giovedì, Dicembre 5, 2024

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Davide Conte | In un’atmosfera che non riesce a conciliare gli appassionati di calcio “comunque sia” e quelli che si lamentano delle necessità (ultimamente poco virtuose) della rappresentativa di Antonio Conte che interrompono le “gesta eroiche” domenicali delle varie squadre del cuore, abbiamo assistito alla pokeristica sconfitta di martedì scorso della nostra Nazionale contro la Germania.

davide-188x80Perdere un’amichevole ci può stare, ma contro i Tedeschi tutto acquista un peso di ben altra rilevanza. E perché? I motivi vanno ricercati nella rivalità storica tra le due nazioni, calcisticamente parlando, fatta di scontri epici che risalgono alla nostra memorabile vittoria per 4 a 3 di Città del Messico nel 1970, fino all’altra indimenticabile semifinale del 4 luglio 2006 a Dortmund, vinta ancora una volta per 2 a 0 e che ci accompagnò alla conquista del nostro quarto titolo iridato nella partitissima di Berlino contro la Francia.

Può, però, questo genere di sentimento, appannare la lucidità di valutazione anche dei tecnici più ferrati ed obiettivi, facendo gridare addirittura ad una sorta di scandalo?

Ho letto ed ascoltato commenti che mi hanno lasciato a dir poco sbigottito, anche da parte di conclamate competenze del settore; e quando parliamo di gente che disserta di calcio per mestiere, ascoltare del populismo e del catastrofismo spicciolo è alquanto fastidioso, specialmente quando poi si tenta di nascondere la verità dietro un dito solo per difendere a tutti i costi l’indifendibile e gli indifendibili.

Diciamola tutta: non mi va di scendere in particolari tecnici emersi con forza dalla partita in questione, laddove la superiorità dei Tedeschi si è manifestata con la giusta evidenza, ma mi chiedo se è veramente così difficile limitarci a constatare almeno la maggior qualità del gioco espresso dai nostri avversari nell’arco dell’intera partita. Abbiamo assistito a manovre ben rodate e ormai collaudate, un gioco quasi mnemonico che al collettivo italiano manca ancora del tutto. E non poteva essere diversamente, se si considera che siamo ormai a tre mesi dal Campionato Europeo e le selezioni di Conte hanno ancora un forte quanto disgustoso sapore di esperimento, salvo poi convocare elementi nuovi (leggasi Jorginho) e non farli entrare neppure per cinque minuti.

E’ vero, non perdevamo contro la Germania da ben ventun anni, ma perché parlare di “sconfitta umiliante” se di fronte a noi c’erano –scusate se è poco- i Campioni del Mondo in carica, con una squadra che da tempo gira alla grande sui propri punti cardine e che viene continuamente rinnovata ed arricchita da innesti di altissimo livello? Perché ci meravigliamo di un’Italia che non trova la quadra del gioco, quando non certo da oggi sembrano mancare le idee (e forse anche gli stimoli) per darle un assetto di gioco definitivo e migliorabile nel tempo, da parte di un allenatore che ha ben pensato di annunciare in tempi non sospetti che dopo gli Europei lascerà la Nazionale?

Oggi, la prima (auto)critica realmente costruttiva dovrebbe partire in seno alla FIGC, ammettendo il fallimento dell’Italia targata Antonio Conte (ricordiamo bene gli squilli di tromba di quando il Presidente Tavecchio annunciò, nel 2014, il nuovo ciclo del tecnico leccese, costato fior di quattrini attraverso l’intervento economico della Puma) e del calcio italiano in genere. Si continua a sacrificare i nostri vivai aprendo le porte a troppi stranieri dalle dubbie qualità (ma altrimenti il business fiscale di certi club come si concretizzerebbe?), ignorando l’indifferibile necessità di provare a gettare basi serie e concrete per una rivalutazione tecnico-strutturale dell’organizzazione calcistica di casa nostra. E questo non è certo un problema di “allenatore”, ma della mancanza di un progetto studiato “a tavolino” che nel giro di breve tempo potrebbe portarci nuovamente a competere da protagonisti e con la giusta rappresentatività sia in Europa che nel mondo.

Se analizziamo il girone che ci aspetta agli Europei d’oltralpe, è facile intendere che non ci sarà bisogno di attendere l’eventuale qualificazione al secondo turno per incontrare avversari pronti a metterci in difficoltà. Sarà bene raccomandarci a Sant’Antonio, quando proprio il 13 giugno, già all’esordio, il Belgio di Dries Mertens potrebbe bastare a lasciarci più che mai con i piedi per terra sul nostro reale livello di competitività. Tuttavia io lascerei sempre e comunque spazio a quel sano briciolo d’ottimismo che non guasta mai e che in altre occasioni è riuscito a premiarci. Ricordate l’Italia di Bearzot, quella che vinse il mitico “Mundial” spagnolo nel 1982? Bene, io avevo appena quindici anni, quando alla vigilia di quella competizione nessuno quotava la nostra Nazionale tra le favorite, nemmeno per un solo soldo falso, specialmente dopo la più che deludente fase di preparazione che ci portò in terra iberica. Eppure, dopo un girone di qualificazione tutt’altro che esaltante, tutti noi ricordiamo come andò a finire.

Repetita iuvant, direbbe qualcuno, ma naturalmente senza farci illusioni: lo impone il momento, ma soprattutto lo spirito adatto per arrivare con il giusto livello di determinazione e concretezza ad una competizione così importante, pronti ad urlare e soffrire da veri Italiani, partita dopo partita. E poi, subito dopo, comunque andrà, ricominciare daccapo. Perché un popolo che da sempre si ciba di pane e pallone, a ragione o a torto, merita una Nazionale degna di rappresentarlo e rispettosa del blasone fatto di ben quattro mondiali vinti. Meglio di noi, solo il Brasile, con cinque titoli. Come noi, solo la Germania, da due anni a questa parte. Negli Europei, invece, l’abbiamo spuntata solo una volta: davanti a noi, in questo caso, ci sono –in ordine crescente- Francia, Spagna e Germania. La stessa Germania che l’altra sera ce le ha suonate di santa ragione ma che, storicamente, negli appuntamenti importanti contro di noi, è sempre tornata a casa con le pive nel sacco.

Teniamo duro, verranno tempi migliori. O almeno… lo si spera. Forza, Italia!

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