Oltre a trovare estremamente complicata la trattazione di un argomento così delicato in fatto di diplomazia estera e strategia bellica come la guerra tra Russia e Ucraina senza annoiare quanti di Voi non ne sono affatto affascinati, ritengo sussista anche un problema di ordine squisitamente sociale da affrontare prim’ancora di cause ed effetti del conflitto.
Sono infatti fermamente convinto che il mainstream dell’informazione sia ancora fortemente ostaggio delle direttive filo-occidentali dell’Unione Europea, continuando a propinarci una visione unilaterale e tutt’altro che obiettiva ed oggettiva della situazione tra Mosca e Kiev.
Sin dall’inizio del conflitto le considerazioni di tutte le testate più importanti e, perché no, di qualsiasi forza politica alleata degli Stati Uniti, sono state incentrate sulla ferma condanna dell’invasore cattivo e sul pieno sostegno alla vittima invasa. E fin qui, nel valutare gli effetti e non le cause, ci potremmo anche stare. Ma perché nessuno approfondisce mai il colpo di stato in Ucraina e la strage in Donbass del 2014, senza per questo dimenticare le fonti di finanziamento della campagna elettorale che portò Zelenskyj al potere?
Un dibattito libero da lacci e lacciuoli che imbavagliano o, quanto meno, condizionano unilateralmente il mondo dell’informazione che conta tornerebbe utile a chiarire tante cose. Come in questi ultimi giorni, ad esempio, ci aiuterebbe a capire se è proprio così vero che il potere di Putin a Mosca scricchioli o se, visto anche il pronto, rinnovato e dichiarato appoggio della superpotenza cinese, lo Zar sia sempre più forte nella sua botte di ferro e che la storia della Wagner sia stata solo una sua astuta manfrina per confermare la solidità della sua presidenza e dei confini del paese.
Ecco, mi ripeto, non voglio affatto impelagarmi nel mare magnum in cui navigano tanti improvvisati strateghi della domenica, ci mancherebbe. Ma quanto a comunicazione, lì la mia la posso dire. E poiché la verità è alla base di un corretto processo informativo attraverso i doveri deontologici del giornalista, l’unica pretesa che avanzo è esattamente questa: un po’ più di rispetto per l’intelligenza di chi legge e ascolta, ovvero il classico “minimo sindacale”.