giovedì, Dicembre 5, 2024

“Dov’è mia madre?” un racconto al tempo del Covid di Raffaele Calise

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Ospitiamo, con grande piacere, un racconto molto emozionante e coinvolgente, scritto dal nostro amico Raffaele Calise. Con attenzione e sensibilità, Raffaele ha colto alcune delle sfumatura del nostro tempo.

Mi chiamo Raffaele Calise, abito in provincia di Napoli, Cavaliere della Repubblica, decreto di Mattarella, firmato da Conte.
Non sono uno scrittore e chiedo scusa per il mio racconto. È una storia verosimile, una delle tante storie accadute a Bergamo e nelle altre città colpite dal Covid.

Dov’è mia madre?
Dovevamo festeggiare e partimmo dal nostro piccolo borgo in provincia di Bergamo per andare a mangiare in un ristorante a Bergamo Alta. Ci piaceva quel posto per il suo cibo raffinato e per il panorama meraviglioso su tutta la città.
Tornando a casa, restammo vittima di un terribile incidente. Dio volle che ne uscissimo vive solo io e mia madre.
Io mi chiamo Clara e mia madre si chiama Elvira. Passammo qualche settimana in ospedale, ma poi, pian piano, ricominciamo a vivere. All’epoca avevo dieci anni, oggi, invece, ne ho venti e viviamo in un’altra città. Mia madre ha trovato lavoro in una fabbrica, mentre io ho terminato gli studi e mi sono diplomata ragioniera. Come tanti giovani sono in cerca di un lavoro.
Quello che vi voglio raccontare è accaduto qualche domenica fa.
Ci svegliammo di soprassalto a causa dei suoni delle sirene delle ambulanze. Ma questo non era tutto: si sentivano anche tante macchine correre verso l’ospedale. La ricordo bene quella domenica perché è stato l’inizio di tutto.
Dopo qualche giorno mia madre si sentì male, non respirava. Chiamammo l’ambulanza e dopo un’attesa che mi sembrò infinita arrivarono tre uomini dall’aspetto lunare. Mia madre non disse una parola perché non poteva; mentre la portavano via però mi guardò con gli occhi lucidi e pieni di malinconia. Era come se già sapesse che quello era il nostro ultimo addio. La portarono in un ospedale.
Partii subito e chiesi a tutti quelli che incontravo, personale medico e non, se sapevano dove fosse mia madre che era arrivata da poco. Andavo ripetendo il suo nome, Elvira, mostrando anche la sua fotografia. Qualcuno rispose dicendo che io lì non potevo assolutamente restare e che di mia madre non avevano alcuna notizia. Pensai che forse non ero nell’ospedale giusto e che mia madre fosse stata portata direttamente altrove.
Girai per molti ospedali chiedendo sempre la stessa cosa e mostrando la foto di mia madre. Nessuno la conosceva, nessuno l’aveva mai vista.
Un autista che aspettava fuori l’ingresso del Pronto Soccorso, con aria infastidita, fu l’unico a darmi una risposta. Disse: “Che vuoi che ne sappia di tua madre!”. Ma lo vidi girare il volto verso un camion lì vicino e indirizzare lo sguardo verso le bare che erano contenute al suo interno.
Corsi verso il camion e gridai: “Sapete in quale bara è mia madre? Si chiamava Elvira. Ecco questa è la sua fotografia!”.
Ma nessuno mi sentì. Allora continuai a correre, questa volta più veloce. Volevo raggiungerli a tutti i costi.
Uno dei conducenti finalmente mi vide e frenò.
Io continuai a gridare sempre la stessa cosa: “Sapete in quale bara è mia madre? Si chiamava Elvira. Ecco questa è la sua fotografia!”.

Il conducente disse: “Figlia mia, non correre più: non lo sa neanche Dio dov’è tua madre!”.

Mamma dove sei?
Sei morta o viva? Sei in qualche ospedale psichiatrico? Sei già in Paradiso? Sei andata via senza un bacio, senza un sorriso. Ti hanno portata via senza un abbraccio, senza un addio. Io ti cercherò sempre. E non mi stancherò mai di chiedere: dov’è mia madre?
Questo mio racconto vuole essere un appello ai giovani e non solo.
Rispettiamo le regole. Qualsiasi esse siano.
Nessuno ha il diritto di mettere in pericolo la propria vita e quella degli altri e vi pongo una domanda:
SE QUESTA TRAGEDIA FOSSE CAPITATO A VOI?

Concludo con la certezza che dei nostri cari, morti a causa di questa seconda ondata, avremo la fortuna di sapere dove sono. Potremo andare a porgere loro una preghiera e quelle parole che non gli abbiamo mai detto.

Questo racconto vuole essere un omaggio e un tributo alla memoria di tutti coloro che non ci sono più a causa del Covid.

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