Gaetano Di Meglio | Davide Laezza, studente foriano da sempre impegnato nel sociale e che di recente ha promosso insieme a Marianna Lamonica la sezione isolana dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, non nasconde la voglia di proseguire la sua azione anche in campo politico, candidatosi a sindaco alle prossime elezioni di Forio. Con lui abbiamo fatto un’analisi a trecentosessanta gradi delle questioni locali e nazionali.
E’ un po’ il nome che richiama ad imprese impossibili, è un po’ la sua storia da ragazzino che ne scrive un presente diverso. Si chiama Davide e vuole fare il sindaco. E’ disarmato rispetto agli avversari e, figurativamente, ha solo 5 pietre. E’ di sinistra, è partigiano e lo descrivere, perfettamente, l’aggettivo scelto per se da Giorgia Meloni: è l’underdog per Forio.
Ecco il nostro viaggio, dalla “Sapienza” alla “Baiola”.
Cominciamo tracciando un quadro di questo novembre caldo. Pochi giorni fa in Italia si sono rivisti gli scontri ideologici con l’intervento della Polizia all’Università La Sapienza. Di recente avevamo raccontato della iniziativa da te promossa proprio alla Sapienza di Roma dove si parlava di Europa, di collaborazione. Cosa sta cambiando nel mondo giovanile?
«Il periodo autunnale è sempre stato quello delle rivoluzioni e delle rivendicazioni. Io preferisco gli ottobri. Per quanto riguarda quello che è accaduto alla Sapienza, io ero lì non il giorno delle cariche, ma il giorno dell’occupazione. Le cariche sono state una parentesi triste perché è stato bruttissimo vedere quelle immagini in quello che è il tempio della formazione. Sono stato criticato quando durante l’Assemblea pubblica si è parlato dell’evento”.
Perché?
“Il concetto è che si può anche non condividere una posizione, ma è giusto che ognuno dica la sua. Scendere nel dettaglio non mi interessa. Sono state scelte molto brutte che meritano la giusta spiegazione ed attenzione, nonostante io personalmente non le condivida. E poi è stato dimostrato che c’erano infiltrazioni da parte dei collettivi extrastudenteschi, dei centri sociali. Invece l’Assemblea pubblica è stata bellissima. Tanti studenti raccolti nel piazzale della Sapienza a confrontarsi su diversi temi. Poi dopo c’è stata l’occupazione che anche quella, secondo me, ha significato un andare oltre, che è durata un giorno. Una circostanza che ci porta a valutare in maniera diversa certi rischi».
Viviamo una stagione senza dibattito politico. Dal nulla, insieme ad altri amici, hai fondato la sezione ischitana dell’Associazione nazionale Partigiani d’Italia. Al netto delle motivazioni che portano ad un’iniziativa del genere, però, c’è un ragionamento. Confrontarsi, analizzare quello che è stato il passato per capire poi quello che deve essere il presente e magari scrivere nuove regole per quello che dovrà essere il nostro futuro.
«E’ stato un onore essere chiamato da Marianna, tanto che mi sono preso alcuni giorni per decidere. Parlare di questa iniziativa è stato sul momento emozionante perché per me è come se fosse un riconoscimento. Credo sia fondamentale una sezione dell’Anpi, non solo per riavvolgere il gomitolo, quelli che sono stati i fili delle nostre storie di resistenza, ma anche perché la resistenza si fa tutti i giorni. Per me il fascismo lo vediamo nei corridoi delle scuole, nelle strade, nelle ingiustizie sociali che si consumano a danni dell’ultimo, quando l’ultimo è messo in difficoltà e gli vengono negate tutte le possibilità di potersi emancipare, di poter esprimere la propria opinione. Quello è il fascismo e sulla nostra isola sono tanti, anzi forse troppi, i casi di ingiustizia. Però mi sembra anche che ci sia una strumentalizzazione della parola fascismo, forse un po’ troppo semplice. Mi sembra che sull’isola di indifesi, calpestati, dimenticati ce ne siano tanti».
Certamente fa comodo strumentalizzare l’avversario come fascista. Ma questo è un concetto che ci porta a Forio, dove c’è questa forza di governo che ormai non ha nessuna identità, nessuna filosofia, nessuna missione se non quella della gestione fine a sé stessa. Come fa uno come te a tirare le somme della situazione isolana, dove c’è un comune con 16 consiglieri di maggioranza, un altro commissariato e un altro ancora come Forio dove il dissenso esiste ma è politicizzato e quindi incanalato in alcune dinamiche?
«Il dissenso secondo me c’è rispetto ad altre situazioni. Io porrei la domanda alle 2500 famiglie che la Caritas registra in stato di povertà; ai disoccupati; alle famiglie che vivono a Panza, a Monterone, nelle località più disagiate dell’isola d’Ischia. Lo chiederei ai giovani come me, che sono costretti a lasciare l’isola; a coloro che d’inverno sono costretti ad andare a lavorare in Svizzera o in Germania. E’ troppo facile strumentalizzare le esigenze di queste persone. In questo periodo storico, non dobbiamo parlare solo dei programmi e dell’immagine che vogliamo dare a quest’isola, ma anche delle esigenze dell’uomo, delle esigenze di tutti coloro che hanno davvero bisogno di una mano dalla politica, ma anche di quelli che salvano il paese. E non bisogna dimenticare che sono gli imprenditori, gli albergatori. Io credo in un’azione politica che veda la collaborazione tra governo, Comuni e tutte le associazioni di categoria. Senza di queste non c’è possibilità di fare sintesi. C’è bisogno di unire le energie positive. E un’esigenza reale, ma ce ne possiamo rendere conto solo se siamo tra la gente. Allora io sfiderei chiunque a fare un giro dell’isola per rendersi conto che non è quella che dipingiamo. Tu mi hai parlato di dinamiche politiche e umane della nostra isola. Ma come può sentirsi un ragazzo che vede che per avere un ruolo all’interno di una pubblica amministrazione deve essere o “il figlio di” oppure essere la moglie di qualcuno che ha un ruolo? Come può affezionarsi alla politica un ragazzo a cui non viene garantito il diritto alla parola? Perché altrimenti si va dal padre e lo si minaccia sul posto di lavoro…».
Questa situazione della minaccia è molto foriana. Però io che sono un boomer, ormai di un’altra generazione, mi chiedo cosa avremmo potuto fare noi se avessimo avuto internet, i social. Forse oggi ci troveremmo in una situazione diversa. Permettimi, io la vedo un po’ come una grande scusa, un grande alibi. Possiamo analizzare il fallimento della generazione degli anni ’80, ma oggi viviamo in una stagione diversa, se Chiara Ferragni diventa Chiara Ferragni e tanti altri crescono attraverso quegli strumenti.
“Purtroppo non possiamo fare a meno di dire che sull’isola non abbiamo neanche questo. Però una cosa va detta con chiarezza: i lavoratori stagionali sono una categoria, gli albergatori a loro volta sono una categoria. E noi facciamo associazionismo giovanile perché rappresentiamo i giovani come categoria, perché la giovinezza è una parentesi della propria vita. E l’aspetto più importante è la formazione, il momento in cui si capisce chi siamo, le proprie idee, quello che si vuol fare nella vita. Quindi essere giovani semplicemente vuol dire portare all’attenzione delle esigenze che sono diverse, ma complementari, a quelle del mondo degli adulti. Purtroppo, siamo anche rappresentati da analfabeti della politica, cioè da persone che non hanno mai capito cosa vuol dire fare politica, soprattutto non hanno mai studiato. Quindi diamo spazio a quel tipo di entità giovanile».
A proposito di spazio, a breve a Forio ci sarà un’opportunità a breve. La democrazia funziona così, alle elezioni si decide chi si prende lo spazio.
«Cito una frase di Sartre che dice che tante volte anche il silenzio ha delle conseguenze. Quindi il silenzio di questi giorni, mio e di tanti altri soggetti che vengono da esperienze di attivismo politico, di associazionismo e dalle tante realtà sociali e solidali della nostra isola, non significa che non c’è qualcosa che si muove. Quali sono gli spazi e quali le possibilità? Io non ho un orologio al polso che mi indica quale è la scadenza. Tanti politici a Forio devono fare i conti con il tempo che si trascorre, ma anche con il dissenso che cresce perché forse hanno promesso troppo, hanno concentrato la propria vita e carriera politica sui personalismi. Io non ho fretta, ma sono sicuro che questa volta ci sarà un cambiamento. La mia candidatura a sindaco? Parlando seriamente quando vengo preso in disparte da amici che mi raccontano quello che gli succede sul posto di lavoro, le preoccupazioni sul futuro… Oggi si parla tanto di merito, abbiamo visto anche il ministero dedicato al merito. E forse bisogna capire bene che significato dargli e capire cosa chiedono le nuove generazioni di questa isola. Quindi cercherò di fare una sintesi di queste esigenze. Poi vedremo cosa accadrà. Io ho tutto il tempo per costruire meglio. C’è l’idea di fare una lista, di presentare una candidatura».
Poi come si concretizza questa idea? Quale è la prospettiva?
«La prospettiva c’è sempre. Al di fuori di quello che è il sindaco e la dinamica elettorale cosa fare? Sicuramente c’è bisogno di un bagaglio di idee. Quando si parla ad esempio di nuovo, vuol dire che si offre una prospettiva. Attualmente con i ragazzi che come condividono una certa visione e le associazioni che sento più vicine a me parliamo di idee, di quelle che possono essere le iniziative utili. Il resto verrà da sé, se ci sarà una lista, se ci saranno queste dinamiche politiche. Dopo gennaio si inizierà a discutere in maniera concreta di dinamiche elettorali. Questo è il nuovo. E’ una sfida, un’alternativa al sistema che c’è oggi. So che c’è un forte dibattito anche in quelle formazioni che stimano già solide e definite. Quindi può darsi anche che ci saranno altri candidati che vorranno rappresentare questa forte esigenza di dire qualcosa e di fare qualcosa. Io sono molto pragmatico».
Saresti un underdog…
«Non mi piace che mi sia stata affibbiata questa espressione negli ultimi mesi. La verità è che io amo Forio in maniera viscerale, ma chi mi conosce lo sa che non mi interessa entrare in politica, non mi sto facendo un bagno elettorale quando non ne ho proprio bisogno. Trasferirmi a Roma è stato importante per la mia formazione e credo che sia importante a volte uscire dall’isola per conoscere le dinamiche nazionali. Ho avuto l’occasione di conoscere tutti i protagonisti della politica italiana, con chi realmente sarà in campo nelle decisioni e tuttora riesco ad interloquire con queste realtà. Quindi Roma diventa la casa della formazione. Ma per l’enorme rispetto che ho per Forio, per la gente che mi stima, non potrei mai avventurarmi in dichiarazioni fuori luogo o in personalismi. Io posso fare il sindaco perché sono giovane, perché studio mentre questi politici veramente non sono all’altezza e favoriscono dinamiche sbagliate. Da parte mia ci sarà sempre l’impegno e la massima concretezza».
Un’ultima domanda Sai cosa significa la sofferenza. Sai cosa significa il dolore. Questo bagaglio culturale quanto influisce sulle valutazioni che si fanno, sulle priorità della vita, sui progetti che si mettono in campo?
«Ho paura, a volte, di parlare di questi temi perché credo che al giorno d’oggi fede, sentimento e valori vengono usati in maniera molto strumentale. Però qui si parla della mia vita. Sono stato costretto contro la mia volontà a diventare maggiorenne prima dei 18 anni. E questo mi ha permesso di poter affrontare tutte le altre sfide. A dare il giusto peso alle cose, a vedere con un occhio diverso tutto ciò che affronto. Questo perché ho saputo ascoltare, vivere oltre il mio dolore, le mie speranze, ma anche quelle degli altri. Io non ho la pretesa di sapere già cosa vuol dire vivere, ma sicuramente sento forte la convinzione di aver potuto capire la capacità di pesare gli interessi, di pesare gli eventi della vita. Pesare le parole, io insisto molto su questo concetto. E questo poi, a volte forse mi porta a essere impulsivo, altre volte spero di non dare l’impressione di voler essere protagonista, di voler essere eccessivamente narcisista. Una cosa che mi ha sempre dato molto fastidio. Io non credo che ci sia bisogno di personalismi, ma purtroppo ne vedo tantissimi. In conclusione, voglio dire a tutti quelli che, come me hanno vissuto certe esperienze, che faccio parte di questa associazione che occuperà appunto dei giovani adolescenti.
Durante la malattia si caricano le forze e si prova a resistere, si ha un obiettivo che è quello di vincere una battaglia. Quando hai dato tutto te stesso sei completamente scarico ed è il momento più brutto. Posso anche usare un termine, quello della dimensione forse troppo usata che ho vissuto dopo la malattia. È il momento più doloroso della mia vita, ma anche quello in cui ho dovuto capire realmente questo motivo di vita. Quindi posso dire a tantissimi ragazzi, anche molto più piccoli di me, che vivono certe esperienze, che possono essere un profondo momento di crescita per capire realmente quello che si è. Quindi non tenetevi tutto dentro con la convinzione di poterla gestire da soli. La cosa più bella del dolore è che quando parli con gli altri vedi che ognuno ha una nuova interpretazione del dolore”.