venerdì, Dicembre 27, 2024

“Fa ‘u ‘bbene e scuòrdate, fa ‘u ‘mmale e piènzece” (ovvero, Ischia: al di là del bene e del male)

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Ci sono varie espressioni che scaturiscono da questo antico aforisma napoletano. Qualcuno sarebbe portato a dire “io ho la coscienza a posto”; qualcun altro “posso camminare a testa alta”; altri ancora potrebbero ostentare la propria correttezza e la propria generosità a tutto tondo, pur senza suffragarla con dati di fatto, o magari –per i più discreti- preferendo che la mano destra non sappia quel che fa la sinistra. Ma al di là di qualche buona azione e altrettante malcelate cattiverie, ognuno di noi farebbe bene, di tanto in tanto, a ricordare questo sanguigno modo di dire della nostra tradizione dialettale. Perché, se ci ragionate, il concetto di “bene” e “male”, pur senza addentrarci nelle varie interpretazioni filosofiche note dall’antichità ai giorni nostri, ci riguarda molto più da vicino di quanto si possa pensare.

La nostra quotidianità è piena di occasioni e condizionamenti che inducono a comportarsi in modo ispirato da questi due delicati fattori; ma soprattutto è estremamente difficile, presi come siamo da ritmi quotidiani che spesso ci distraggono dai valori fondanti di un’esistenza sana, riconoscere forme di bene e di male alla portata del nostro agire più elementare. E nel libero arbitrio di noi esseri umani gioca un ruolo fondamentale quel naturale egoismo che ci porta molto spesso a trascurare il prossimo e le sue esigenze, anche quando basterebbe veramente poco per tenerli in debita considerazione.

Anche il rispetto degli impegni, in certi casi considerabile alla stregua delle semplici promesse, è un elemento scatenante azioni condite dal bene o dal male. Fregarsene delle conseguenze altrui derivanti dal trascurarne più o meno volontariamente le legittime aspettative rappresenta di certo un modo di far del male; così come privarsi parzialmente o totalmente di un proprio vantaggio pur di tenere fede alla parola data significa a tutti gli effetti, per quanto scomodo, fare del bene.

Farsi i fatti propri, seguendo l’antica logica del “ma chi m’o ‘ffa fa”, è il più elementare dei modi di fare del male agli altri ma, se vogliamo, anche a noi stessi. Perché, a mio giudizio, questo genere di scrollata di spalle ci autoesclude da un momento di socializzazione che può solo migliorare il nostro essere, a prescindere da quanto e se il contesto che ci circonda lo meriti. Pensare di intervenire in una lite familiare sapendo di avere l’autorevolezza e la credibilità per cercare di mettere pace è una forma diversa di fare del bene, forse molto più preziosa di un aiuto economico, perché l’eventuale ritrovata serenità di quella famiglia derivante dal nostro intervento avrà il potere per quella famiglia di affrontare con la giusta lucidità anche il resto dei problemi che la affliggono. E quanto ci si potrà sentire orgogliosi di sé stessi dopo un risultato del genere, piuttosto che inutili e indifferenti dopo aver preferito “farmi i fatti miei”?

Ma il bene e il male si ritrovano anche alla base del nostro rapporto con ciò che è di tutti. E questo non vale solo per chi gestisce il “pubblico” (sebbene, esercitando il buon governo nell’ambito del proprio mandato, egli faccia del bene anziché agire irresponsabilmente provocando del male a chi lo ha eletto in quel ruolo), ma anche per chi ne è parte integrante (ergo, tutti noi). Far del bene è rispetto del nostro Paese, dei nostri concittadini, delle piazze o delle strade che percorriamo, delle scuole che frequentiamo, dei parchi dove facciamo jogging, dei boschi in cui respiriamo aria pura, del mare in cui amiamo nuotare o pescare, insieme a quelle regole del viver civile che dovrebbero ispirare senza indugio tutto il nostro agire. Invece, anche quando guidiamo senza rispettare le regole più elementari del Codice della Strada, mettendo a rischio l’incolumità di tutti (nostri passeggeri compresi), così come quando depositiamo i rifiuti fuori orario, magari nel giorno e nei luoghi in cui non è consentito, o adottiamo comportamenti scorretti nell’ambito di una pratica sportiva, pur senza rendercene effettivamente conto, stiamo indubbiamente facendo del male.

Personalmente, nelle mie occasionali “fughe” da Ischia, sono solito incontrare una miriade di persone che nel venire a conoscenza delle mie origini isolane esclamano: “Che bella, beato te che vivi lì!”. Ma se da una parte questa ormai consolidata consuetudine mi riempie d’orgoglio, dall’altra sono logorato dal pensiero che questa splendida, inimitabile isola felice non è più tale come una volta, considerato che varie forme di “male” hanno agevolmente preso il sopravvento sulle testimonianze di “bene” che pure ci hanno sempre riguardato, in barba a quanto scrisse a suo tempo George Berkeley nei suoi appunti di viaggio del ‘700. Anche sotto il profilo imprenditoriale è fin troppo facile rendersi conto che i rapporti commerciali sono spesso imbarbariti non solo da una pressione fiscale locale e nazionale ormai insostenibile, ma anche e principalmente da una pratica in stile “mors tua vita mea” che trascurando finanche le più elementari forme di correttezza, risucchia il bene e il male in un unico, inarrestabile vortice. E i danni sono sotto gli occhi di tutti: aziende storiche e insospettabili sull’orlo del fallimento, posizioni debitorie alle stelle, lotte fratricide pronte a distruggere patrimoni costruiti nei decenni precedenti con abilità e sacrificio rappresentano ormai situazioni di ordinaria amministrazione a cui, pericolosamente e stupidamente, ci stiamo abituando, specie quando non ci riguardano direttamente.

Lavorare con fiducia e, soprattutto, con ritrovato senso di responsabilità, a ristabilire le condizioni di una realtà privilegiata che pure abbiamo vissuto in un recente passato, oggi rappresenta un dovere di tutti. Al di là del bene e del male.

1 COMMENT

  1. Eravamo stati miracolati da Rizzoli, Marzotto, Von Stohrer, Fulceri Camerini, Walton, Walde e Kuttner: nonostante questi ci abbiano fatto arricchire, alla fine la nostra stronzaggine atavica si è manifestata in tutto il suo fulgore e ci ha portato a segare il ramo sul quale eravamo seduti.

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