giovedì, Dicembre 5, 2024

Crisi delle professioni marittime: i giovani abbandonano il mare

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I dati emersi in un convegno nella Marche

Grandi container, porti operosi e navi che solcano gli oceani trasportando merci da un capo all’altro del mondo. È qui che passa una parte fondamentale dell’economia globale, un sistema che garantisce il costante approvvigionamento di beni, materie prime e prodotti finiti. Ma cosa accade se le navi si svuotano e i porti si trovano a fare i conti con una crisi di vocazioni? In realtà, il problema è già presente, e tocca da vicino anche l’Italia: i giovani non si imbarcano più.

Le professioni marittime, un tempo considerate tra le più ambite per i giovani in cerca di avventura, indipendenza economica e una carriera solida, sembrano oggi aver perso il loro fascino. “Sono lavori molto faticosi”, spiegano gli esperti del settore. “I lunghi periodi trascorsi in mare scoraggiano i giovani. Inoltre, il Covid ha drammaticamente segnato gli equipaggi, costringendo molte persone a restare isolate in mare anche per un anno intero, lontane dalle famiglie e dalla terraferma”.
Il fenomeno dell’allontanamento dalle professioni marittime è in atto da diversi anni, ma oggi appare più evidente e preoccupante. La pandemia ha avuto un impatto devastante su un settore già in difficoltà, aggravando una situazione che affonda le sue radici in fattori economici, sociali e culturali.

Da un lato, i lunghi periodi di assenza da casa rendono difficile conciliare il lavoro con la vita personale e familiare. Questo è diventato ancora più complesso in un contesto sociale in cui il ruolo all’interno delle famiglie è sempre più paritario, con uomini e donne che condividono responsabilità e impegni domestici. Dall’altro lato, le nuove generazioni sono sempre più consapevoli dell’importanza dell’equilibrio tra lavoro e vita privata, e il lavoro marittimo, con i suoi ritmi intensi e le prolungate assenze, sembra non rispondere più a queste aspettative.
Inoltre, l’isolamento forzato imposto dal Covid ha lasciato un segno profondo su chi lavora in mare. Molti equipaggi, durante i periodi più critici della pandemia, sono stati costretti a rimanere a bordo delle navi anche per mesi o addirittura un anno, senza la possibilità di tornare a casa. Questo ha generato un forte stress psicologico e ha contribuito a rendere ancora meno attrattive le professioni marittime.

La crisi delle vocazioni marittime non può essere attribuita solo alla pandemia. I cambiamenti culturali e sociali degli ultimi decenni hanno profondamente trasformato il modo in cui le persone vedono il lavoro. I giovani di oggi non cercano solo un salario adeguato, ma anche condizioni di lavoro che garantiscano sicurezza, benessere e tempo libero.
“Non è solo una questione economica”, sottolineano gli operatori del settore. Se da un lato retribuzioni e condizioni contrattuali devono essere migliorate, dall’altro emerge con chiarezza che i giovani chiedono anche una maggiore attenzione al benessere psicofisico. La vita a bordo, fatta di turni estenuanti e lunghi periodi lontani dalla terraferma, appare sempre meno compatibile con le aspirazioni delle nuove generazioni.

Un altro elemento da considerare è il crescente desiderio di stabilità. Le professioni marittime, per loro natura, offrono una vita itinerante e spesso imprevedibile, che può risultare poco allettante per chi desidera costruire una famiglia o coltivare interessi personali.
Il problema non è passato inosservato agli operatori del settore. Le aziende armatrici, consapevoli della crisi, sono da tempo alla ricerca di soluzioni per rendere le professioni marittime più attrattive.

Tra le proposte avanzate spiccano contratti più vantaggiosi, con retribuzioni competitive e benefit aggiuntivi, come maggiore sicurezza e comfort a bordo. Inoltre, si parla sempre più spesso di rivedere i turni di lavoro, riducendo i lunghi periodi trascorsi in mare e aumentando le rotazioni per consentire agli equipaggi di trascorrere più tempo a casa.
Un aspetto fondamentale riguarda anche la formazione e l’orientamento. Le scuole nautiche e gli istituti tecnici marittimi devono essere coinvolti in un processo di rilancio del settore, con iniziative volte a sensibilizzare i giovani sulle opportunità offerte dalle professioni marittime. Investire nella formazione di nuovi talenti è essenziale per garantire un ricambio generazionale e preservare la competitività del settore.

La crisi delle vocazioni marittime non è un problema esclusivamente italiano. Si tratta di un fenomeno globale che interessa tutti i principali porti e compagnie di navigazione del mondo. Con la crescente domanda di trasporto merci via mare, che rappresenta una delle colonne portanti della globalizzazione, l’assenza di giovani pronti a raccogliere il testimone rischia di mettere in difficoltà l’intero sistema.
Trovare soluzioni efficaci non è solo una questione di sostenibilità economica, ma anche di salvaguardia di un patrimonio di competenze e tradizioni che hanno fatto del trasporto marittimo un elemento centrale dell’economia mondiale.
Il lavoro marittimo per Procida soprattutto ha sempre rappresentato una sfida, ma anche un’opportunità unica di crescita personale e professionale. Rendere queste professioni di nuovo attrattive richiede un impegno collettivo, che coinvolga aziende, istituzioni, scuole e famiglie.

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