Il Vescovo di Ischia e di Pozzuoli, in occasione del nuovo Anno liturgico e per l’inizio dell’Anno giubilare ha inviato una “lettera pastorale” alle Chiese di Ischia e di Pozzuoli.
Una “pastorale” che parla di giovani e di speranza ma che, tra le righe, richiama la chiesa affida a Villano ad avere un atteggiamento diverso. Con garbo e con modo, il Vescovo, nel suo stile (va ricordato), richiama alla sobrietà e alla sostanza delle celebrazioni e delle dimostrazione di fede.
“Carissimi fratelli e sorelle, anche quest’anno desidero raggiungere ciascuno di voi condividendo alcune riflessioni che sgorgano dall’ascolto della Parola e dal desiderio di guardare con fiducia al cammino che ci attende. L’Anno liturgico che sta per iniziare viene a coincidere in gran parte con l’Anno giubilare che il Santo Padre Francesco inaugurerà la sera del 24 dicembre prossimo. Il Giubileo è tempo di grazia per eccellenza, in cui sostare per ritrovarci insieme, come Chiesa nel Signore. È tempo speciale per soffermarci a rendere grazie per il dono della presenza del Signore che ci accompagna nel cammino della storia, segnato da tante fatiche e contraddizioni. È tempo opportuno per la riconciliazione e la conversione dei nostri modi di pensare e agire.”.
La speranza come antidoto ai nostri tempi
“Sperare vuol dire aprire porte” scrive Villano. “Lì dove le paure, i sospetti, le diffidenze innalzano muri e barriere, la speranza apre porte, crea nuove possibilità, invita a riprendere il cammino anche quando tutto sembra non avere più senso. Rimarranno scolpite per sempre nei nostri cuori le parole autorevoli e profetiche di san Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo». Lo diceva a un mondo diviso in blocchi contrapposti che faticava a trovare nuove vie di convivenza pacifica. Lo diceva a contesti in cui la fede cristiana era vissuta come un potenziale fattore di rischio, di disordine”.
“Chi vuole rubarci la speranza?” si chiede il Vescovo. “Forse chi ci vuole rassegnati ad essere muti ripetitori di uno stile di vita che non ci appartiene, ma che ci viene venduto come la soluzione alla nostra ansia di felicità. La speranza ci viene sottratta quando da molte parti tuonano voci di guerra e la violenza sembra una strada inevitabile per affermare le nostre ragioni. Ce lo dimostrano i tanti scenari di guerra che costellano il nostro mondo e che entrano di prepotenza nelle nostre giornate, diventando paura concreta di un fu- turo di guerra che coinvolge tutti. Ma basta guardarci anche attorno nei nostri territori per scoprire una crescente spirale di aggressività e violenza. Basta guardare le tante sacche di degrado sociale, culturale e ambientale che ancora sussistono e che sembrano negare una speranza solida per la nostra gente”.
Il richiamo: “basta ripetere antichi rituali spesso in modo stanco”
“Nella mia precedente lettera pastorale – sottolinea Villano – avevo richiamato le nostre comunità diocesane all’urgenza di una pastorale generativa, che mettesse al centro un rinnovato slancio di evangelizzazione per le nostre Chiese diocesane. Ringrazio il Signore per i tanti segni di buona accoglienza che ho riscontrato, per i percorsi che tra mille difficoltà abbiamo provato ad attivare nelle due diocesi e tra le due diocesi, con l’impegno a intraprendere con gradualità e coraggio nuove vie di condivisione e integrazione. Questo Anno giubilare, in cui siamo chiamati a riscoprirci tutti “pellegrini di speranza”, popolo in cammino, insieme, verso Cristo nostra speranza, ci motiva a proseguire con ancora maggiore convinzione nella strada intrapresa. La nostra azione pastorale non può limitarsi al minimo nell’organizzare l’esistente, nel definire confini e competenze, nel ripetere antichi rituali spesso in modo stanco”.
La “speranza” per superare la paura della “terra che trema”
“La situazione di precarietà e paura – chiosa Villano pensando alle comunità che gli sono affidate – che si è determinata soprattutto nella zona flegrea per la crisi bradisismica chiama in causa direttamente la nostra capacità di essere araldi di speranza. E allora ci chiediamo insieme: abbiamo saputo annunciare speranza? A quali riserve abbiamo attinto? Siamo stati capaci di presentare il messaggio del Vangelo in modo vivo, in grado di parlare alla concretezza di vita dei nostri fratelli? Annunciare speranza non è vendere illusioni. Annunciare speranza non è proclamare un ottimismo a buon mercato, condensato in frasi “Andrà tutto bene…” o “tutto passerà”. Annunciare speranza è radicare uno sguardo fiducioso verso il futuro sulla realtà della risurrezione di Cristo. Nel tempo di Avvento che si sta aprendo da- vanti a noi invocheremo più volte il Signore Gesù come “colui che viene”. Questo ci ricorderà che la nostra vita non è un cammino verso un baratro ignoto o – peggio ancora – verso il nulla. Noi camminiamo verso il Signore che ci viene incontro. È lui, il Signore, che con la sua presenza dà senso al nostro camminare e affaticarci. Ma la sua venuta getta una luce nuova sul nostro presente, sulla nostra storia. Ci invita a rileggere in modo critico i nostri stili di vita, il modo con cui ci relazioniamo agli altri, il modello di società che stiamo realizzando”.
“Nobile semplicità” nelle celebrazioni
Villano, poi, chiarisce “Per questo ci chiediamo: le nostre liturgie sono in grado di esprimere la bellezza della speranza cristiana? Sono adeguate a mani- festare la realtà di una Chiesa che sempre più sappia porsi in dialogo con le donne e gli uomini del nostro tempo? Il nostro modo di celebrare il mistero pasquale di Cristo è in grado di comunicare in modo vivo e coinvolgente questo annuncio di salvezza? Attraverso la «nobile semplicità» delle nostre celebrazioni possa risplendere la bel- lezza del mistero dell’amore di Dio che si fa dono, la bellezza di un popolo di persone amate e salvate. Insieme ci sforzeremo di evitare ogni ridondanza che distrae e allontana e ogni forma di trascuratezza che svilisca la grandezza del mistero celebrato. Infatti, ci ricorda Papa Francesco che «la continua riscoperta della bellezza della Liturgia non è la ricerca di un estetismo rituale che si compiace solo nella cura della formalità esteriore di un rito o si appaga di una scrupolosa osservanza rubricale». Per poi aggiungere: «ovviamente questa affermazione non vuole in nessun modo approvare l’atteggiamento opposto che confonde la semplicità con una sciatta banalità, l’essenzialità con una ignorante superficialità, la concretezza dell’agire rituale con un esasperato funzionalismo pratico».
Sarà, allora, importante continuare a curare la formazione liturgica soprattutto degli operatori pastorali perché la partecipazione delle nostre assemblee sia sempre «piena, consapevole e attiva». Il coinvolgimento di tutti attraverso la cura degli atteggiamenti, dei gesti e dei ministeri di ciascuno diviene immagine luminosa di un popolo in cammino, animato dalla speranza nel suo Signore, di cui celebra le lodi. Il modo di vivere le celebrazioni, soprattutto quelle domenicali, è specchio di una comunità, è immagine che rivela la nostra comprensione della realtà della Chiesa. Sarebbe bello che in tutte le comunità parrocchiali sorgessero o si sviluppassero i gruppi liturgici, in cui ministri e fedeli laici, insieme, curano la formazione e la preparazione alla liturgia”.
La solidarietà
La conclusione di Villano è dedicata alla solidarietà: “Lì dove è ancora possibile sperimentare l’amore donato in modo gratuito, la speranza si genera e si rigenera. L’incontro con l’amore che si fa dono è esperienza mistica che ci fa sperimentare il mistero di Dio. La gratuità ci apre a un orizzonte più grande che va oltre i circuiti degli interessi e degli scambi commerciali. Smarrire la strada dell’amore gratuito vuol dire, in fin dei conti, smarrire la strada della speranza e della pace. È sotto i nostri occhi in questo frangente della storia dominato da una guerra diffusa e inesorabile. È proprio vero ciò che è scritto in quel versetto del Talmud: “chi salva una vita salva il mondo intero”. Chi è capace di compiere un singolo gesto di amore è in grado di seminare ancora speranza per il mondo intero. «La speranza, in- fatti, nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce». È ormai nota a tutti l’immagine allegorica di Charles Péguy che paragona la speranza a una bambina fragile, la più piccola di tre sorelle (fede, speranza e carità). Péguy la immagina «trascinata, aggrappata alle braccia delle due sorelle maggiori. Che la tengono per mano. La piccola speranza. Avanza. E in mezzo alle due sorelle maggiori sembra lasciarsi tirare. […] Mentre è lei a far camminare le altre due. E a trascinarle. E a far camminare tutti quanti». Guardando alle tante realtà caritative delle nostre diocesi, ai progetti attivati, ma anche ai tanti gesti non eclatanti che nella quotidianità delle nostre comunità vengono posti in essere, il mio cuore si riempie di gioia e il mio animo si ravviva nella speranza. Il mio pensiero corre al Centro Papa Francesco, al Centro Giovanni Paolo II, a cui speriamo presto di dare vita, a Villa Joseph, alla Cittadella della Carità, al Consultorio diocesano, alla casa Santa Maria della Tenerezza nella diocesi di Ischia. Come non pensare al lavoro delle Caritas diocesane, al Centro Regina Pacis, al Centro per la Vita “Luigi Saccone”, al Progetto Puteoli Sacra e a tante altre realtà solidali nella diocesi di Pozzuoli? Vorrei ricordare anche con profonda gratitudine la prontezza e la generosità con cui le diverse comunità parrocchiali e la Caritas della diocesi di Pozzuoli si sono attivate, in occasione della crisi bradisismica dello scorso maggio, per garantire assistenza e solidarietà a tanti concittadini scossi e disorientati. Questi sono esempi concreti di Vangelo vissuto nell’amore che si fa dono e genera speranza!!”
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