RAGGI D di Daniele Serappo | Con il battesimo di una nuova competizione calcistica c’è oramai da anni una sorta di caccia aperta ad alcune delle peculiarità che vanno a caratterizzarla: in maniera spannometrica si guarda alla mascotte, alle novità regolamentari, al numero dei calciatori ammessi in distinta o ai cambi possibili durante la gara, l’incidenza del clima e delle temperature e, dulcis in fundo, al pallone!
Per questo è interessante sapere che la casa tedesca Adidas è oramai dal 1970 (prima edizione del Campionato Mondiale in Messico) la fornitrice ufficiale dei palloni utilizzati da UEFA e FIFA per le massime competizioni per Nazionali mentre solo da poco il suo dominio pressoché incontrastato è stato leggermente scalfito dalla Puma, il cui pallone sarà protagonista della Coppa America ’24 in USA, e ancora prima dalla Nike che già qualche anno prima era stata protagonista con il suo “Rabisco” per la quinta ospitata della medesima manifestazione in Brasile.
La casa fondata da Adolf “Adi” Dassler è riuscita, nel tempo, a introdurre innovazioni straordinarie relativamente al pallone da calcio, in taluni casi s’è trattato di innovazioni radicali, in talaltre invece di innovazioni incrementali, di prodotto ed infine di processo.
GLI INIZI, TRA STORIA E LEGGENDA
Va detto che, pur non essendo ancora chiaro se il calcio sia effettivamente nato nella lontana Cina dove pare che un gioco simile venisse fatto praticare alle milizie per tenere alta l’attenzione, l’aggressività, forgiare l’unione e alleggerire gli animi dei soldati nelle pause delle battaglie o per mano delle civiltà precolombiane del centro America, passando per l’Africa settentrionale dove in Egitto sono stati ritrovati reperti che fanno intendere come anche sulle rive del Nilo ci si applicasse in qualcosa di molto simile a quel che poi è oggi riconosciuto come sdoganato dagli inglesi nel XIX secolo, molto si può raccontare sull’evoluzione dell’attrezzo del gioco più praticato e seguito al mondo.
LE VESCICHE DI MAIALE COME IN EGITTO
Prima di giungere infatti ad una data chiave e di svolta rappresentata dal 1855, il pallone era di fatto realizzato con vesciche di maiale ricoperte da strisce di cuoio cucite tra loro, secondo una tecnica nota già ai tempi dell’antico Egitto. A metà del XIX secolo invece, fu proprio il fondatore della omonima azienda produttrice di pneumatici per auto, Charles Goodyear, a realizzare la sfera che appena qualche lustro dopo, nel 1872, la Football Association inglese inquadrò definitivamente secondo quelle che identificano la regola numero 2 del gioco del calcio – il pallone, appunto – con peso (unico a variare fino ai giorni nostri), circonferenza e pressione.
FATTI DIVENTATI MITI
Certo, va detto che non fin da subito si sono avute sponsorizzazioni ed interessi particolari nel fornire i palloni da gioco anche per le più importanti competizioni, tanto più che se nel 1954 si dice che il segreto della Germania vincitrice del Mondiale di Svizzera nella finale contro la più bella Ungheria della storia si deve a delle rivoluzionarie scarpe (ma questa è altra storia) che proprio Adi Dassler convinse nell’intervallo a far calzare ai bianchi tedeschi ed utili a ribaltare il risultato della prima frazione di gioco, la storia che vede protagonista la primissima finale mondiale del 1930 tra Argentina ed Uruguay ha davvero del clamoroso: entrambe le formazioni furono infatti costrette a portare il pallone per giocare. Nel primo tempo si giocò con la “pelota argentina” denominata “Tiento” ed infatti l’albiceleste si portò facilmente sul 2-1 in casa degli uruguayani che però nella ripresa poterono giocare con il loro ben più familiare “Modelo T” riuscendo a trionfare alla fine per 4-2. Mourinho avrebbe parlato oggi di particolari che fanno ovviamente la differenza.
IL PALLONE BIANCO DAL BRASILE ALLA SVEZIA
Una prima novità clamorosa si comincia ad intravvedere molto più tardi, nel 1950: il pallone del Mondiale brasiliano vinto dall’Uruguay in finale allo stadio Maracanà contro i padroni di casa è prodotto dalla Superball, è bianco e soprattutto non ha più i lacci ma una valvola, si chiamava “Allen Duplo T”. Nel 1958, per il mondiale svedese, l’azienda di casa della Sydsvenska Lader & Remfabriks Monufacturing produce una sfera che verrà scelta da quattro dirigenti FIFA: il pallone è di colore molto più chiaro (bianco, giallo o marrone molto chiaro), migliorando la visibilità per spettatori e calciatori in campo ma soprattutto i pannelli cuciti erano lunghi e corti (su uno di questi era incardinata la valvola di gonfiaggio) ma ordinatamente ed elegantemente ordinati ed alternati tra di loro, cosa che rendeva la sfera più controllabile e prevedibile nonostante l’impiego di una speciale cera impermeabilizzante per l’acqua.
IL TELSTAR DEGLI ANNI ‘70
Con il ritorno della fase finale oltre oceano, nel 1970 (Messico) irrompe Adidas che presenta un pallone diventato iconico e chiamato “Telstar”, mutuando il nome del satellite che avrebbe trasmesso in diretta le partite in buona parte del globo (fu il primo mondiale ad essere appunto teletrasmesso). Questo pallone, assieme al successivo “Tango” del 1978, detiene un record che probabilmente resterà per sempre tale: è l’unico protagonista di due fasi finali consecutive considerato che chiuderà la sua epoca nel Mondiale di Germania 1974 sebbene la sua elegante linea sia ancora oggi ripresa da più produttori ed appare tale nell’immaginario collettivo dei bambini e nei fumetti dei disegnatori.
Si caratterizzava per una configurazione a icosaedro, con trentadue pannelli di cui dodici pentagonali neri e venti esagonali bianchi. Per la verità la sua gestazione parte dagli europei vinti dagli azzurri nel 1968 e si chiuderà con quelli del 1976 e il suo design lo si doveva ad un signore che si chiamava Eigil Nielsen, fondatore della Select Sport, che lo aveva pensato per la pallamano. Si trattò anche del primo evidente passo verso una migliore fruibilità degli utenti televisivi che in quel modo potevano effettivamente seguire meglio le azioni per il contrasto tra questo ed il terreno di gioco in un’epoca in cui le trasmissioni erano per lo più in bianco e nero.
DAL TANGO ALL’ETRUSCO
I mondiali del 1978 vedono apparire sulla scena un altro prodotto iconico, il “Tango” (Rosario), che aveva ulteriori peculiarità, cuciture in gomma che lo rendevano di fatto quasi inattaccabile dall’acqua (cosa che non lo faceva diventare una vera e propria arma d’offesa nei colpi di testa, considerato che i primi si appesantivano notevolmente) e un disegno con ciascuno dei 20 pannelli esagonali ricoperto da triadi che lo rendevano più gestibile da parte dei calciatori nella valutazione dei punti d’impatto, nelle traiettorie da imprimere e gestire, o nel considerare le parti del piede con cui colpirlo. Praticamente identico quello del 1982, il “Tango” (Espana) tanto caro agli italiani per la vittoria dei ragazzi di Bearzot.
Nel 1990, l’”Etrusco” proposto per la versione italiana del Mondiale, quello delle Notti Magiche, è già una evoluzione dell’Azteca di Messico 1986: è un palone sintetico al 100%, una cosa mai vista prima: vengono a migliorarsi prevedibilità e controllo, impermeabilità, leggerezza ed inevitabilmente il gioco comincia a spettacolarizzarsi e velocizzarsi sempre più.
DAI PALLONI TERMOSALDATI AL FUSSBALLLIEBE 2024
Da quel momento la tecnologia acquisita, i materiali e le tecniche produttive impiegate hanno man mano reso il pallone sempre più prestazionale: oggi i materiali sono pregiatissimi, la regolarità nella prestazione, nei rimbalzi, nella controllabilità, nella direzionalità, nella sensibilità sono di assoluto riferimento ed a ciò si deve unire anche la sostenibilità che viene richiesta e garantita dalla totale riciclabilità dei materiali, la non tossicità delle verniciature utilizzate per la colorazione e il divieto di produzione (la “cucitura” di fatto non esiste più) per mano di lavoratori-bambini. Il pallone di Euro 2024, realizzato da Adidas in collaborazione con l’altrettanto tedesca Kinexon, nasconde poi un’anima molto tecnologica. Il suo nome, con ben tre “elle” significherebbe “amore per il calcio” ed infatti arriva ad aiutare gli ufficiali di gara a prendere decisioni importanti con maggiore velocità e precisione. Ha una superficie in poliuretano (60%) e poliestere riciclato (40%) caratterizzata da una texture di varie dimensioni e una struttura a pannelli di 20 pezzi studiata per ottimizzare l’aerodinamica. La coloratissima sfera si riconosce subito anche per delle scanalature a rilievo sul guscio esterno che sono state testate in laboratorio per veicolare al meglio il flusso d’aria e garantire una maggiore precisione e velocità al gioco (peculiarità inevitabile al giorno d’oggi). Il nucleo interno (denominato “CTR-Core”) bilancia poi la consistenza generale della sfera perché dispone di una camera d’aria in gomma naturale (rinnovabile anche lei, of course) e una calotta in poliestere a doppio strato. A livello cromatico i colori proposti riprendono quelli presenti sulle bandiere di tutti i paesi protagonisti.
LA TECNOLOGIA CHE GUARDA AL FUTURO
“Fussballliebe” dispone inoltre della tecnologia Adidas Connected Ball, un sistema di sospensione interno basato su un sensore di movimento stabilizzato ed alimentato da una batteria ricaricabile a induzione. Questo permetterà di fornire una ricca serie di dati in tempo reale sulla posizione precisa della palla in campo e sui contatti con i giocatori: verrà così migliorata l’accuratezza nel rilevamento semiautomatico del fuorigioco, con evidente abbattimento della tempistica per le decisioni della squadra arbitrale ma potranno anche essere verificati i falli di mano oltre alla già nota Goal Line Technology.
Ma comunque sarebbe opportuno ricordare che se anche il pallone resta magico, per usarlo (bene) si deve sempre saper giocare a calcio!