Antonello De Rosa | Sveglia alle ore 07.00. A Ischia diluvia. Ma Roma ci aspetta. Da giorni si discuteva con l’amico Emanuele Verde di raggiungere la capitale per la manifestazione nazionale del 5 novembre. Una presenza necessaria per gridare a gran voce la necessità di un cessate il fuoco, di cambiare il lessico della diplomazia e virare gli hashtag della narrazione verso le parole che vorremmo sentire più spesso: pace, negoziato, disarmo, ricostruzione.
Dopo un’ora e mezza di traghetto e appena un’ora di treno arriviamo in una piazza della Repubblica stracolma. Immergerci nella folla é un piacere che credevo perduto. il miscuglio di cadenze e dialetti é disarmante. Non credevo, dopo due anni di pandemia e di distanziamento sociale, di poter tornare davvero in così breve tempo a condividere la piazza con decine di migliaia di persone, provenienti da tutta Italia. Eppure, siamo qui, in più di centomila, a richiedere pace.
La richiesta é trasversale. C’è chi in piazza é presenza fissa, hanno dimestichezza, ma ci sono anche tante famiglie. E tanti sono i bambini. Sventolano bandiere arcobaleno, si lasciano trascinare dai canti, cavalcano divertiti le spalle dei genitori. Certo hanno poca consapevolezza del periodo difficile che stiamo vivendo, ma consegnargli la piazza, fargli sapere che le strade sono lì ad accoglierli per il loro futuro riempie il cuore. Una piazza piena di bambini é già una vittoria contro l’arroganza della prevaricazione.
Li fotografo vivaci e sorridenti e sono felice di esserci. Una goccia in un mare. Ma siamo i primi in Europa e tra i paesi Nato, ci seguiranno gli altri popoli? Vedremo.
Il corteo si muove
C’è Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, si mescola tra la folla, parla con i manifestanti, facciamo una foto ricordo, perché nonostante il clima sia pesante siamo a una festa, di pace e democrazia. Continuo gli scatti: ci sono le bandiere con il volto di Berlinguer e Che Guevara che si mescolano alle bandiere bianche dei cattolici con le colombe di pace. In piazza,su uno sfondo di colori arcobaleno, sventolano soprattutto le bandiere della CGIL. C’è spazio anche per Fiom, CISL, Filcam. Perché i veri problemi, almeno in Italia, partoriti da questa guerra li subiscono i lavoratori, di qualsiasi colore. Sventolano le bandiere di Emergency, della comunità di sant’Egidio, di Legambiente, che si confondono con quelle dell’Iran, della Palestina dove la guerra piú che una minaccia sembra un problema endemico. Tanti volti, tante idee, un’unica pretesa: pace.
Continuo gli scatti: c’è la curiosità dei turisti in giro per Roma, l’attenzione negli occhi di suore, frati e parroci, la bellezza dei sorrisi di pensionati e adolescenti. Con Emanuele non riusciamo a individuare Giuseppe Conte, movimento 5 stelle, che vediamo sui social subissato da giornalisti e richieste di selfie. Non vediamo nemmeno Enrico Letta, del PD. Pare abbia lasciato la manifestazione anzi tempo, non prima di aver abbracciato Lanini, leggiamo, quasi a cedergli – immagino io o mi piace crederlo – il testimone politico della piazza.
Piazza dove, mentre il corteo tenta di prendere posto in san Giovanni Laterano già piena, assistiamo agli interventi che si susseguono. Al nostro fianco c’è padre Alex Zanotelli che ascolta, attento, gli interventi di don Luigi Ciotti di Libera, di Andrea Riccardi della comunità di Sant’Egidio, di Maurizio Landini della CGIL, che infiamma la piazza. É bello sentirli. C’è un’altra voce al di là dei palinsesti televisivi e dei timoni dei giornali.
Continuo con gli scatti: ci sono gli iraniani che si stringono al collo un cappio, simbolo di ciò che stanno subendo i conterranei in patria, i volti contriti degli ucraini che raccontano la tragedia dei bombardamenti e tutto il carico di 8 mesi di guerra, il dramma dei disertori russi che parlano della propria Odissea. La lunga catena di interventi é conclusa da Landini: “non dobbiamo rassegnarci alla guerra”. Conclude così. E ha ragione, non dobbiamo. Lasciamo la piazza in direzione di un Colosseo bardato da decine di bandiere arcobaleno sulle note di Bella Ciao e siamo felici di esserci stati. In nome della pace.