Gaetano Di Meglio | Questo è sempre un numero speciale. Proviamo a proseguire la linea di Domenico e quella di rilasciare in edicola, quanto più possibile, un giornale “tutto buono”. Uno sforzo che ci piace confermare e che proviamo ad onorare. Per questo numero in particolare, abbiamo chiesto a Don Carlo Candido, uno dei più influenti esponenti del clero ischitano, di accompagnarci in un piccolo viaggio di due pagine, alla scoperta del vero senso di questi giorni. Giorni sempre più confusi e sempre più stretti nella morsa di chi vuole una secolarizzazione anche su temi eterni, come quelli della fede. Non farsi trascinare in posizioni assurde e al ribasso (come quella che vanno per la stragrande) è una mission davvero impossibile.
E così, ieri, 23 dicembre, dopo la Santa Messa celebrata con i piccoli della casa famiglia di Casamicciola, Don Carlo Candido, ci ha aiutato, come detto, a dare un senso a questi giorni e a capire, in questo 2023, ancora quale sia l’importanza di questa festa del Natale.
Don, un po’ l’abbiamo annacquato con troppi pupazzi rossi e con troppe altre cose, ma al di là dell’aspetto liturgico, quello della liturgia del catechismo cattolico, qual è l’importanza di questa festa da un punto di vista sociale, diciamo cattolico, nel senso universale del termine.
“Penso che una delle cose che suscita tanto il Natale, nel cuore di tutti, sia il desiderio di famiglia e di ritrovarsi insieme. E questo è uscito in maniera molto forte e preponderante da tante indagini di opinione che sono state raccolte un po’ in tutt’Italia, è il ritrovarsi in famiglia, con gli amici o chi si vuole bene. Questo mi sembra bello perché, in realtà, esprime un desiderio profondo, oggi più che un tempo, di vivere questo clima di famiglia. Quindi il primo aspetto mi sembra che sia molto forte nel cuore di tanta gente è questo, l’altro aspetto, certamente, oggi è quello della pace. Tanti mi dicono, nello scambiarci gli auguri, che la pace è il desiderio di tanti, soprattutto guardando quello che sta avvenendo nel mondo e paradossalmente, proprio nella città della pace che è Gerusalemme e in modo particolare in questi giorni a Betlemme, dove è nato il “Principe della pace”. È proprio questa terra ad essere insanguinata da tanti bambini che non possono crescere e che non hanno il diritto di poter crescere. Ecco in modo sereno, questo ci fa pensare ancora di più che il desiderio grande, sia quello della pace. E soprattutto in Palestina.
In questo momento, vivi un tuo nuovo percorso di vita. Molti ti hanno lasciato al parroco stabile di una parrocchia importante. Oggi ti ritroviamo, un po’ come in un Esodo, per usare un termine caro alla Bibbia, in un cammino che ti porta vicino alle tante debolezze. Le mamme che hanno perso un figlio, i bambini che sono allontanati dai genitori, pochi mesi fa abbiamo raccontato della tua esperienza a Poggioreale e so che in queste ore o in questi giorni visiterai i ragazzi di Nisida. Un viaggio vicino a tante realtà che, magari, sembrano secondarie. Qual è il racconto di questo nuovo anno e di questa nuova isola?
“Volendo usare l’espressione di una canzone famosa di Bennato, è “L’isola che non c’è” e fare l’esperienza appunto di una realtà che, in realtà c’è, ma che gli altri pensano che non ci sia e che è la realtà di tanta sofferenza, di tanto disagio e soprattutto di fare i conti con la fragilità e con l’uomo di sempre, è l’esperienza che sto facendo. Parlavi, giustamente, di una parrocchia itinerante, cioè da marciapiede, da strada e questo è davvero bello. Perché, poi, nella vita che ha vissuto Gesù, il Signore è sempre stato in cammino e tra la gente. Quello che Papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato ha chiamato una Chiesa in uscita, chiesa di un ospedale da campo. E’ questa l’esperienza bella che ho vissuto a Poggioreale. Questa che vivrò nelle prossime ore di questo Natale a Nisida, con i ragazzi del carcere minorile, così come ho vissuto a Scampia, nel centro confiscato alla camorra dedicato a Gelsomina, ragazza uccisa dalla camorra perché aveva la colpa di essere fidanzata con un piccolo camorrista e come dispetto l’ha uccisa e dopo l’hanno bruciata. Una ragazza davvero buona che stava spendendo invece la sua vita per tanti ragazzi, soprattutto bambini di Scampia, per fare il doposcuola. E così come l’esperienza che ho vissuto anche a Caivano, in una comunità di ragazzi che stanno facendo un percorso di recupero e di guarigione. Esperienze anche molto forti, così come quotidianamente vivo questo accompagnamento con i genitori che hanno perso dei figli in giovane età o di tanti giovani che vivono, non incrociando le strade ecclesiali, un profondo disagio e ne sono tanti. Per cui mi sembra che il Natale più bello sia questo. Anche ricordare che continuiamo ad incontrare Gesù proprio in queste povertà. Quando pensiamo alla povertà pensiamo sempre alla pagnotta, anche quella certamente esiste, ma oggi sento che le sacche di povertà sono tante e sempre nuove e siamo chiamati dare, come cristiani, una risposta a tutto questo.
Carlo, tornando un po’ ai valori del Natale, certe volte mi sembra che venga tutto ridotto alla favoletta, alla poesia che il bambino deve raccontare durante il cenone e non si perde l’aspetto vero di questa festa che, magari, tanti anni fa era molto importante. Parliamo della celebrazione della nascita di Cristo Gesù. Pensi che in questi ultimi anni, anche dopo il covid, dopo che abbiamo scoperto la società distrutta, abbiamo riscoperto il senso vero del Natale, ovvero che è venuto qualcuno a salvarci.
“Ecco, ho l’impressione di no. Ho l’impressione che spesso quella mangiatoia l’abbiamo riempito di tante altre cose. Abbiamo solo spostato un po’ il festeggiato. Ma questo accade da qualche decennio, non è di adesso. Ogni tanto c’è, certamente, in alcuni di noi, non nella società insieme, ma certamente in tante persone. C’è una riscoperta di Gesù, soprattutto di Gesù, che è venuto non per fare un po’ di villeggiatura o una settimana bianca qui sulla terra, ma è venuto per salvarci dai peccati. Lo dice chiaramente l’Angelo a Giuseppe “verrà un salvatore per salvare il popolo dai suoi peccati”. Io dicevo, sempre scherzando, anche in questi giorni della novena, che in realtà il Natale lo può festeggiare solo chi ha la coscienza di essere peccatore. Ecco perché Sant’Agostino usava quell’espressione che io ritengo, scherzosamente, una vera “bestemmia” che noi proclamiamo solennemente anche a Pasqua “o felice colpa che ci ha meritato un così grande redentore”.
Noi abbiamo avuto questo redentore e per quella colpa di Adamo, che noi chiamiamo quella colpa e sappiamo cosa sono le conseguenze della sofferenza, del dolore, della morte. La chiamiamo “felice culpa” perché ci ha meritato un così grande redentore. Questo è Natale e quindi mi sembra bello, come ricordavo questa mattina nella messa dei bambini dell’asilo delle suore di Casamicciola, che il Natale è anche un momento in cui dobbiamo riscoprire il valore dei bambini. Mi sembra che viviamo in una cultura forse un po’ mortifera, dove spesso i bambini sono quelli che pagano la più grande conseguenza. Non dimentichiamo il numero elevatissimo di bambini che sono morti sia nella guerra tra l’Ucraina e la Russia, sia in Palestina. Questi sono i dati dell’Onu e fanno spavento ma, soprattutto, provo ad immaginare quei tanti bambini che non sono morti, e a quelli che forse vivranno da morti. Chi cancellerà mai loro quelle immagini, quei rumori, quelle violenze e quelle scene? Credo che questo sia il più grande delitto che l’umanità stia compiendo nei confronti dei bambini. Così come provo ad immaginare i tanti bambini che non riescono a nascere per l’egoismo di noi adulti. Così come provo ad immaginare a quei tanti bambini che quotidianamente soffrono per violenze di vario genere. Ecco, a Natale, credo sia importante rivolgere una seria riflessione verso il Bambino di Betlemme e di scoprire il valore di ogni bambino”.
C’è un grande intruso in questi giorni che riceve letterine. Nella tua ipotetica letterina a Babbo Natale, cosa scriveresti?
Mah cosa scrivere? Imparare sempre di più ad accettare le proprie fragilità e le proprie debolezze come quelle degli altri. Siamo una società violenta, siamo una società giustizialista, siamo una società che facilmente condanna. Quel bambino di Betlemme, invece, lui che è infinitamente grande e si è fatto infinitamente piccolo, lui che è dalla perfezione si è fatto fragile come un bambino, lui che era il tutto si è fatto bambino bisognoso di tutto, di cura, di tenerezza, di amore. Il Natale ci ricorda che dobbiamo recuperare la tenerezza che stiamo perdendo anche delle relazioni. Quello che chiederei a Babbo Natale, in questa ipotetica lettera, è più tenerezza verso sé stessi, verso gli altri, accettando la propria e l’altrui fragilità. Perché quel Dio, che è Dio, si è fatto fragilità nel Bambino di Betlemme.
Domanda personale, quindi accetto una risposta brevissima. Abbiamo saputo, perché tu lo hai detto, che stai attraversando un momento di prova personale. Quanto questo ti avvicina agli altri?
“Tantissimo. Tantissimo. Tantissimo. Sto benedicendo Dio perché questo mi ha permesso di maturare tanto in empatia. Oggi mi è molto facile entrare nel cuore degli altri, perché, ecco, sei spogliato di tante cose e questo quando non hai più filtri o ruoli, questo ti permette di vivere davvero nella povertà, nella semplicità, nella piccolezza e questo ti permette di vedere più a lungo”.
In conclusione, che 2024 hai organizzato? Non ti chiedo che ti aspetti perché, conoscendoti, immagino che tu abbia già organizzato tante cose.
“Si, tante cose belle. Perché come ho avuto modo di dire anche al vescovo, non vorrei morire in poltrona e pantofole, ai piedi del mio proprio idolo. Vorrei che la morte mi colga di sorpresa. Preferisco viverla ed esserne colto in trincea, come sempre. Papa Francesco parla di una Chiesa “accidentata” piuttosto che “malata e chiusa in casa”. Ecco, così, accidentata”