Gaetano Di Meglio | Con Don Carlo Candido abbiamo avuto una bella conversazione su come il Covid abbia influito sulla vita degli Ischitani e, in particolare, sul folto numero di persone che frequentano la sua parrocchia, sulla questione giovanile, sulla fragilità post pandemica e su tanti altri argomenti. Una lunga chiacchierata che sarà oggetto di una intervista dedicata, ma questa parte delle parole del parroco di Ischia Ponte, hanno un senso particolare se calate nel momento e nel periodo storico che stiamo attraversando.
Uno spaccato di verità che stiamo affrontando già come redazione e che nei prossimi giorni sarà oggetto di un’inchiesta già avviata dalla settimana scorsa e che, in parte, trova una risposta, forse parziale, nelle parole di uno dei parroci con maggior influenza. Parole attuali, forse anche fin troppo “politiche” ma che rendono la fotografia del paese. Una fotografia che parla di giovani, di politica, di casta, di lavoro, di serietà, di credibilità. Le prendiamo come monito e Don Carlo ci perdonerà anche l’estremizzazione del titolo. Abbiamo giocato con le parole, abbiamo dato un senso rapido alla sua educata denuncia e abbiamo rispettato il nostro stile.
Don Carlo non fa nomi, non scende nel dettaglio ma è molto chiaro. Non serve interprete o “spiegone” aggiuntivo.
I MILLE GIOVANI DI ISCHIA
La discussione entra nel vivo quando parliamo di lavoro e delle fragilità del sistema locale.
«Stiamo vivendo un vero esodo – commenta serio il Don -. Mi diceva un addetto ai passaporti che ci sono tantissimi giovani ischitani che lasciano la nostra isola. Ricordo che fino a due anni fa, quando facevo la benedizione delle case, che tanti genitori o nonne mi chiedevano preghiere per i nipoti o per i figli. Chi era a Londra, chi a Parigi, chi ad Amsterdam. Una circostanza, questa, che veramente deve farci pensare. Non può passare inosservato il fatto che tanti nostri giovani, spesso anche eccellenza, lasciano sempre di più la nostra terra. Questo è una realtà che è sotto gli occhi di tutti. Quest’anno, poi la questione giovanile e quella del lavoro si sono accavallate. Tanti accusano un po’ il reddito di cittadinanza, ma io devo dire che in quasi trent’anni ho dovuto fare sempre un po’ da collocamento. Cioè, ho sempre chiesto a tanti imprenditori un posto di lavoro per i giovani. Questa è la prima volta si sono invertiti i fattori. Quest’anno erano gli imprenditori, ristoranti, bar, alberghi, stabilimenti balneari, termali e tanti altri che mi hanno chiesto giovani per lavorare perché non se ne trovano. Sarà il reddito cittadinanza o no, ma resta il fatto che calcoliamo più di mille unità in meno nel mondo del lavoro e che questo dato, una realtà come la nostra, rappresenta un numero elevatissimo. Questo deve farci pensare.»
Come dargli torto? Siamo un territorio muto, fermo e insensibile rispetto ai problemi che meritano attenzione, programmazione, lavoro e impegno. Siamo bravissimi (si fa per dire, cogliete l’ilarità del termine) a muoverci sul momento e sull’onda di qualche fenomeno, ma finito l’effetto della storia sui social (24 ore) è tutto diventato già passato.
LA TRATTA DEGLI SCHIAVI È FINITA GIÀ QUALCHE SECOLO FA
Don Carlo continua il suo discorso e allarga il dibattito. «Ovviamente io ho ascoltato anche tanti giovani ed è anche vero che secondo me, siamo davanti alla scena del cane che si morde la coda. Si sta distorcendo tutto. È impensabile che un ragazzo o un qualsiasi lavoratore debba lavore per 13, 14 o 15 ore per mille euro al mese senza un giorno festa. Io penso che la tratta degli schiavi sia finita già qualche secolo fa”.
Come giusto che sia la questione si allarga oltre i confini locali e tocca le politiche del lavoro nazionali, ma il discorso continua ad essere attuale e centrale.
«Penso che un sistema del genere non possa più resistere. Ad ottobre, per un mio periodo di riposo sono stato in Umbria. Mi piace andare per i santuari e un giorno sono stato a Cascia, a Roccaporena, il paesino dove è nata ed è vissuta Santa Rita, un paesino di 600 abitanti. C’è un’unica locanda dove mi sono fermato e ho incontrato il giovane gestore. Eravamo gli unici ai tavoli e mi diceva che lui non riusciva a trovare un ragazzo che lavorasse dalle 9 del mattino alle 15, quindi sei ore al giorno, per 1.300 € al mese. E mi sono detto, noi queste cose a Ischia ce le sogniamo. Questo per dire che la questione lavoro deve farci pensare e non poco.»
«Un ragazzo che frequenta la parrocchia – aggiunge il parroco – mi diceva giustamente che fino all’anno scorso faceva il lavapiatti in un albergo per poco più di 900 euro al mese e nessun giorno di festa e nel periodo estivo lavorava anche per 13 o, 14 ore. Quando è stato chiamato quest’anno non è andato più. Quando gli ho perché, ha riposto come molti: “perché prendo il reddito di cittadinanza, più prendo qualche altra cosa prendo molto di più e mi vado a fare i bagni”. Voglio dire, questo diventa diseducativo, ma credo anche che oltre ad essere diseducativo sia anche ingiusto, però è vero che il sistema non può reggere più.»
LA QUESTIONE POLITICA
Questo è l’anno del voto a Ischia. Ti pongo una domanda un po’ diversa. Al netto di quella che sarà la questione politica e di tutti quelli che concorreranno al rinnovo del consiglio comunale di Ischia, quali sono secondo te le urgenze che bisognerebbe affrontare?
“Io ho a che fare molto con i giorni ti posso assicurare sono nato in un altro periodo storico. Ci appassionava la politica. Oggi sentire un giovane parlare di politica è praticamente pari a zero, è letteralmente impossibile e questa cosa mi spaventa. In queste ore abbiamo vissuto l’esperienza della morte di David Sassoli e la cosa bella vedere, sia ai funerali sia alla Camera ardente, era la presenza di tantissimi giovani. Una cosa che mi ha colpito non poco»
Perché ti ha colpito?
Ti porto degli esempi così ci capiamo. C’è un Presidente della Repubblica, l’onorevole Sergio Mattarella, a cui tutti hanno tirato la manica della giacca perché restasse. Tutti, da destra e da sinistra, hanno riconosciuto la sua moralità e la sua statura umana e politica.
Un po’ la stessa cosa con David Sassoli e la stessa cosa che tutti riconoscono anche a Draghi. È la prima volta credo, negli ultimi trenta o quarant’anni, che da destra la sinistra si trova concordi. di uscire.
Eppure, tutti e tre vengono da un’esperienza, adesso mi dirai vuoi tirare l’acqua al tuo mulino, da un’esperienza fortemente cattolica, cioè di valori profondamente anche umani, di quelli che sono la dottrina sociale della Chiesa, la sussidiarietà, la solidarietà, la libertà, l’uguaglianza e i principi fondamentali su cui si fonda la dottrina sociale della Chiesa e che hanno formato questi uomini.
Cosa voglio dire? Non penso che serva un vero fideismo, ma la capacità, come diceva anche il beato magistrato ucciso dalla mafia, Angelo Rosario Livatino, non è questione di essere credenti bensì di essere credibili e pe questo credo che oggi abbiamo bisogno dei giovani che ormai si sono allontanati dalla politica anche sulla nostra isola».
Poi don Carlo, diventa solo Carlo e in un attimo di verità centra il punto: «Se abbiamo qualche giovane che si occupa di politica, in realtà, è più per una questione di tipo familiare, di casta, perché si deve tramandare di padre in figlio».
Abbiamo bisogno di giovani che veramente si appassionano a quella che un grande definiva “l’amore degli amori” cioè la politica. Cosa dovrebbe essere oggi la politica? Amore per la scuola, per la famiglia, per il bene comune, perciò era definita “l’amore degli amori”, invece oggi è definito un po’ “per tutti gli interessi”.
E poi – continua il Parroco – soprattutto tutta questa litigiosità, questa volta mi fa spavento. Fare politica non è vendere il prodotto migliore ma, secondo me, veramente di cercare il bene comune.
Oggi la nostra isola sta vivendo una grande, l’ho detto prima, emorragia di giovani che stanno andando via, e questo significa che abbiamo fallito perché una madre che lascia andare via i propri figli non è più madre, ma matrigna. Significa che anche in questo abbiamo fallito e un’isola che vive questa grande emorragia deve chiedersi perché?
Stiamo vivendo da troppi anni di rendita, nel senso che abbiamo bisogno di una politica condivisa perché è vero che non riusciamo a realizzare il comune unico, ma almeno una politica condivisa su alcuni argomenti è urgente. Perdonatemi, ma sull’isola, non abbiamo una strada, un minimo decente, non è possibile che dobbiamo comprarci tutti quanti delle Jeep quattro per quattro, perché devi scansare fossi, buche e vai. È possibile che, continuamente, appena asfaltato una strada, il giorno dopo la stessa ditta debba fare altri scavi? Ma chi paga tutto questo? Cioè, è possibile che siamo in un paese dove quando si fanno degli errori nessuno paga? Ho l’impressione che davvero stiamo vivendo nel ridicolo».
Il discorso di Don Carlo, a questo punto, entra nel vivo della vicenda ischitana e, quasi, sembra di mettere i puntini sulle “i”.
«Soprattutto ritengo che una politica sia bella quanto c’è, come dire, tra virgolette, anche un contraddittorio. Quando ci sta una maggioranza e anche una minoranza. A volte certi apparentamenti non li capisco (il riferimento al “saltino” di Gianluca Trani e gli altri in maggioranza è chiarissimo) a tutti i livelli.
Cioè, voglio dire, questa trasversalità, questo continuo passare dalla destra alla sinistra mi sa tanto di canne al vento. Lo diceva anche Dante e siamo nel centinaio, non siate “pecore matte” o come canne sbattute dal vento”. Come si direbbe a Ischia Ponte, sono come “La banderuola dello Spirito Santo” ovvero “’A ro sosc ‘u vient, la jamme” e questo non è possibile. Io credo che si debba avere anche un minimo di identità. Deve esserci un pensiero. Come diceva il cardinale Zuppi proprio al funerale di Davide Sassoli, un uomo deve credere in certi ideali. Abbiamo bisogno di uomini che credono in un’ideale e per il quale spendi la tua vita. Perché, altrimenti, mi chiedo, perché stai facendo questo?
Eh vabbè, cosa comporta questa domanda? Voglio dire, poi ognuno in coscienza, per l’amor del cielo, non sono nessuno, però, come dico sempre, quando entro in chiesa mi tolgo il cappello per rispetto, ma non mi tolgo la testa. Quindi, a volte, quei pochi neuroni li faccio funzionare. Mi chiedo perché questo. A me fa paura il fatto che sulla nostra isola siamo rimasti pochi e porci questa domanda e questo lo dovremmo fare in modo intelligente, non come i cosiddetti leoni da tastiera che hanno coraggio solo dietro una tastiera.
Abbiamo bisogno invece di avere coraggio in prima persona e di “compromettersi”. In spagnolo, impegnarsi, essere un impegnato, si dice “comprometidos”. Mi piace, ecco, che tu ti impegni in una cosa perché ti comprometti. Dovremmo essere tutti dei “compromettidos”, persone che si impegnano per il bene comune, perché ci si può mettere in prima persona”.
Una fotografia attuale, quasi un selfie della nostra società che si appresta, da qui a pochi giorni, a fare i conti con le elezioni e il rinnovo delle cariche politiche più importanti.