Paolo Mosè | E’ una struttura gerarchicamente ben definiti, con uomini di responsabilità in tutti i settori e in capo al clan c’è l’indiscussa figura di Eduardo Contini. Un boss che ormai è sulla “cresta dell’onda” (con una buona quantità di anni di detenzione carceraria), che ha un’idea un po’ diversa rispetto agli altri boss nel gestire gli affari. Preferendo innanzitutto il confronto, la trattativa e il compromesso rispetto all’utilizzo delle armi per regolare i conti con gli avversari.
Questo suo modo di fare ha senza dubbio favorito di molto gli affari diventando il clan più ricco di Napoli e della provincia. La penetrazione sul territorio avviene in modo silente, quasi impercettibile. Come è avvenuto d’altronde quando i suoi uomini fidati hanno inteso puntare i propri affari sull’isola d’Ischia. Utilizzando persone che non avessero affatto un pedigree criminale da mettere in allarme le forze dell’ordine. Ad Ischia hanno puntato su due settori diversi: investimenti immobiliari e soprattutto il prestito del denaro. Ad usura, ovviamente, per rispondere alle richieste che sono piovute sull’uomo di fiducia del clan da parte di imprenditori in difficoltà. In particolare, come abbiamo riferito la settimana scorsa, commercianti e titolari di attività alberghiere. Senza dimenticare diversi professionisti che sono dovuti ricorrere al prestito per far fronte a dei buchi con le banche. Utilizzando i conti correnti in modo troppo disinvolto, puntando su transazioni sbagliate. Investimenti pagati a caro prezzo.
Professionisti che per non finire nell’elenco di cattivi pagatori, che comporta la chiusura di qualsiasi rapporto finanziario con chicchessia, hanno preferito rivolgersi a chi senza troppe domande apre il borsone e consegna quanto richiesto. C’è in particolare un professionista conosciuto che si è trovato in questa situazione e non sapendo come sbrogliare la matassa si è rivolto al corrispondente dell’organizzazione che ha il compito di avere le relazioni con la “clientela” al fine di ottenere un prestito di 50.000 euro. Somma concessa da chi è un gradino sopra al corrispondente locale. Che appare come un direttore di agenzia di una banca, a cui il clan demanda la possibilità di concedere il prestito fino ad una determinata cifra. Per quelle superiori è obbligatorio l’assenso di colui che viene definito “il ministro delle finanze”. Che si trova un gradino sotto al boss Contini. Costui ha una disponibilità illimitata che gli consente di poter operare sul mercato, fare investimenti anche puliti, in attività commerciali.
I FRATELLI DI CARLUCCIO
Fino a qualche anno fa il “ministro delle finanze” erano di fatto i fratelli Gerardo e Ciro Di Carluccio. Erano loro, in nome e per conto del clan, ad eseguire le operazioni finanziarie tra le più impensabili. I Di Carluccio erano anche i coordinatori della concessione di prestiti di denaro a tasso usurario. Ma svolgevano anche importanti investimenti immobiliari.
Utilizzando delle società intestate a personaggi di comodo e nello svolgere tali investimenti, i Di Carluccio di fatto acquistarono negli anni una villa di pregio ad Ischia. Una villa che poi è stata confiscata e prima ancora sottoposta a sequestro disposto dal gip. Poi bene prezioso diventato dello Stato a seguito di confisca. Questo bene era stato utilizzato negli anni precedenti per favorire periodi di vacanza per i vertici del clan. I Di Carluccio, difatti, più volte rimanevano per diversi giorni per un meritato riposo. Gli investigatori sono convinti che questa villa è stata anche la dimora di Contini quando questi era diventato uccel di bosco.
Un latitante tra i cento più ricercati del nostro Paese che il Viminale riteneva che dovesse essere preso nel minor tempo possibile. Tant’è vero che giunsero alle forze dell’ordine una serie di segnalazioni della presenza del Contini nella villa e si predisposero attività di osservazione prima di eseguire il blitz per la cattura. Quando tutto però era pronto per la irruzione nella villa, il Contini si era allontanato già da qualche ora dalla ritenuta “sicura” dimora personale. Molto probabilmente qualche altro gli fece recapitare la soffiata che da lì a qualche ora sarebbe stato catturato e tradotto in carcere. Possibilità svanita per un battito di ciglia, il boss si allontanò dall’isola non si sa quando per rifugiarsi in un altro luogo ritenuto sicuro.
CONFISCATA LA VILLA A ISCHIA
I Di Carluccio erano anche scaltri imprenditori ed erano riusciti a realizzare un commercio in grande stile di oro e preziosi, sempre in nome e per conto di Contini. Il loro incarico è finito allorquando c’è stato un vero e proprio blitz della procura della Repubblica di Napoli e i sequestri che vennero predisposti con l’intervento del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza. Che oltre a sigillare la villa di pregio ad Ischia, piazzarono i sigilli in numerosissime altre attività imprenditoriali, a sequestrare denaro in abbondanza, il tutto per un valore complessivo di 320 milioni di euro. Il clan cambiò pelle dopo questa operazione e sono cambiati ovviamente anche i responsabili. Ciò che hanno perso comunque non ha scardinato più di tanto la capacità di muovere denaro in abbondanza e di mantenere inalterato lo stato di salute della intera organizzazione.
Dal blitz eseguito nel 2015 ad oggi il clan Contini ha continuato a muovere denaro, a concedere prestiti senza quel disbrigo di pratiche burocratiche come di solito avviene quando si tratta con gli istituti di credito. Stando ad un primo calcolo approssimativo, in questi ultimi anni l’organizzazione avrebbe investito tra i 3 e i 5 milioni di euro. Entrando pesantemente nella gestione di alcuni imprenditori in difficoltà, intestatari anche di attività produttive ritenute solide e che hanno un riscontro commerciale soprattutto nel periodo estivo. E lo hanno fatto con la consapevolezza del rischio a cui andavano incontro. Ma l’operazione valeva la candela, come normalmente si accosta un’operazione a un vecchio detto. Investimenti che, a quanto ci hanno riferito, sono già tornati all’ovile e il tasso di guadagno già in parte si è manifestato. A significare che fino ad ora si è arrivati ad una scelta azzeccata e che non ha avuto grossi contraccolpi.
Alcune di queste operazioni emergerebbero anche da una serie di documenti che riguardano temi che sono stati oggetto della verifica del tribunale fallimentare. I malavitosi hanno l’abitudine e l’interesse di mantenere in piedi l’imprenditore in difficoltà fino a quando ciò che è stato concesso con relativo o parziale interesse non sia tornato nella disponibilità del clan. Poi lasciano morire al proprio destino gli imprenditori, che di solito vengono dichiarati falliti e il bene messo all’asta.
Ed è a questo punto che l’organizzazione, se ha interesse, ricompare e mostra la volontà di acquisirlo. Utilizzando la tecnica delle aste andate deserte per far scendere il più possibile il prezzo di acquisto. E quando loro hanno interesse, è difficile che qualche altro si intrometta per tentare la scalata. Un interesse che il clan avrebbe già manifestato verso due strutture ricettive le cui società sono state dichiarate fallite. Avendo la possibilità di acquistarle tramite delle società garantite anche dal credito legale con un amministratore rispettabile, che viene ritenuto affidabile con tanto di garanzia. Vedremo gli sviluppi nei prossimi mesi, quando il battitore metterà all’asta i beni e pronto a ricevere le offerte.
IL TRAFFICO DI STUPEFACENTI
Gli allora “ministri delle finanze”, i fratelli Di Carluccio, comunque hanno adottato una politica che non si distacca di molto da quella impressa da colui che oggi ha preso il loro posto. Tutto avviene in compartimenti stagni, in modo che nessuno possa conoscere tutti gli affari che vengono portati a compimento dall’intera organizzazione. E in molti casi i responsabili dei vari settori non si conoscono tra loro. E il motivo c’è: evitare che chi fa parte del clan, una volta arrestato si penta e possa descrivere ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia i personaggi che governano le finanze e quali sono stati gli investimenti. Questo aspetto emerge in modo inconfutabile da quanto è stato scritto dalla Cassazione, riprendendo le dichiarazioni dei collaboranti di giustizia. Questo è un aspetto che in molti casi ha fatto cadere l’accusa di intestazione fittizia di immobili di pregio che erano stati inizialmente sequestrati.
E i relativi reati conclusisi in parte per prescrizione o con assoluzioni. Mentre si ponevano in essere tutta una serie di operazioni tra soci per cedere quote da una società all’altra per “imbrogliare” un po’ le carte. E rendere più difficile il lavoro degli inquirenti. Questo tipo di strategia emerge anche nella intestazione della cosiddetta villa di pregio a Ischia.
Non manca, ovviamente, la gestione della droga, un filone che comunque produce un utile abbastanza importante. Come scrivono i finanzieri: «L’organizzazione diretta da Eduardo Contini è impegnata, in modo non secondario, nel campo dell’importazione dall’estero di sostanze stupefacenti, cocaina essenzialmente, di armi e che tale sodalizio poi si dedica allo spaccio della droga sul territorio. Tale illecita attività, peraltro non è impegno recente del sodalizio criminale del Contini poiché, sin dal 1991 almeno, il traffico internazionale e nazionale di cocaina e di armi costituisce uno dei settori essenziali del programma delittuoso del gruppo in questione».
ALLEANZE TRA CLAN
Il tutto si collega, infine, sui rapporti che i Contini hanno intrattenuto e allacciato alleanze con altri clan importantissimi, fino ad arrivare alla consacrazione del gruppo denominato “Alleanza di Secondigliano”. E i fratelli Di Carluccio avevano un ruolo nelle trattative altrettanto importante: «La vicinanza ed intraneità al sodalizio capeggiato da Eduardo Contini ha riguardato, nel tempo, non solo i fratelli Ciro e Gerardo Di Carluccio ma, prima di loro, anche il padre Eduardo. La circostanza si rileva già quando il collaboratore di giustizia, Pepe Mario, esponente di primo piano dell’associazione a delinquere denominata “Nuova famiglia”, nel 1992 riferiva al pm procedente in relazione ad un attentato organizzato proprio a danno di Di Carluccio Eduardo. Questi, a detta del collaboratore, era vicino al gruppo dei Nuvoletta e spesso, con Mantice Ciro, uomo all’epoca vicino a Licciardi Gennaro, detto “’a scigna” si recava a casa di Farina Mario. Il Farina doveva essere nominato per conto del gruppo criminale capeggiato da Alfieri Carmine, capozona di Pagani. In realtà Farina non era ben visto da Alfieri né da Autorino Giuseppe proprio perché aveva tenuto contatti con i Nuvoletta, avversari del clan. Il Pepe, come egli stesso riferiva successivamente innanzi al tribunale nel 2000, era stato anche presente ad alcuni di questi incontri con il Farina, il Di Carluccio ed il Mantice che sostanzialmente volevano caldeggiare una pace tra i Nuvoletta ed Alfieri».
Nelle prossime edizioni entreremo sempre più nel cuore del problema, che interessa maggiormente l’isola d’Ischia, gli investimenti del clan e i rapporti che intercorrono tra i fiduciari dell’organizzazione e alcuni ambienti imprenditoriali e politici.
2 – continua