Incontriamo don Beato Scotti, nuovo parroco della parrocchia di San Sebastiano a Forio.
La “chiamata” a Pasqua del 1997. «Non avrei mai voluto essere prete sull’isola e invece…». Il dono di don Pasquale Sferratore: «In uno dei suoi canti diceva “lasciamo stare tutte le cose vane, noi siamo quello che possiamo dare in termini di bene, perché solo questo ci portiamo”. Il bene che facciamo, ecco, noi lo portiamo dall’altro lato dopo la morte»
– E’ un momento di svolta, come tanti che capitano nella vita, però questa è una svolta allegra dopo tante altre che, magari, tutti abbiamo vissuto in maniera particolare. La guerra, la pandemia. Qualcuno dice “mai una gioia”. Invece, questa volta c’è una gioia…
«Innanzitutto, benvenuti in questo luogo tanto caro ai foriani, questo è il luogo della Madonna di Visita Poveri, la Madonna delle Grazie a cui tanti foriani sono devoti. Che bello stare qui questa mattina! Ed è bello condividere con voi questo momento. Si, tu parlavi di gioia. La gioia sta tutta nel fatto che il Signore, quando ci sono questi cambiamenti, quando è Dio che muove le sue pedine, ecco, vuol dire che decide per la Sua chiesa e attraverso la Sua chiesa ci tiene per il mondo, ci tiene per la nostra isola e quindi ti fa gioia sapere che Dio ha ancora a cuore le sorti dell’umanità».
– Don Beato, presentiamoci. In qualche modo torniamo alla tua vocazione, al momento in cui Beato Scotti incontra Gesù e capisce che la sua vita diventa quella di un rapporto diretto, uno a uno con Dio e decide di diventare prete. Sceglie questa strada. Un modo per avvicinarci di più agli altri. Un desiderio che, alcune volte, viene fermato dalla timidezza.
«Raccontare la propria vocazione è sempre bella per un sacerdote. E’ sempre bello per chi ha messo mano all’aratro. Ecco, anche se devo essere sincero, posso risponderti sul quando. Come i discepoli, che hanno in mente proprio il momento fisso della chiamata; è scritto “verso le 4 del mattino, i nostri occhi hanno incrociato lo sguardo con il Signore”. Io ti dico è stata la Pasqua del 1997. In quel momento ho avuto il mio colpo di fulmine nel vero senso della parola. Però se ti devo dire perché ho capito questa cosa e come l’ho capita, mi perdonerete sul perché e sul come, vi devo dire ancora che non l’ho capito. Non l’ho capito perché il Signore ha scelto me. Non ho capito ancora perché il Signore mi ha mandato in questa bella terra di Forio nonostante io sia un figlio di Forio. Però, è un progetto di Dio. Cioè, c’è tanta fatica a comprendere i suoi progetti, però è ciò che Dio vuole e noi ci mettiamo nelle sue mani».
LA COMUNITA’ DI MONTERONE
– Prima di realizzare un’intervista, in qualche modo, ci si prepara, si ci informa sulla vita dell’intervistato per affrontare meglio le domande. Volevo ricostruire un po’ il personaggio e una cosa che mi ha colpito provando a conoscerti meglio è il racconto di un ragazzo di Monterone, di uno che “lavorava nda frauc” e che si è formato in quella comunità. Due concetti che, poi, hanno caratterizzato anche il tuo modo di diventare sacerdote.
«Sì, quando c’è stato il passaggio e quindi i media hanno divulgato la notizia, mi ha colpito molto il modo di dire nei miei confronti che ha usato un giornalista, definendomi “il popolare Don Beato”. E’ stato bello sentirsi chiamare popolare e credo che per questo termine devo molto al mio passato.
Perché? Perché Monterone in quanto tale è importante. Monterone, se la conosci, sai che ha un cuore pulsante, che è quello della piazzetta dove da bambino praticamente sono cresciuto. Una piazzetta dominata dalla chiesa di San Michele Arcangelo, la parrocchia. Io facevo casa, piazza e chiesa e credo che la comunità di Monterone faccia parte della mia vita. Io ho ringraziato la comunità insieme a Don Pasquale nella mia entrata e quest’anno a San Sebastiano perché, in fondo, don Pasquale e un po’ tutto il clima di Monterone è ciò che mi ha dato, mi ha fatto conoscere Gesù Cristo. Gesù è il centro di tutto, anche delle devozioni, e ce ne sono parecchie, delle pietà popolari, del modo di vivere questa nostra chiesa, che si radica nel cuore di Cristo. Altrimenti tutti rischiamo di sbagliare. Quindi sono grato a Monterone, sono grato a Don Pasquale.
Nella domanda parlavi anche del mio lavoro come muratore. Sono sincero, sono grato a quel lavoro e a quella dimensione che mi ha fatto toccare le pietre con le mani, mi ha fatto sentire le prime difficoltà, guardare che, man mano, il corpo si abituava a quegli sforzi. Poi crescendo, con l’adolescenza la scuola superiore, il servizio militare mi hanno insegnato il significato del lavoro duro e mi hanno dato la possibilità di capire che le difficoltà vanno affrontate. E’ proprio durante le difficoltà, nelle righe storte della nostra vita, che Dio scrive e che Dio si presenta».
– Possiamo dire che non è vero che “Nemo profeta in patria”.
«Certo che lo possiamo dire, lo ha detto il Maestro».
ESSERE UN ESEMPIO
– Io lo dicevo nel senso “di Forio, a Forio”.
«Quando ho sentito la chiamata chiedevo a Gesù: “tutto, ma non essere prete”, poi si è resa limpida la chiamata al sacerdozio e allora gli ho chiesto “tutto, ma non sull’isola d’Ischia”. Andai anche a parlare con il rettore di Pozzuoli, il quale con due parole mi fece capire che Dio mi voleva a Ischia. E da allora sono stato sempre a Forio. Le uniche altre due esperienze, una come seminarista al Buon Pastore e una come viceparroco a San Pietro ad Ischia; ma poi sempre Forio, sempre Forio».
– Due vite a Forio, una da laico e una da sacerdote. E, quindi, non possiamo non ricordare chi come sacerdote ha segnato le nostre comunità. Uno l’hai nominato, Don Pasquale Sferratore; l’altro mi piace ricordarlo, Don Giovì.
«A Don Pasquale devo molto. Ma anche a Don Michele Romano, a don Mario Amalfitano con cui ho iniziato a fare il chierichetto. Quelle persone che, insieme con mia mamma, sono quelle dalle quali ho sentito per la prima volta il nome “Gesù”. Senti per la prima volta che lì c’è Gesù e riconosci il Tabernacolo. Senti per la prima volta le parole “Ave Maria” e ti insegnano a pregare, ad alzare lo sguardo soprattutto nei momenti di difficoltà. Insieme a loro, comunque, c’è un esercito di persone che ha saputo vivere la fede e ha saputo vivere la propria umanità e che mi sono state da esempio.
E io questo chiedo al Signore, chiedo che io, insieme ai miei fratelli, insieme a chi mi ha preceduto, insieme a chi mi seguirà, possa essere innanzitutto un esempio per tutti, perché, alla fine, è quello che lasciamo. Don Pasquale Sferratore nei suoi canti, in uno in particolare, diceva “lasciamo stare tutte le cose vane, noi siamo quello che possiamo dare in termini di bene, perché solo questo ci portiamo”. Il bene che facciamo, ecco, noi lo portiamo dall’altro lato dopo la morte».
IL DISEGNO DI DIO
– Quando ti ha chiamato il Vescovo Pascarella e ti ha detto “caro don Beato tu devi guidare la parrocchia di San Sebastiano”, cosa hai pensato?
«Ho pensato innanzitutto: è una pioggia di fiducia dovuta anche al fatto che il Vescovo non mi conosce bene, è qui da poco tempo (sorride con leggero imbarazzo, ndr). Dall’altro, però, ho accettato con tanta serenità. Funziona così. Se noi chiediamo qualcosa, con le prime difficoltà pensiamo che Dio ci ha messo in questo luogo e pensiamo subito ad un nostro errore di valutazione e questa cosa ci peserà sempre. Se invece noi accettiamo quello che è il Suo disegno per noi, anche le difficoltà più grandi, anche gli insuccessi saranno non solo accolti, ma Dio verrà benedetto per queste cose, perché comunque chi ci ha messo in un determinato luogo è stato Lui e Lui vede al di là delle nostre possibilità e delle nostre capacità».
– Umanamente, però, cambia il senso di responsabilità che si ha. Il peso delle anime, delle persone che ti sono affidate. Come la stai vivendo?
«Sono i primi giorni e non posso ancora dare giudizi, però io credo che Forio abbia già tutto. Non credo che chissà cosa debba pensare o cosa organizzare, io devo solo essere a disposizione. Questa è la gente di Forio, gente con la quale sono cresciuto. Abbiamo la stessa pietà popolare e la stessa devozione, soprattutto, alla Madonna. Abbiamo lo stesso modo di pregare. Se mi guardo alle spalle c’è chi senza magari un’organizzazione particolare o un progetto particolare della parrocchia, si è messa al lavoro. Io sono solo un testimone e bisogna solo stare a disposizione».
– Forio è sicuramente una piazza viva rispetto a tante altre piazze. Una piazza che si muove e sono tante le manifestazioni che pure si organizzano. E’ una parrocchia abbastanza grande, con diverse chiese, con diverse congreghe e c’è Don Antonio Mazzella che ti aiuta sul lato di San Francesco. Una bella collaborazione.
«Sì, ecco, vedi ritorniamo al discorso di prima. Pensa un po’ se avessi chiesto io di venire qui a Forio, di fronte a tutte queste problematiche, di fronte al numero delle chiese, di fronte alle esigenze della Forio cattolica, mi sarei dovuto solo fare il segno della Croce. E però con un altro significato. Invece l’ha voluto Dio. E’ stata una disposizione di Dio per questa scelta. Si, certo, ringrazio il Vescovo Pascarella per questa fiducia grande e poi, ti ripeto, con altrettanta fiducia mi metto nelle mani di Dio, perché se mi ha messo qui vuol dire che vuole Don Beato con tutti i suoi limiti, i suoi pregi, con le sue lentezze, con la sua difficoltà, ma anche con quel poco di buono che può fare».
LA FEDE SEMPLICE
– Viviamo in una società dove sembra che chi professi la propria fede venga catalogato come retrogrado, come bigotto e come tante altre cose che, in verità, lasciano anche il tempo che trovano. Come si affrontano le sfide di questi giorni? Io so che senza la fede si sbanda perché il mondo crolla. Ma a prescindere dalle tue convinzioni personali, come si affrontano le difficoltà?
«Sono del parere che chi ha fede non è mai retrogrado. Vivere determinate cose, anche se c’è stata, e se c’è nel cuore dell’uomo il desiderio di incontrare Dio è la fede genuina. Io lo vedo sempre come una persona matura. Il rapporto con il Signore migliora il nostro anche da un punto di vista esteriore e in termini di relazione con gli altri. C’è bisogno di capire questo, magari chiedendo a Dio il dono di avere un occhio attento. Dove si tocca con mano la fede semplice, credo che quella sia la garanzia di un desiderio di Cristo. Il prete non può che stare a disposizione, punto e basta».
– Proviamo a spiegare il concetto di fede semplice perché, magari, lo diamo per scontato…
«La fede semplice. Molte volte Dio si studia, si studiano le cose di Dio, si studia la Chiesa, si studia la storia della Chiesa e nonostante si sappiano queste cose, non è detto che nel cuore dell’uomo ci sia la fede. Quella bella fede, che è dono di Dio e resta tale, è un’altra cosa.
Quando invece le cose partono da un incontro con il Signore, da questo desiderio di incontrarlo ancora e incontrarlo ancora, allora inizia il desiderio di sapere le cose e, se magari non si sa, quel poco che si sa rappresenta quel bagaglio di fede semplice perché profondo e convinto nel desiderio di incontrare Gesù Cristo.
Per capire la fede semplice, secondo me bisogna guardare al modo di fare dei nostri avi e di quelli che riuscivano a vivere per la fede e a quelle belle rinunce che facevano per la fede. Perché dico questo? Perché ho imparato che nella fede devi andare avanti come quando si rema in una barca, Per remare bene non ti metti rivolto verso la meta, ma ti metti rivolto con il volto verso il passato e la spalle verso il futuro. Così dobbiamo fare nella nostra storia e nella fede semplice degli avi, che poi ci fa vivere il nostro tempo. Costruendo nel nostro tempo in modo da poter dare qualcosa di bello anche alle generazioni future, quindi vivere la Chiesa ancorati nel passato ma proiettati al futuro. Sono due dimensioni che devono esserci, e la fede semplice, la fede genuina, ci aiuta in questo modo».
Penso che Dio se esistesse avrebbe tante cose più importanti da fare che realizzare il Suo disegno per don Beato Scotti
Dio esiste e il fatto che tu possa commentare il libertà è la prova