è considerata “variazione essenziale”, come recita l’articolo 32, ultimo comma, del Testo unico dell’edilizia. È una disposizione – questa – che molti ignorano o dimenticano e che, tuttavia, comporta problemi seri poiché la variazione essenziale è equiparata all’abuso totale assoggettato dal testo unico dell’edilizia alla sanzione demolitoria».

– Questo protocollo di collaborazione tra gli enti, nella parte in cui disciplina l’esame delle istanze di condono, può essere considerato uno strumento agile e risolutivo, oppure no?
«Alcuni sindaci mi hanno chiesto un parere sulla bozza in corso d’approvazione riguardante i comuni del “cratere” cioè Casamicciola, Lacco Ameno e Forio, predisposta dal commissariato alla ricostruzione con l’ausilio del noto giurista Paolo Carpentieri e di altri esperti del Ministero della Cultura. Ribadisco che il protocollo costituisce un’ottima iniziativa, soprattutto perché pone l’accento sulla semplificazione amministrativa e sulle esigenze di speditezza e accelerazione dei procedimenti, nell’ottica di salvaguardare le finalità di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa. In parole povere, per poter realizzare l’obiettivo della ricostruzione nei comuni del cratere – e di questo si è fatto carico il bravo commissario Legnini – bisogna prima sanare, perché purtroppo numerosi sono i fabbricati oggetto di domanda di condono, in gran parte interessati anche da plurime domande di sanatoria relative alle tre normative condonistiche. E solo grazie alla norma dell’articolo 25, che spesso è richiamata dal Commissario nella bozza di protocollo d’intesa, le domande di condono di cui alla legge n. 326/03 potranno essere esaminate con gli stessi criteri applicabili alle domande presentate ai sensi delle leggi n. 47/85 e n. 724/94.

Siamo tutti d’accordo sull’esigenza della semplificazione, ma la vera questione è un’altra: nella bozza si ignora completamente la legge regionale n. 10 del 2004 che, all’articolo 9, prevede un procedimento snello, che consente di superare, con lo strumento dell’autocertificazione fedele, le comuni difficoltà istruttorie, evitando anche il cosiddetto soccorso istruttorio, ovvero le richieste di integrazione documentale spesso tardive e strumentali. Non dimentichiamo che lo stesso Comune di Napoli ha adottato varie delibere in materia, basate, appunto, sulla piena applicabilità dell’articolo 9. L’ultima è del marzo 2022 che richiama tutte le disposizioni regionali che hanno prorogato i termini ed anche l’importante sentenza della Corte Costituzionale, che ha confermato la piena legittimità della norma».

LA CONFERENZA DECISORIA

– Lei ha anche parlato di una criticità in relazione alla previsione della conferenza decisoria.
«Sì. Questa bozza fa riferimento alla conferenza dei servizi decisoria in forma “asincrona”, che sta a significare che l’amministrazione che indice la conferenza trasmette gli atti per via telematica alle altre amministrazioni, le quali debbono esprimere il loro parere senza presenziare, come avviene nella c.d. conferenza “simultanea”. Il Commissario Legnini sostiene che il cittadino possa optare per il procedimento ordinario di cui all’articolo 146 del d.lgs. n. 42/04, se non vede di buon occhio la cosiddetta conferenza decisoria. In effetti, questo vale unicamente in presenza di un solo vincolo ostativo alla sanatoria. La norma applicabile, che è quella dell’articolo 14 bis della legge n. 241/90, prevede invece che la conferenza decisoria è sempre obbligatoria quando bisogna coinvolgere più amministrazioni, il che si verifica quando i vincoli sono più di uno. A Ischia abbiamo sempre più di un vincolo con cui fare i conti.

Ad esempio, quando una zona è soggetta a rischio frana o a rischio idraulico, occorre acquisire, ai fini della sanabilità, anche il parere dell’Autorità di bacino, oltre a quello di compatibilità paesaggistica di competenza della Soprintendenza. Per rimuovere il vincolo idrogeologico, occorre poi acquisire il parere della Città Metropolitana. In sostanza, più sono i vincoli e più non si può fare a meno della conferenza decisoria che, peraltro, come emerge dalla bozza, deve, pur sempre, essere preceduta dalla conferenza preliminare. Tale conferenza preliminare, che potrebbe essere legittimamente evitata in caso di applicazione dell’articolo 9 della legge regionale n. 10/04, rappresenta certamente un aggravio di procedimento perché esige, fra l’altro, anche la preventiva acquisizione del parere della commissione per il paesaggio, pur previsto dall’art. 148 del d.lgs n. 42/04.

Insomma, non vi è dubbio che siamo in presenza di un iter particolarmente impegnativo, con numerosi passaggi necessari prima ancora di procedere con la trasmissione degli atti alle varie amministrazioni coinvolte, compresa la Soprintendenza».

LA RE.S.A BLOCCA LA RICOSTRUZIONE

– Dunque secondo lei il protocollo d’intesa rischia di fallire nel suo obiettivo?
«Non dico questo e sinceramente spero che non si registri alcun fallimento. Non posso, però, fare a meno di evidenziare quelle che potrebbero essere le “mine” disseminate sul suo percorso. Fra l’altro, viene richiamato nella bozza, mediante il rinvio all’art. 14 bis della legge n. 241/90, anche il principio del silenzio-assenso, che, nell’ambito della conferenza “asincrona”, si forma una volta decorso utilmente, senza contrarie osservazioni, il termine di novanta giorni dalla acquisizione della documentazione ad opera della Soprintendenza.

Ebbene, la Cassazione continua ad affermare che sulle pratiche di condono si forma il silenzio-rifiuto. Io non condivido questa giurisprudenza perché il silenzio-rifiuto non è ipotizzabile rispetto al parere della Soprintendenza, che è un parere “endo-procedimentale”, potendo formarsi unicamente sulla istanza di autorizzazione paesaggistica, che è cosa completamente diversa. Tralasciando le mie personali opinioni sul tema, quel che è certo è che anche questo è un serio problema. Io mi occupo di edilizia sanzionatoria penale e sono quasi quotidianamente in trincea a battermi per la legittimità dei permessi rilasciati dai Comuni.

Se c’è una RE.S.A. da contrastare e dispongo di un permesso non preceduto dal parere esplicito della Soprintendenza, il mio compito diventa proibitivo. Ciò perché sia il P.M. che il Giudice della esecuzione continuano a ritenere, sulla base del richiamato orientamento della Cassazione, che sulle istanze di condono si forma il silenzio-rifiuto, giammai il silenzio assenso e tantomeno il silenzio c.d. “devolutivo”, che vuol dire che, decorso il termine di 45 giorni, il Comune deve, comunque, provvedere, rilasciando il titolo richiesto un conformità alla propria originaria proposta favorevole. La conseguenza è che l’istanza del cittadino, anche a fronte di un orientamento non proprio convincente, viene quasi sempre disattesa.

E allora il cittadino si chiede: se il Comune mi ha rilasciato il permesso perché lo Stato vuole abbattermi la casa? La risposta, sempre della Cassazione, è che il magistrato penale ha il potere di sindacare la legittimità del permesso, ovvero di valutarne la legittimità per tutta una serie di ragioni che non sto qui a spiegare. Tornando al protocollo, io mi auguro vivamente che, grazie ad esso, la ricostruzione possa effettivamente avvenire, nonostante i problemi evidenziati. È certo, però, che, se uno solo dei fabbricati da ricostruire è oggetto di R.E.S.A., il permesso rilasciato verrà quasi sicuramente disapplicato dal Giudice.

E allora saranno dolori! Naturalmente – è bene chiarirlo – non spetta alla Regione o alla Soprintendenza risolvere il problema del silenzio-assenso o del silenzio-rifiuto. Occorrerà una “leggina” statale. Sino a quando il legislatore non si pronuncerà anche su questo tema, continueremo a discutere, chissà per quanti anni ancora, di questi problemi. Spero di essere smentito, ma la mia è un’analisi basata sulle realtà delle prassi applicate dai nostri comuni e degli indirizzi maturati nelle aule di giustizia».

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