4WARD di Davide Conte
La morte di Chiara ha azzerato la gioia della nostra vacanza, non solo per la gravità dell’evento, ma anche per l’impossibilità materiale di accompagnarla nel Suo ultimo viaggio insieme a tutta la famiglia. Persino il tempo, qui solitamente splendido, venerdì scorso si è turbato, sfociando in una lunga e torrenziale pioggia durata un giorno intero. Ci consola unicamente sapere, d’ora innanzi, di avere un nuovo angelo che ci guarda e protegge da Lassù.
A Lei, Catrin e i ragazzi hanno dedicato una scritta sulla sabbia, realizzata con oggetti trovati in spiaggia e che è stata utilizzata a prezioso corredo di questo articolo.
Rieccoci! Se l’invidia per il piccolo aeroporto di periferia all’Avana è già grande, quella per l’ancor più insignificante ma utilissimo scalo aereo di Cayo Largo del Sur è salita alle stelle non appena mi sono accorto che vi poteva atterrare e decollare finanche il charter Boeing 777 Blue Panorama in arrivo da Milano. Cayo Largo è stata una piacevole sorpresa; non è certo la più affascinante tappa di “mare lontano” vissuta finora, ma le sue splendide spiagge di sabbia bianca e mare tra il verde chiaro e il blu, ricche di conchiglie, stelle marine e pesci di varie dimensioni e tipologie sono tranquillamente paragonabili a mete internazionali molto più rinomate e, soprattutto, più costose. Uno dei due versanti di Isla del Sur è particolarmente sviluppato, presentando spiagge pulite ed attrezzate alla buona (tra tutte, Playa Sirena e Playa Paraiso), oltre alla totalità degli alberghi (nove) e dei servizi turistici, questi ultimi ben pochi e concentrati in una piccola “marina”, dove è possibile visitare anche il centro di recupero ed allevamento di varie specie di tartarughe marine. Il versante opposto, invece, è totalmente abbandonato e presenta solo alcune autorimesse, la stazione dei pompieri e la centrale elettrica: lo abbiamo raggiunto in quad fino a Playa Luna, un litorale totalmente abbandonato a sé stesso, imbattendoci in un’ingente quantità di rifiuti d’ogni genere lungo il ciglio delle stradine interne come nella relativa vegetazione spontanea. Non un Bancomat (prelievi solo nella sede bancaria locale pagando una salata commissione); manca una chiesa cattolica, cosa piuttosto strana da queste parti, considerato che si tratta di un popolo di fede particolarmente fervente. Ma al Sur è abbastanza normale: in buona sostanza, la popolazione stanziale è veramente poca. La maggior parte degli indigeni è impegnata a lavorare nelle strutture turistiche, nelle aziende di trasporto, in aeroporto, alla marina o nelle imprese locali, ma proviene per la quasi totalità dalla Isla de la Juventude, distante ben quattro ore di nave da qui: con un trasferimento più confortevole, sarebbe stata una splendida ed irrinunciabile escursione. In compenso, c’è lo splendido albero secolare Yana, dove fedeli afro-cubani e turisti scaramantici si recano ad offrirgli doni in cambio dell’espressione di un desiderio da esaudire. Simpatico noleggiare un mezzo a due o quattro ruote per girare liberamente, magari anche solo un giorno. Disponibili quad, ciclomotori e piccoli fuoristrada. Solo i primi sono di produzione Suzuki, mentre gli altri –manco a dirlo- sono tutti rigorosamente di fabbricazione e provenienza cinese, al pari degli autobus e dei van che svolgono il servizio h24 di taxi-navetta. Sarà un caso o… tra “rossi” ci si preferisce?
Le strutture ricettive sono più o meno equamente suddivise tra italiane ed internazionali. La differenza sta nella formula-villaggio adottata dalle prime (basata, quindi, su una gestione totalmente dedicata ai gusti nostrani con clientela made in Italy) e da quella più universale per i secondi. Per la gioia dei nostri ragazzi abbiamo scelto la prima, ritrovandoci in una struttura con la spiaggia attualmente migliore della zona ed uno staff particolarmente attivo, simpatico e disponibile con cui familiarizzare è risultato facilissimo. Peccato per il cibo, una delusione inaspettata che non mi spiegavo fino ad aver parlato con lo chef, italiano di Bergamo. “Non deve meravigliarsi –mi ha detto- perché qui le forniture arrivano con delle zattere che chiamano patanas (i soliti “deviati” non ridano ), provenienti dopo due giorni di mare da un paio di località limitrofe. Quando arrivano, non solo non sappiamo cosa portano, ma neppure con quale criterio distribuiranno. Lo decide il Governo, che assegna le derrate migliori ad alberghi e ristoranti delle città principali, non certo di Cayo Largo. Questo significa che in un albergo italiano come il nostro siamo rimasti a volte anche un mese e mezzo senza pasta o senza confetture per la colazione E come se non bastasse, ci costringe a comprare il pesce di notte, come dei ladri con tanto di torce, perché vieta ai pescatori di venderlo alle nostre strutture.” Ogni commento è superfluo!
I ritmi dei lavoratori locali sono a dir poco blandi. L’impressione è che su cinque, tre lavorano e due guardano e quelli che lavorano si concedono numerose pause. Vi lascio quindi immaginare la durata di opere che, dalle nostre parti, si completano in un batter d’occhio (“colpo di mano” docet). E poi, venti giorni di lavoro e dieci di festa, per uno stipendio medio dell’equivalente in pesos di 20 euro/mese. Due giorni di pioggia ci hanno impedito sia l’escursione a Cayo Rico con un trimarano, dove si possono ammirare delle meravigliose piscine naturali e una fauna marina incantevole, sia una battuta di pesca d’altura. Pazienza! Ma per il resto, Cayo Largo può essere senz’altro promossa a pieni voti, se non fosse per la chiusura antipatica del soggiorno caratterizzata dalla sconfitta del Napoli contro il Bologna. Ma lì, oltre la scaramanzia di aver cambiato tv, Mazzoleni ne sa qualcosa.
A venerdì prossimo (quando, se Dio vorrà, sarò di nuovo ad Ischia con la mia famiglia) per la terza e ultima puntata di questo diario cubano, che spero in qualche modo abbiate gradito e che, a meno di intoppi, si concluderà con L’Avana, Trinidad, Pinar del Rio e Vinales. Ari-hasta luego, amici!