venerdì, Settembre 20, 2024

Ecco perché non c’è colpa per la morte di Sara Castigliola. Domani l’udienza verità per 6 medici del Rizzoli

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La richiesta di archiviazione del pubblico ministero Ciro Capasso. Il 17 aprile l’udienza dinanzi al gip per i sei medici del “Rizzoli” indagati per omicidio colposo per la morte della paziente a seguito del taglio cesareo e della copiosa emorragia. Per i periti e per il pm anche se sono emerse delle criticità nelle condotte dei sanitari, non sono state determinanti nel causare l’evento morte. Ma dalla relazione emerge «la circostanza che il presidio ospedaliero non avesse una sufficiente dotazione nell'emoteca tale da poter essere immediatamente recuperata e somministrata alla paziente»

Domani, lunedì 17 aprile, nell’udienza dinanzi al gip, si deciderà la sorte dei sei medici dell’ospedale “Anna Rizzoli” indagati per omicidio colposo per la morte di Sara Castigliola. La giovane donna morta il 30 ottobre 2021 nel dare alla luce una bimba a seguito di una massiccia emorragia insorta dopo il taglio cesareo e causata da un’atonia uterina. Per questo tragico evento il pubblico ministero Ciro Capasso ha indagato i medici Francesco Rando, Domenico Loffredo, Mariantonia Galano, Silvia Galletti, Marcella Marino e Roberto Buonanno. Ma a conclusione della indagine e lette le relazioni dei periti, ha ritenuto di richiedere al gip l’archiviazione. A questa decisione le parti offese, i familiari di Sara Castigliola, hanno prodotto opposizione e dunque il gip dovrà decidere se accogliere o meno la richiesta di archiviazione.

Per comprendere meglio la conclusione a cui è giunto il pm occorre soffermarsi sui passaggi più importanti della richiesta inoltrata al gip. Ripercorrendo le fasi drammatiche dei due interventi a cui venne sottoposta la donna – il secondo per cercare di fronteggiare l’emorragia – e del precipitare degli eventi con il decesso. E già qui c’è un passaggio significativo: «Alle 14:00 del 30.10.2021 i curanti contattavano l’ospedale Cardarelli di Napoli e la Centrale Operativa dell’Emergenza Territoriale per ricevere ulteriore rifornimento di sangue e plasma, persistendo una condizione di shock emodinamico con polsi periferici assenti e diuresi assente». Ripetute richieste di sangue e plasma. Dopo la morte di Sara, il compagno sporse la denuncia che diede il via alle indagini.

L’OPERATO DEL GINECOLOGO

Il pm Capasso fonda la richiesta di archiviazione sulle conclusioni a cui sono giunti i periti. Spiegando che «In primo luogo è opportuno evidenziare come il conferimento dell’incarico ad uno specialista in genetica e tossicologia forense era sostanzialmente giustificato e motivato dalla necessità di approfondire, dal punto di vista genetico, se la persona offesa potesse essere in qualche modo predisposta sul fronte delle evenienze emorragiche, dal momento che era pacifico che la stessa donna avesse incontrato la morte in conseguenza di un’importante ed irreversibile emorragia post-partum, sfociata in una CIO, ossia coagulazione intravasale disseminata che la conduceva inevitabilmente al decesso.

Ebbene, sotto questo punto di vista, il genetista evidenziava che l’ampia analisi condotta in primis sui polimorfismi genetici e sullo screening trombotico effettuato non evidenziava nessuna alterazione di certezza».

I periti sono quindi passati ad analizzare l’operato dei sanitari suddividendole a seconda dei vari rami di specializzazione. Partendo dalla condotta professionale ostetrico-ginecologica. Su questo versante, «l’intera valutazione dell’operato dei sanitari deve essere fatta alla stregua delle linee guida o delle buone pratiche clinico-assistenziali adeguate al caso di specie, dal momento che la condotta che viene eventualmente contestata ai sanitari risiede e riposa nell’ambito della perizia tecnica, e non certamente nei connotati colposi della imprudenza e della negligenza.

Tornando alla disamina dell’operato del ginecologo, i consulenti evidenziavano come la Castigliola non presentasse particolari fattori di rischio per cui, a loro giudizio, l’indicazione del taglio cesareo effettuato con estrema urgenza doveva ritenersi assolutamente corretta, in considerazione dell’ultimo tracciato cardiotocografico che dava chiaramente i segni di sofferenza fetale con la bradicardia».

Per poi arrivare alla emorragia fatale: «Per quanto attiene alle procedure adottate per trattare il sanguinamento post-partum, nella fattispecie vi è stata la partecipazione degli anestesisti-rianimatori sin dai primi momenti della procedura di taglio cesareo, tanto vero che la persona offesa non usciva mai dalla sala operatoria in cui era stata effettuata la prima operazione, che dava la stura alla seconda».

IL SECONDO INTERVENTO

Aggiungendo: «In ordine al primo intervento i consulenti non avvedevano criticità degne di nota in considerazione di quanto emerso dalla documentazione sanitaria acquisita agli atti del procedimento. La disamina di tali atti consentiva agli stessi consulenti di immaginare che nel corso della procedura di taglio cesareo e fino al completamento della stessa la paziente avesse perso circa 1300 cc di sangue. Non si trattava certamente di una perdita ematica estremamente preoccupante o inusuale, ma in ogni caso i consulenti ritenevano condivisibile, anche in considerazione del fatto che la paziente fosse ancora in sala operatoria, la scelta di revisionare l’emostasi riaprendo la sutura laparotomica. Dal report operatorio, poi, si desumeva che la causa del sanguinamento sarebbe stata una atonia uterina, che veniva trattata esattamente come previsto nei corretti protocolli di gestione dell’emorragia post-partum, ed in particolare per quelle emorragie causate da una atonia dell’utero.

Senza voler ripercorrere la precisa ricostruzione delle linee guida e quanto da esse indicato nei casi di cui si discorre, sia dal punto di vista farmacologico che dal punto di vista operatorio e tecnico, i consulenti concludevano nel senso che il comportamento dei sanitari ginecologi-ostetrici era certamente conforme alle linee guida, per cui, anche se i consulenti stessi ritenevano probabilmente discutibile alcune procedure adottate, certamente queste non si ponevano in relazione causale con il decesso della Castigliola, sicché la gestione del casa di specie, dal punta di vista ostetrica-ginecologica doveva ritenersi corretta».

L’OPERATO DEGLI ANESTESISTI-RIANIMATORI

Appurato questo punto, si è passati a valutare l’operato degli anestesisti-rianimatori. E qui emergono gli aspetti più significativi: «Per quanta concerne la condotta professionale anestesiologica-rianimatoria, al contrario, i consulenti evidenziavano la sussistenza di diversi profili di criticità. Si anticipa, nondimeno, che tali profili di criticità non si ritenevano dagli stessi professionisti incaricati causalmente ricollegabili al decesso della persona offesa, e pertanto non si ritenevano causativi dal punto di vista della responsabilità professionale sanitaria della morte della paziente».

Dunque anche in questo caso non ci sono colpe. Ma la relazione evidenzia: «Ad ogni modo, partendo dalla gestione dello shock emorragico, i consulenti ritenevano che successivamente all’intervento di taglio cesareo la frequenza cardiaca media della paziente si aggirava intorno ai110-120 bpm con una pressione arteriosa molto ridotta, per cui la stima di perdita di sangue espressa in percentuali di volume ematico poteva essere cristallizzata intorno al 40%, il che ne rappresentava una grave evenienza di shock emorragico.

Muovendo da tale considerazione, se si analizzavano i parametri suggeriti dalle linee guida, si doveva concludere che il volume dei liquidi infusi era da ritenersi insufficiente, anche se non era possibile fare una valutazione precisa ed adeguata, anche in considerazione della scarsa presenza di annotazioni all’interno della documentazione sanitaria. In pratica, a giudizio dei consulenti, alla Castigliola non venivano trasfusi liquidi né plasma in quantità sufficienti a quella che sarebbe stata necessaria per ripristinare la volemia; e tuttavia tale considerazione non poteva prescindere dalla situazione in concreto palesatasi ai sanitari dell’ospedale ischitano.

Infatti, dalle annotazioni trascritte nella documentazione sanitaria sin dalle prime battute si registrava la costante richiesta di sacche ematiche e di plasma fresco congelato, sia attraverso il contatto con la centrale di emergenza territoriale che con l’ospedale Cardarelli di Napoli, ed altresì attraverso il servizio di eliambulanza del 118, di modo che i sanitari, resisi conto dell’importante anemia della Castigliola, certamente si adoperavano per raccogliere la maggiore quantità di sangue possibile ai fini delle successive trasfusioni.

Parte di queste trasfusioni venivano effettivamente realizzate quando la paziente veniva trasferita nel reparto di rianimazione dell’ospedale, in seguito al secondo intervento chirurgico, e tuttavia tali trasfusioni non sortivano l’esito sperato in ragione del fatto che la condizione di shock emorragico si era evoluta in quella di CID oramai in maniera irreversibile.

Ad ogni modo, i consulenti constatavano che non si raggiunsero mai i livelli di anemia estremi, poiché il livello minimo registrato alle 10:52 del 30.10.2021 non doveva considerarsi eccessivamente basso».

Al “Rizzoli”, in parole povere, non c’era una provvista di sangue e plasma sufficiente e non è stato agevole reperirla rapidamente.

CRITICITA’ NON DECISIVE

Un secondo profilo di criticità rilevato, pure non è stato ritenuto determinante. Tanto che il pm scrive: «In conclusione, i consulenti evidenziavano che l’emorragia post-partum, il conseguente shock emorragico e la CID che ebbe rapidamente a derivarne, configurano un quadro patologico gravato da non trascurabili tassi di mortalità e che, nel caso in esame, gli esami di laboratorio eseguiti nel corso del secondo intervento chirurgico denotavano una coagulopatia decisamente severa e fortemente minacciosa per l’equilibrio clinico della paziente.

Da ciò, le pur non condivisibili condotte assistenziali inerenti la gestione e il trattamento dello shock emorragico della CID non possono essere considerate sicuramente decisive nel determinismo del decesso della paziente, sebbene abbiano inciso nel pregiudicare in misura significativa la prognosi quoad vitam».

INSUFFICIENTE PROVVISTA DI SANGUE E PLASMA

Tratte queste conclusioni, ne discende la richiesta di archiviazione, non ritenendo il pm che «vi siano elementi per una ragionevole previsione di condanna degli odierni indagati».

Osservando in proposito: «Anzitutto, vi è una criticità dal punto di vista della sussistenza del nesso di causalità tra le condotte tenute dai sanitari e il decesso della persona offesa, dal momento che seppure tali condotte possono essere considerate censurabili dal punto di vista del mancato rispetto delle linee guida vigenti in materia, dall’altro lato i consulenti incaricati consideravano tali condotte non determinanti nella produzione dell’evento infausto, per cui, ragionando a contrario, nel giudizio controfattuale, non può escludersi che, anche ove fossero state tenute le condotte prescritte dalle linee guida, il decesso non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore».

Per poi arrivare al punto nodale: la scarsa provvista di sangue e plasma: «In secondo luogo, occorre rilevare come vi sia un importante elemento da considerare, circostanza che è stata ben rappresentata e valorizzata nell’ambito dell’elaborato di consulenza dei professionisti incaricati, ossia, in relazione alla insufficiente infusione di liquidi alla Castigliola, la circostanza che il presidio ospedaliero non avesse una sufficiente dotazione nell’emoteca tale da poter essere immediatamente recuperata e somministrata alla paziente, dovendo i sanitari ricorrere d’urgenza addirittura richiedendo il trasporto in eliambulanza sia di sacche ematiche che di plasma fresco congelato.

Pertanto, dal punto di vista della responsabilità individuale sotto il profilo del versante colposo, certamente non può non valorizzarsi la diligenza con cui gli stessi sanitari adoperavano per procacciarsi nella maniera più rapida possibile quanto necessario a riprendere l’equilibrio emodinamico della Castigliola Sara, comportamento che – nell’ambito del giudizio di responsabilità – pende certamente a favore degli indagati i quali, dal loro punto di vista, nulla potevano fare in più rispetto a quello che essi fecero per provare a ripristinare le condizioni di salute della paziente, fronteggiando un evento assolutamente drammatico ed ingravescente quale uno shock emorragico di così importante e significativa rilevanza da non poter essere presidiato con gli strumenti che in quel momento il nosocomio metteva a disposizione dei sanitari».

Come a dire che se responsabilità ci sono, sono a carico della organizzazione sanitaria complessiva. I familiari di Sara non sono d’accordo. Vedremo cosa deciderà il gip.

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