domenica, Febbraio 23, 2025

Gennaro Guida, il sogno spezzato sul mare: la tragedia del giovane procidano che voleva volare oltre l’orizzonte

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Aveva appena 19 anni Gennaro Guida, e tutta la vita davanti. Come tanti ragazzi di Procida, era cresciuto con lo sguardo rivolto al mare, quel mare che per i procidani è insieme madre e matrigna, promessa di futuro e minaccia costante. Diplomato macchinista al Nautico, Gennaro aveva deciso di imbarcarsi, come da tradizione, ma il suo cuore batteva per un sogno più alto: l’università, quella terra promessa che avrebbe potuto aprirgli le porte di un destino diverso. Con i soldi del suo primo imbarco, aveva deciso di pagarsi le rette universitarie e costruirsi un futuro lontano dalle fatiche e dai rischi del lavoro in mare. Voleva volare, Gennaro, ma il mare, con la sua crudele imprevedibilità, fu più rapido a trattenerlo.

Gennaro si imbarcò come allievo di macchine sulla Texas City, una nave della compagnia americana “Amoco”. Era il suo primo lavoro, il primo passo verso quella vita che aveva immaginato nelle notti trascorse a fantasticare sul futuro. La sala macchine era un inferno di calore e fatica, ma Gennaro era determinato: ogni turno, ogni sacrificio era un pezzo del ponte che lo avrebbe portato verso l’università.
Ma il destino, spesso, tesse trame che spezzano i sogni più belli. Durante una traversata verso Monrovia, una valvola a pressione della caldaia del motore esplose all’improvviso. Un boato sordo, poi l’inferno. Il vapore bollente si abbatté su Gennaro e sul primo ufficiale di coperta di Monte di Procida come un’onda invisibile e letale. Le ustioni furono devastanti. Il ragazzo lottò per ore, aggrappandosi con tutte le sue forze a quella vita che sognava di rendere grande. Ma il mare, tradendo la fiducia che Gennaro aveva riposto in lui, lo reclamò per sé. Morì a bordo della nave, lontano dalla sua casa, dai suoi sogni, da quella terra che sperava di conquistare.

La morte di Gennaro giunse come un fulmine a ciel sereno sulla sua famiglia e sull’intera comunità di Procida. Fu Don Vincenzo Di Liello, allora parroco della chiesa di San Leonardo, a portare la notizia ai genitori. Non ci sono parole, in questi casi, che bastino a colmare un vuoto tanto grande. Il sogno di un giovane che voleva andare oltre il mare si era spaccato come una barca contro gli scogli. La casa di Gennaro si riempì di dolore e silenzio, un silenzio rotto solo dai singhiozzi di chi lo aveva amato. La sua storia si diffuse sull’isola come un vento gelido, lasciando un segno profondo nei cuori di chiunque l’avesse conosciuto.

Procida, che da sempre vive in simbiosi con il mare, sapeva bene a quali rischi si va incontro quando si lascia la terraferma. Eppure, la tragedia di Gennaro fu diversa. Non era solo un giovane che cercava di guadagnarsi il pane, ma un ragazzo che voleva superare i confini del suo mondo, che vedeva nel lavoro in mare un mezzo per costruirsi un futuro lontano dalla fatica e dall’incertezza. Voleva volare, ma la vita lo trattenne con la brutalità di un fato ingiusto.

A distanza di 50 anni, la sua famiglia porta ancora il peso di quella perdita. È una ferita che non si rimargina, un dolore che il tempo non riesce a lenire. Ogni ricordo, ogni dettaglio della sua vita, è custodito con amore e malinconia, come un faro che illumina il passato e restituisce uno spiraglio della sua presenza. Gennaro non è mai stato dimenticato: il suo nome vive nei racconti, nei ricordi, nei pensieri di chi lo ha conosciuto e di chi ha ascoltato la sua storia.

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