La protesta dei magistrati contro la riforma della giustizia proposta dal governo Meloni ha acceso il solito dibattito di parte in tutto il paese, aumentato a dismisura dopo la prima approvazione in aula della pur ampiamente annunciata separazione delle carriere. Essi hanno denunciato il rischio che la riforma possa compromettere l’indipendenza della magistratura e la qualità del giudizio, argomentando che le modifiche previste favorirebbero la politicizzazione dei processi. Tuttavia, le motivazioni sollevate dai magistrati appaiono in gran parte sterili e poco convincenti, se non addirittura difensive di un sistema che, seppur autonomo, appare da tempo come intoccabile, oltre che spesso inefficiente, lento e, talvolta, eccessivamente superficiale e scarsamente equilibrato nelle incriminazioni e nelle sentenze.La riforma del governo intende migliorare l’efficienza della giustizia, ridurre l’arretrato processuale e velocizzare i procedimenti. Tra le misure previste, alcune riguardano la selezione e l’avanzamento di carriera dei magistrati, introducendo criteri più trasparenti e meritocratici. Sebbene l’indipendenza della magistratura sia un valore assoluto, non si può ignorare che il sistema attuale, a causa della lentezza dei processi e di una burocrazia pachidermica, risulta realmente lontano dalle esigenze dei cittadini. La “casta” sembra in gran parte voler difendere uno status quo che ha mostrato tutte le sue debolezze. L’indipendenza dei giudici non può tradursi in un’autonomia incontrollata che penalizza la vera giustizia. I magistrati, non a caso, sono accusati da anni di autoreferenzialità e di resistenza a ogni tipo di cambiamento. Naturalmente l’idea che queste misure possano minare l’autonomia della magistratura appare del tutto pretestuosa, considerando che ogni tipo di valutazione e controllo è fondamentale per evitare che il sistema giuridico finisca per risultare sempre meno efficace e credibile. La magistratura non può sottrarsi alla necessità di rendere conto, in un modo o nell’altro, della qualità del proprio operato. Il rischio che una valutazione più trasparente e meno corporativistica porti a un’erosione della qualità del giudizio è minimo, mentre il rischio che l’inefficienza del sistema continui a danneggiare i cittadini è molto concreto. Inoltre, la riforma mira a migliorare l’efficienza delle udienze e a ridurre il numero di rinvii, cercando di risolvere una delle principali criticità del sistema: l’arretrato. Ma quel che più sfugge è che in una democrazia compiuta comanda chi ha ricevuto il mandato popolare a farlo. In Italia, Giorgia Meloni e i suoi, proprio come Donald Trump negli Stati Uniti. E rode da morire ai loro detrattori, non solo ai soliti esponenti di Magistratura Democratica o della sinistra italiana e dei dem americani, che entrambi i leader stanno agendo in modo assolutamente consequenziale, trasparente e rispettoso del mandato ottenuto dagli elettori.Tutti questi signori, anziché opporsi per partito preso (è il caso di dire), dovrebbero imparare a rispettare le regole della democrazia. “Basta poco, che ce vo?”
Daily 4ward di Davide Conte del 26 gennaio 2025