In un’intervista al Corriere della Sera, il noto psichiatra Paolo Crepet ha espresso un concetto tutt’altro che complicato da recepire, se non per chi si rifiuta di ammetterne la verità e l’attualità.
“Oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli, tutto questo appiattisce e amicalizza un rapporto che invece deve essere fondato sul riconoscimento dei ruoli. Non esiste più il capitano, il punto di riferimento. È forse il compimento del ‘68, dalla rivolta antiautoritaria. Ma ora una generazione che ha contestato i padri è diventata serva dei propri figli. Non è capace di dire i no, di orientare senza usare l’autoritarismo, ma l’esperienza. C’è un armistizio: io ti faccio fare quello che vuoi, tu non mi infliggi la tensione di un conflitto. Ma così si spegne il desiderio di autonomia, l’ansia di recidere i cordoni, l’affermazione piena della propria identità. Il conflitto generazionale è sparito. E non è un bene.”
Ci sarebbero da scrivere fiumi di parole e non solo dopo l’episodio dell’omicidio stradale romano ai danni del piccolo Manuel per il quale è stato chiesto a Crepet il suo parere. L’autorevolezza dei genitori, ai quali ai miei tempi ci si rivolgeva sempre con deferenza e rispetto incondizionati, era il valore fondante e riconosciuto della loro stessa autorità, ma oggi è messa in crisi da un eccesso di confidenza che quasi sempre, salvo i casi di famiglie realmente solide e con un ottimo lavoro di gruppo alle spalle che possono permettersi certe deroghe, porta fino alla delegittimazione delle figure paterne e materne e, a volte, al totale capovolgimento dei ruoli decisionali.
A prescindere dal fatto che i figli siano ancora minorenni o già maggiorenni, ci sono padri e madri che vivono nel terrore di non compiacere i propri figli per non inimicarseli. E questo genere di comportamento, col tempo, porta inevitabilmente alla ricerca di nuovi modelli tutt’altro che in linea con l’impronta mai troppo difesa della propria tradizione e solidità familiare.
Non mi ritengo certo un genitore modello, ma credo che dopo ventidue anni di paternità sia riuscito a far sì che nel rapporto con i miei due figli, certamente non privo di scontri nel tempo, qualcosa di buono sia stato ottenuto anche grazie a quegli stessi scontri e a qualche pur soffertissimo “no”, nella consapevolezza che per ognuno di noi ci sia un tempo giusto per ogni cosa.