L’argomento è sempre attuale. Bologna piange. E non dovrebbe piangere sola. Sembra che la vicenda del femminicidio non voglia essere affrontata con il piglio giusto. Dall’inizio del 2022 è già capitato 77 volte e di queste, 67 vittime sono state uccise in ambito familiare o affettivo e di queste, 40 hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex.
Noi proviamo ad accendere un riflettore ischitano con la consigliera comunale di Ischia Carmen Criscuolo. Prima, però, per una convinzione personale specifica, vogliamo riportare due importanti focus sul tema che passano in secondo piano perché, purtroppo, preferiamo fare ragionamenti ideologici sulla posizione della vittima e ci dividiamo su altre amenità che sarebbe meglio lasciare agli uomini da bar: quelli che si contano cazzate tra di loro.
Il primo focus è di fondamentale importante e sono alcune dichiarazioni del presidente vicario del Tribunale di Milano, Fabio Roia: “Tutte le donne che dicono no a un uomo violento oggi sono a rischio”. Non ha dubbi Fabio Roia e chiede “più magistrati e agenti esperti che lavorino a tempo pieno sui femminicidi”.
E lo stesso presidente Roia ad aggiungere un’altra, truce, verità: “Oggi mi sento di dire, anche in maniera volutamente allarmistica, che tutte le donne che decidono unilateralmente di rompere una relazione con un uomo che ha manifestato o manifesta violenza, possono essere in situazioni di pericolo”.
Ed ancora: “Purtroppo c’è un problema, che a volte ritorna, di pregiudizio. Ma la vera scommessa è applicare subito una misura che si riveli adeguata “prima” della consumazione del femminicidio. O mettiamo tutti gli uomini violenti in carcere o puntiamo – e io lo credo fermamente – su competenze, specialità e risorse”. Chiaro. Esaustivo.
L’altro punto su cui vale la pena ragionare, invece, è quello che ci offre il sindaco di Boloana, Matteo Lepore: “Come Amministrazione Comunale vogliamo costituirci parte civile nei due terribili casi di violenza contro le donne avvenuti a Bologna” è la posizione del primo cittadino dopo i casi di violenza sessuale e l’omicidio di Alessandra Matteuzzi, uccisa sotto casa ieri sera, dal suo ex compagno, Giovanni Padovani, già denunciato dalla vittima e fermato dalla polizia. “Una violenza sessuale ai danni di una giovane turista finlandese e il femminicidio sotto casa di un’altra donna, per mano dell’uomo che la perseguitava – continua Lepore – sono fatti che affondano le radici in una cultura di prevaricazione, di odio degli uomini contro le donne. Ci riguarda eccome, nessuno deve sentirsi assolto o girarsi dall’altra parte”. Ecco, ci piacerebbe che il Centro Antiviolenza Non da sola, iniziasse un percorso con l’assoferense di Ischia per attivare questo percorso di giustizia, di dignità e, soprattutto, di vicinanza con i fatti.
L’INTERVISTA
La violenza sulle donne e in special modo i maltrattamenti in famiglia è uno dei reati più diffusi e che, stando alle cronache giudiziarie di casa nostra, ci proietta in uno stato di pre-allarme. Con il consigliere comunale di Ischia Carmen Criscuolo apriamo una pagina importante su questo fenomeno, proviamo ad illustrare gli strumenti a disposizione e soprattutto, parlandone, proviamo ad essere di sprone e di conforto alle donne che vivono con angoscia e con paura la loro quotidianità a causa dei mariti o compagni violenti.
E’ un compito sociale, politico e di giustizia dare risposte efficaci a questo problema.
«Il fenomeno è in costante aumento e ce ne accorgiamo anche a livello nazionale, dove la violenza sulle donne, appunto, irrompe nel nostro quotidiano. E purtroppo spesso si arriva ai femminicidi, che fortunatamente non hanno interessato la nostra isola. Ma sicuramente dobbiamo fare in modo di bloccare un fenomeno che potrebbe crescere. Lo abbiamo detto più volte, dopo il Covid la violenza domestica è aumentata, probabilmente sono esplose situazioni che prima venivano gestite diversamente, Oggi invece, e questo ci hanno confermato anche le psicologhe, le assistenti sociali, si è arrivati a questa convivenza forzata che avrà fatto appunto venire alla luce problematiche che già c’erano.
E questo naturalmente a discapito della famiglia: della donna che subisce la violenza e soprattutto dei bambini che assistono o delle volte sono anch’essi vittime. Con lo sportello “Non da sola”, che comunque opera già da tanti anni sul territorio, abbiamo tentato di attuare una ripartenza portandolo nelle scuole. Abbiamo intenzione, infatti, da settembre di iniziare un percorso di formazione e di dialogo costante sulla tematica nelle scuole, naturalmente affrontando il tema a seconda della fascia di età con la quale ci andremo a rapportare. Chiaramente provvederemo prima a una formazione delle persone che dovranno poi concretamente rivolgersi ai bambini e ai ragazzi. Quindi ci confronteremo con insegnanti e dirigenti scolastiche, già nei prossimi giorni. Devo dire che c’è una grandissima collaborazione da parte di tutte le Amministrazioni, degli assessori dei vari Comuni, con le scuole. C’è la volontà di portare avanti questo progetto in profonda intesa».
L’EDUCAZIONE MASCHILISTA
La cronaca ci racconta episodi molto brutti che voi affrontate e provate a risolvere i problemi. Esiste un mix tra un retaggio antico di stampo maschilista ed una pari opportunità che ci viene imposta dalla legge. Come si fa a trasmettere o insegnare il rispetto?
«La manifestazione che abbiamo organizzato, con la quale appunto abbiamo presentato il progetto, aveva anche questo scopo. Abbiamo deciso di presentare un testo, un libro, sicuramente uno dei tanti, ma in questo caso scelto anche per la qualità e quant’altro. E questo libro raccontava la storia di violenza subita da una donna. Si fa spesso riferimento a quello che è stato il percorso di crescita dell’uomo violento. La maggior parte delle volte, purtroppo, l’uomo impara a non rispettare la donna proprio nella tenera età, quando assiste ad un comportamento violento da parte del genitore maschio nei confronti della mamma, che si limita semplicemente a subire. Quindi la donna che deve accettare quelle condizioni. L’uomo mentalmente è educato ad avere questo atteggiamento nei confronti delle donne. Perciò oggi andiamo a parlare con i bambini, andiamo a raccontare loro che se per caso succedono determinate questioni a casa, non è quella la normalità, ma è un comportamento malato quello che purtroppo ha il genitore. Quindi andiamo a spiegare che non è questo il modo di avere un rapporto con la donna. E poi andiamo a supportare le donne, a far capire loro che quella non è l’unica realtà, che possono scegliere, che possono avere delle opportunità di inserirsi nel mondo del lavoro.
Andiamo a far sentire loro che non è colpa loro se subiscono atteggiamenti di violenza. Insomma, c’è un percorso ampio, importante da fare, perciò servono figure come la psicologa, come l’avvocato, come il consulente. Ci deve essere un mondo, un’organizzazione che ruota intorno. Fortunatamente a livello nazionale stiamo vedendo comunque dei grandissimi cambiamenti e c’è anche la volontà; anche quella, magari di prevedere proprio delle somme a disposizione specifica delle donne vittime di violenza e per dare loro quindi un punto di partenza per poter scappare da questi luoghi, dove invece sono vittime anche perché la maggior parte delle volte non hanno un reddito, non hanno una possibilità, non hanno mai lavorato».
COSA ACCADE DOPO LA DENUNCIA
Un’altra domanda che nasce dall’esperienza di chi purtroppo si trova raccontare queste vicende, questo fenomeno, con i piccoli casi e con i singoli casi. Spesso abbiamo sentito: andate a denunciare e tanti altri inviti. Okay, però sappiamo che dopo la denuncia, dopo magari l’elezione di domicilio, molto spesso questa donna deve tornare sotto lo stesso tetto con la persona che ha denunciato, quindi magari si acuisce ancora di più lo scontro. Sotto questo punto di vista, quali sono le iniziative che ci sono, o almeno in programma?
«Purtroppo nel nostro territorio manca la casa rifugio che praticamente sarebbe l’ultimo step, cioè quello di poter anche dare concretamente la possibilità alle donne di allontanarsi naturalmente dai luoghi dove sono costrette a subire le violenze. In questi casi i vari step sono questi. Innanzitutto bisogna rompere questo vincolo, quindi separarsi, trovare un modo per far sì che la persona violenta non debba più condividere il tetto con la vittima donna, la vittima bambino e poi, appunto, ripeto, affidarsi a dei consulenti e seguire quello che è tutto un percorso per poter cercare di rendersi autonomi economicamente lavorando oppure grazie ai finanziamenti dello Stato. E dal canto nostro quello che dobbiamo cercare di raggiungere è questo step successivo, cioè andare anche a prevedere la possibilità di dare alla donna una collocazione, laddove purtroppo autonomamente non ce l’ha».
Come si può entrare in contatto con lo sportello? E’ garantito l’anonimato?
«Assolutamente sì, è garantito l’anonimato alla persona, che è seguita solo ed esclusivamente dalla psicologa che troverà in sede. E il motivo per il quale organizzeremo una serie di momenti di incontro esterni allo sportello, è che tante volte le donne non sanno come arrivarci. Non sanno come rivolgersi, perché poi, naturalmente, essendo uno sportello pubblico, è soggetto a degli orari. Adesso abbiamo intensificato il personale, quindi sarà aperto tutte le mattine dalle 12:51 e sicuramente due pomeriggi a settimana, il martedì e il giovedì dalle 18:45 e e si trova ad Ischia in via Morgioni. Poi cosa succede? Stiamo facendo in modo che ci siano vari strumenti, da quelli sicuramente più social; quindi ecco la persona che in qualche modo può collegarsi, c’è una pagina Facebook, c’è un contatto Instagram e poi ci sono i numeri di telefono cellulare al quale poter chiamare in qualunque momento; perché a prescindere dall’orario di apertura del centro, ci sarà sempre una persona che risponderà.
E sarà disponibile a recarsi in luoghi differenti laddove la vittima non dovesse poter avere la possibilità di allontanarsi troppo da casa. Se magari vive in un altro comune, può tranquillamente chiamare e sarà assistita in una sede distaccata rispetto a quella del centro. Quindi il mio invito è quello di chiamare. Anche semplicemente quando si ha la percezione che si possa stare per subire una violenza, chiamare il centro antiviolenza piuttosto che rivolgersi alle forze dell’ordine, con le quali fortunatamente svolgiamo un lavoro in sinergia straordinario».
Evidentemente dai bambini e dalla scuola bisognerebbe partire sempre per insegnare anche tanti altri valori: quello dell’educazione civica, della lealtà, del rispetto del prossimo e degli anziani, della solidarietà e della moralità in politica…..
ma mi rendo conto che a volte pur di “apparire” si dicono cose scontate.