L’ambientalista sta al cacciatore come il gatto sta al topo. Una facile considerazione che, però, risponde parzialmente al vero. Per avvicinarci maggiormente alla realtà, potremmo sostituire la parola “cacciatore” con “bracconiere”, ovvero colui il quale, in spregio delle normative vigenti, esercita l’attività venatoria in modo indiscriminato.
Credo tutti sappiano che anch’io pratico l’arte di Diana, ma cercherò in ogni caso di restare quanto più equilibrato possibile nella mia analisi.
Il cacciatore, quello degno d’essere definito tale, è probabilmente l’ambientalista (non l’animalista) per eccellenza, quello che raccoglie il contenitore dopo aver sparato anziché lasciarlo nel bosco; quello che spesso si sostituisce al “pubblico” nel tenere pulite ampie porzioni di bosco dalle sterpaglie infestanti, seppur col secondo fine di poter poi andarci alla cerca; quello che rispetta i giorni di silenzio venatorio; quello che nei periodi di caccia chiusa porta ugualmente il suo cane al dressaggio in campagna o al bosco anziché abbandonarlo nel recinto di casa, avendone sempre estrema cura; quello che cerca di evolvere il suo modo di andare a caccia, non rinnegando le antiche tradizioni, ma scoprendo un modo diverso e senz’altro più affascinante di sfidare e incontrare la selvaggina. In altre parole, quello che viene demonizzato incondizionatamente da chi è contro la caccia e vorrebbe abolirla ad ogni costo, ma che alla fine è tutt’altro che un criminale comune.
Di contro, l’ambientalista (non l’animalista) degno d’essere definito tale, è quello che, per vocazione e non per denaro, impiega il suo tempo libero a vigilare –per l’appunto- a mo’ di volontario, sull’ambiente, mai sostituendosi indebitamente alle Forze dell’Ordine ma collaborando con loro, affinché niente e nessuno possa intaccare illegalmente l’ecosistema. Nelle missioni dell’ambientalista rientra senza dubbio anche la tutela delle creature animali (volatili e non), spesso minacciate dalla stupidità di immancabili (e spesso facilmente identificabili) bracconieri/sparatori, ma altrettanto spesso dall’inquinamento imperante in ogni sua forma e, purtroppo, un po’ ovunque.
Bellissimo e appropriato a questo editoriale è un passo a me caro de “Il nome della rosa” del compianto Umberto Eco (del quale proprio pochi giorni fa ho cominciato a leggere il postumo “Pape Satàn Aleppe”), quando Guglielmo da Baskerville, per spiegare in qualche modo il fanatismo al suo novizio Adso, gli dice: “Vedi Adso, il passo che separa la tensione mistica dalla violenza della follia è piuttosto breve.” Proprio così! il fanatismo, in ogni sua forma, è pari alla violenza. E’ una delle più gravi manifestazioni dell’intolleranza umana, abile a distorcere i migliori principi, trasformandoli in un batter d’occhio in quanto di più negativo ci si possa aspettare.
Ebbene, fanatico è il cacciatore (che poi tale non è) pronto a scambiare l’ars venandi per una semplice valvola di sfogo, sparando a qualsiasi forma animale veda muoversi lungo il suo percorso o appostamento senza distinzioni di sorta, ma soprattutto esponendo la parte buona della sua categoria ad un’ingrata omologazione al suo comportamento scorretto. Ugualmente fanatico è quell’ambientalista o animalista (che poi tale non è) il quale fa della sua missione una questione del tutto personale, condendo di odio ingiustificato la ricerca spasmodica per il reato venatorio a tutti i costi, talvolta inventandosi blitz tanto sistematici quanto ormai poco credibili e, di contro, ignorando sistematicamente quegli autentici e ben più gravi scempi cui assistiamo sovente in alcuni degli angoli più belli di casa nostra e, in alcuni casi, anche nell’ambito delle Associazioni o Enti di cui fanno parte.
Il cacciatore ischitano, per scendere nel particolare, ha il pesante fardello di un retaggio culturale ancorato a tradizioni fortemente legate al nostro territorio ed alla sua ancestrale vocazione agricola. ‘A post a’rcer, al pari delle giornate primaverili incontro a ‘u tràseto r’e quaglie a’mar, rappresentano usanze fin troppo antiche qui sull’Isola, pratiche venatorie che in terraferma, tra veri intenditori, sono letteralmente bandite con tanto di pubblico ludibrio per chi ancora le coltiva. I tempi son cambiati, così come certe esigenze di tutela nell’ambito del territorio; e dando per scontata la giusta intolleranza per chi infrange la Legge, è difficile biasimare –pur senza giustificarlo- chi a quel genere di usanza lega alcuni tra i ricordi più belli della propria infanzia o gioventù al fianco di persone care, magari ormai scomparse.
Di converso, la figura della “guardia ambientale” ischitana molto spesso coincide con nostalgici della divisa, o persone con molto tempo a disposizione, o ancora altre che uniscono al piacere di dedicarsi alla propria passione per tutto ciò che è natura il vestirsi d’autorità (talvolta troppa, sconfinando in poteri non spettanti) per affrontare non le problematiche ambientali in generale, ma esclusivamente la caccia di frodo, l’uccellagione o i presunti reati degli ambulanti di turno che vendono animali alle feste patronali. Nulla da dire, per carità, ma girando lungo i nostri boschi, non mi pare di aver letto interventi di questi nostri stoici concittadini sul reiterato abbandono di carcasse di veicoli (al Fondo d’Oglio, ad esempio, ce n’è una da tempo immemore) o di vari rifiuti e materiali di risulta; o ancora sugli scarichi di dubbia provenienza nel mare dei Maronti e Sant’Angelo, o sui reflui del Rio Corbore che infestano lo specchio d’acqua giù al Lido.
La conclusione di questo pezzo Vi sorprenderà!
Io credo che con un tantino d’intelligenza in più, ma soprattutto mettendo da parte quella fanatica intolleranza derivante dalla propria “fede incrollabile” (per dirla come Bellavista), cacciatori ed ambientalisti potrebbero senz’altro essere sintonizzati anziché nemici giurati, quasi come due facce della stessa medaglia. Ad Ischia più che altrove. Il vero cacciatore condanna il bracconiere al pari della guardia venatoria e, viceversa, a quest’ultima sta a cuore la tutela della fauna proprio come al cacciatore che rispetta la Legge e che, ovviamente, chiede rispetto per la propria legale (e aggiungo io, onerosa) passione. Anche su questo, qui da noi, che ne dite? Sarebbe o no ora di crescere?
Sono d’accordo con tutto ciò che hai detto e te lo dico io che non sono cacciatore e quindi non sono spudoratamente a favore di nessuna delle due parti che tu descrivi. Bell’articolo. Marco casamicciola
Molte grazie, Marco.
Condivido al 100% il tuo articolo.Sono un cacciatore fiero di esserlo!
Complimenti!
E’ come chiedere : assassino e poliziotto,perchè nemici ad ogni costo?
Ė come chiedere:il ceptocottero e la sinapsi caprina, perchè non si amano ?
Io li ho visti su Facebook!
Ma erano mimetizzati da entropocitechi ….
Ah, le meraviglie del mondo metaforico
Adesso tutti a ballare …
Musica!!!
Pane e volpe per dessert (volpe di soia per vegani).
Pregasi rimuovere la luna dal pozzo per illuminare la scena del crimine…
Se poi vogliamo ragionare, posso ricordare che nei paesi civili, come la Germania, il cacciatore é insignito del titolo di ambientalista .
A differenza della nostra realtà, dove chiunque si può svegliare ambientalista e gridare le sue ( in realtà altrui) ossessioni ai venti….vedi brambilla ….In Germania esiste una laurea …
Il WWF italia nacque da una élite di cacciatori, Pratesi era un cacciatore che poi ha cavalcato l’onda ambientalista per arrivare al governo…all’epoca di pegoraro scanio, ed ho detto tutto.
Davide ha sottolineato in modo magistrale la differenza tra cacciatore e bracconiere, e tra ambientalista e animalista .
In effetti nel mondo civile cacciatori ed ambientalisti sono molto vicini.
In italia ci sono troppi scemi da entrambe le parti .
Quindi il poliziotto non sta all’animalista come il cacciatore non sta all’assassino
Sarebbe un offesa per la polizia e per la caccia .
Possiamo dire che l’animalista sta al bracconiere come il cretino sta al deficiente .
E le loro madri sono sempre in cinta .
Purtroppo.