martedì, Dicembre 24, 2024

È il tempo della PIETA’. Il commento di Sebastiano Cultrera

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L’orrore, la paura, la morte che incombe e sovrasta ogni ragionamento imporrebbero più silenzio o, almeno voci più basse. Invece prevale la rabbia e prevale il vociare di coloro che la rabbia sanno attizzarla. Il dito puntato vince in queste ore sulle mani giunte. Nonostante il Papa inviti alla preghiera, nonostante lo sforzo e l’impegno di volontari e professionisti dei soccorsi e dei ristori immediati; che continua senza sosta: concentrandosi sul momento drammatico, sull’ora e subito. E senza pensare alle cause di ieri o ai discorsi del giorno dopo. Certo, la magistratura farà il suo corso, e già lo sta facendo dimostrando il solito tempismo nell’apertura delle indagini: giuste, ma, come di consueto, colorate da voglia di protagonismo. La politica sta già facendo il suo mestiere, cioè litigare, ché la fase della riflessione è stata abrogata da tempo nella politica italiana.

I media sono quasi tutti scatenati e non riescono ad uscire dal solito gillettismo italico, presi dalla necessità di trovare una soluzione, un perché, una responsabilità. Ma siamo sicuri che se non si punta il dito scende l’audience? L’Italia, in questi frangenti, riesce a dare il peggio di sé.
Poi ci sono quelli che scavano ancora, quelli che organizzano soccorsi e assistenza, i ligi e, spesso, anonimi funzionari dello Stato (nelle sue varie articolazioni) e tutti quelli che devono agire: e che stanno agendo, ancora una volta, puntualmente e correttamente. L’Italia ha un sistema di Protezione Civile invidiabile ed invidiato nel mondo. Questa Italia, in questi frangenti, riesce a dare il meglio di sé.
Ma fermiamoci un attimo, perché è il Tempo della Pietà, amici. Non saltiamo questo sentimento, questa fase necessaria che deve servire a catalizzare e a prendere consapevolezza del dolore, riportandoci tutti in una dimensione umana; e per questo fragile, incerta, precaria. Non lasciamo che il dolore svapori nella bolla rossa della rabbia. Questa impostora che vuole, appunto, sequestrarci il dolore proponendoci la facile soluzione di trasfigurarlo in odio verso qualcuno: il colpevole di turno.

Che magari c’è, perché ci sono responsabilità che andranno accertate sia giudiziariamente sia storicamente sia politicamente. Ma non possiamo consentire alla rabbia di sottrarci quel dolore necessario ad alimentare la PIETA’, che è il sentimento necessario dell’oggi.
La Pietà, plasticamente, è stata mirabilmente, più di tutti, rappresentata da Michelangelo Buonarroti. La madre, iconicamente giovane nella sua purezza, tiene la testa bassa concentrata in un immenso e struggente dolore che tuttavia, non ne deforma l’immagine in una smorfia spiacevole, ma fa virare l’insieme in un messaggio di dolcissima commiserazione: di Pietà, appunto. Il corpo esangue di un Cristo adulto e per questo lungo, grande, ingombrante viene sorretto leggermente, e senza apparente sforzo, da una giovanissima Madre che sembra volere ricondurre il Figlio al proprio seno materno. E tuttavia la Forza profusa dalla donna è evidente (e il Genio dell’Artista lo sottolinea con le mirabili pieghe del corpo sorretto, visibili nelle pieghe del sudario interposto tra la mano e il corpo stesso). Sono mani Forti e Giovani, che fanno contrasto alle mani del Figlio, che, pure integre, mantengono i fori dei chiodi della Croce.
Il messaggio è che la Pietà è la fase di accettazione del dolore, che Ella risolve cullando la vittima tenendola amorevolmente tra le braccia. E che la Donna propone come sacrificio al mondo: ecco L’Agnello di Dio.

Se vogliamo, quindi, che le vittime di Casamicciola servano a qualcosa impariamo per prima cosa ad averne compassione. Non rimuoviamo lo sgomento cercando giustizia sommaria. Le vittime meritano che questo tempo sia il Tempo del Rispetto e della Pietà. E, perché no? Delle giuste lacrime.
Il dito alzato accusatore non può e non deve essere un anestetico del dolore e della commozione. Individuare un capro espiatorio ci può fare essere meno commossi verso un bimbo di soli 22 giorni, cui la Vita ha sbattuto in faccia il portone d’ingresso appena dopo averlo socchiuso per farlo entrare? No, il piccolo Giovan Giuseppe possiamo e dobbiamo, tutti, oggi, prenderlo nelle nostre braccia e cullarlo, come la Madonna della Pietà, stringendolo al nostro corpo. Trasfigurando, volesse il Cielo, quel sacrificio in testimonianza. Come quello dei ragazzi Francesco e Maria Teresa, o di Maurizio, Giovanna e Nikolinka. Oltre a quello della prima vittima individuata, che già ha fatto versare le prime lacrime: la giovane Eleonora Sirabella. È il tempo delle calde lacrime, non degli avvocati d’accusa.

Pietà per le vittime e piena pietà, senza dubbi o retro pensieri, per tutta l’isola d’Ischia e per i suoi abitanti.

E chi cerca di volgere lo sguardo altrove, nella semplificazione della colpa (collettiva degli ischitani in genere, addirittura) legata presumibilmente all’abusivismo, riuscirebbe a distoglierci un attimo dal dolore, forse, utilizzando l’artificio dell’odio, ma ci renderebbe meno umani. Temo che la cialtroneria corrente stia convergendo su un’operazione mediatica verso l’isola d’Ischia che ha, oggi, molti contorni di colpevolizzazione, generalizzata per una intera popolazione.
Si stanno catalizzando tutti i profeti del giorno dopo. Ciascuno, magari, con un pezzo di verità in mano: che viene però brandito come un pugnale.
Per scavare nelle carni vive della tragedia, utilizzando il bagaglio dell’ideologia, della bieca semplificazione e del radicalismo parolaio. Ischia ha molte colpe e le hanno gli ischitani (ma quale popolo è senza peccato?), ma adesso vogliono farle scontare alcune colpe che non sono tali: quella di essere bella, di essere appetibile da tutti, di avere un turismo comunque fiorente e di avere abitanti che hanno scelto di continuare a viverci come NON accade più in molti luoghi del Sud Italia.

Dopo il Tempo della Pietà, necessario, verrà il tempo della Ragione. E lì varranno le proposte. Che farà lo Stato? Avrà la forza di fare un Parco Naturale di tutta l’area limitrofa alla frana, abbattendo centinaia di case (e risarcendo i proprietari, naturalmente)? O daremo certificati di agibilità “allegri” perché le famiglie dovranno rientrare, sennò saranno un costo troppo alto per la collettività? Lì vedremo che posizione prenderanno i Censori di oggi, sempre che non saranno impegnati a sbraitare su altro, inseguendo nuovi fatti di cronaca. Ma questo è il “senno del prima”, forse altrettanto sbagliato del colpevole “senno del poi” che, invece, è quello straripante in questo momento.
Oggi, più correttamente, va ribadito, è il tempo della Pietà. Il che, a parte il necessario percorso dei sentimenti e delle nostre sensibilità, anche civicamente ha un suo significato.

Certo, qualcuno ha ricordato il grido di dolore del presidente Pertini nel 1980, per l’Irpinia, durante il disastro. Ma fu un intervento diretto a sollecitare una macchina di soccorsi più efficiente. E da quella “strigliata” nacque il capolavoro della Protezione Civile Italiana. Oggi dalle spocchiose semplificazioni ed accuse di presidenti, esperti, giornalisti e giornalai, sgorgano soprattutto pillole di odio. Rispetto ad un dramma che deve rimanere, per la sua comprensione e per la sua soluzione futura, un dramma di un popolo. Umano, troppo umano.

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