sabato, Dicembre 21, 2024

“Giustizia” per i Serappo, 22 anni dopo. La mazzata per Vito Manzi

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La Corte di Appello cancella la sentenza del Got di Ischia favorevole a Vito Manzi, l’assessore di Del Deo candidato con Stani Verde

La giustizia in Italia cammina con esasperante lentezza. Ma arriva. Ed è così anche nel contenzioso che dal 2001 vedeva contrapposti Lucio Serappo, la moglie Vera Grimaldi e il figlio Daniele Serappo, popolare agente di viaggi e mister, a Vito Manzi. Tutto per un diritto di servitù sul viale di proprietà dei Serappo che Manzi si ostinava a voler esercitare. Il primo atto di citazione risale al 2002 e adesso arriva la sentenza favorevole ai Serappo, anche se non completamente. Troppo tardi per Lucio.

Il caso di cui si è occupata la giustizia civile è simile a molti altri che si registrano sull’isola. Nel 2001 la famiglia Serappo aveva acquistato quel fabbricato a Forio, ma aveva avuto una brutta sorpresa. Si era scontrata con qualcosa che sembrava più forte di ogni legittimo diritto. Ma alla fine ha vinto.

Per contrastare il preteso diritto vantato dal Manzi, si era rivolta al giudice civile della sezione distaccata di Ischia. Chiedendo che venisse accertata «l’inesistenza del diritto del convenuto ad aprire i due varchi di accesso sul viale di proprietà esclusiva di essi attori, del diritto di passaggio su detto viale, del diritto ad apporre il contatore Enel ed i relativi fili di alimentazione sullo stesso», e per ottenere «la condanna dei convenuti alla chiusura dei varchi, alla cessazione della pratica di passaggio, “a richiedere all’Enel” lo spostamento del contatore e dei fili, ed al risarcimento dei danni». Un giudizio durato 16 anni e nel 2018 il Got aveva respinto la domanda di negatoria di servitù. Accogliendo invece la domanda riconvenzionale proposta dal Manzi e dunque accertando «l’acquisto per usucapione della servitù di passaggio pedonale e carrabile sui beni di proprietà di parte attrice; ha costituito in favore del Manzi “servitù coattiva di diritto di passaggio di due varchi”».

Di qui l’appello e la sentenza dei giudici di secondo grado che cancella quella servitù. Decisamente più rapida rispetto alla prima, ma sta di fatto che nel frattempo è anche andato smarrito il fascicolo della causa. Un problema frequente… La decisione del Got viene sintetizzata dalla Corte di Appello di Napoli riportando che «dopo aver premesso che il titolo d’acquisto del Manzi (del 13.9.1995) nulla specificava in ordine all’accesso al fondo, ma si limitava a precisare che la vendita aveva ad oggetto il bene nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava, con ogni accessorio, accessione, dipendenza, servitù, ha ritenuto che le dichiarazione dei testi di parte convenuta avessero dimostrato l’esercizio del passaggio pedonale e con mezzi agricoli sul vialetto di proprietà degli attori da parte del convenuto e dei suoi familiari da oltre quarant’anni, ed ancora che il vialetto, prima dell’acquisto immobiliare del convenuto, aveva la larghezza di m. 1,50 ed era stato allargato a 3 metri con la cessione da parte del Manzi di una striscia di fondo di sua proprietà; ha soggiunto che al fondo del Manzi, oggi urbanizzato, si accede da almeno vent’anni attraverso i varchi realizzati da quest’ultimo, mentre in origine, quando il fondo era agricolo ed era utilizzato per la coltivazione di frutta e l’allevamento dei conigli, detti accessi avevano diversa conformazione ma comunque erano tali da consentire il passaggio di persone e mezzi meccanici. Ha concluso che, come emerso dalla prova orale, il Manzi ed i suoi danti causa avevano esercitato il passaggio in modo pacifico, pubblico e non interrotto per oltre venti anni, maturando l’acquisto per usucapione».

GLI ERRORI DEL GOT

Il collegio si sofferma quindi sui motivi di appello. Innanzitutto il Got avrebbe sbagliato « per aver fondato la decisione unicamente sulle deposizioni rese dai testi di parte convenuta, senza esaminare i documenti in atti, idonei ad escludere “ab nuce” un possibile acquisto per usucapione della servitù in capo al convenuto per assenza dei relativi requisiti. Anzitutto, evidenziano che, avendo il Manzi acquistato il fondo presunto dominante soltanto nel 1995 ed essendo stata proposta l’azione negatoria di servitù nel 2002, in favore del convenuto non è potuto maturare il ventennio necessario al compimento dell’usucapione, né il Manzi può unire il preteso possesso di servitù a quello del suo dante causa Maltese, perché il titolo di acquisto di ques’ultimo (del 1981) prevedeva soltanto un diritto personale di aprire un varco di passaggio pedonale sul viale di proprietà attorea, non trasmissibile agli eredi né agli aventi causa. Soggiungono che la facoltà accordata al Maltese non fu esercitata, posto che i testi hanno riferito che i varchi (due, entrambi carrabili) furono aperti per la prima volta dal Manzi dopo il suo acquisto del 1995. Gli impugnanti rimarcano che il fondo di proprietà Manzi fino al 1995 era in stato di abbandono, ricoperto di rovi, senza fabbriche di alcun tipo né varchi o aperture sul viale attoreo». Contestando anche l’ampliamento del viale.

Quel diritto concesso al dante causa di Vito Manzi era personale e non poteva essere acquisito per usucapione dopo un possesso di soli 7 anni. Quella «servitù coattiva di diritto di passaggio di due varchi» costituita dal Got è un errore materiale.

DIRITTO DI SERVITU’ NON DIMOSTRATO

La Corte ha accolto i primi due motivi di appello. Evidenziando che «gravava sul Manzi l’onere di dimostrare il diritto di servitù di passaggio asseritamente acquistato a titolo originario; posto che il titolo di proprietà del Manzi risale al 13.9.1995 e che il giudizio è stato introdotto con citazione notificata il 25.2.2002, l’odierno appellato ha fatto valere l’unione del proprio preteso possesso a quello dei suoi danti causa ai fini del compimento del ventennio necessario per l’usucapione. Sennonché la prospettazione difensiva che fa leva sull’unione dei possessi si rivela in contrasto con le risultanze del titolo di Maltese, dante causa dell’appellato, dal quale si evince con chiarezza che al Maltese fu concessa una facoltà personale, di natura obbligatoria, di aprire un varco di passaggio pedonale sul viale oggetto della odierna controversia, sicché il potere di fatto eventualmente esercitato dal medesimo (ed oggetto di contestazione) è qualificabile in termini di detenzione e non è perciò idoneo a fondare l’usucapione, salva la prova dell’interversione». In particolare, per la porzione di proprietà poi passata a Vito Manzi, una servitù destinata «a cessare con la morte del titolare o in caso di vendita del bene».

Il che induce il collegio di appello a dedurre che «la durata temporanea del diritto accordato ed il reiterato riferimento alla sua natura personale non consentono di dubitare che la volontà dei contraenti fu quella di costituire una servitù non avente carattere reale, ma personale, stipulando un contratto atipico».

Quel varco peraltro non era stato aperto: «Peraltro, gli appellanti hanno negato che il Maltese abbia mai esercitato la facoltà che gli era stata riconosciuta con l’atto del 1981, evidenziando come, al fine di esercitare il passaggio, l’apertura del varco sarebbe stata necessaria perché il viale era separato dal fondo del Maltese da un muro a secco divisorio, e che tuttavia il varco non fu mai aperto, giacché a creare il collegamento – mediante l’apertura di due varchi carrabili oggetto di lite – provvide il Manzi soltanto nel 1995, successivamente al suo acquisto». Come confermato dai testimoni.

SCARTATA L’USUCAPIONE

Questa conclusione porta a scartare l’ipotesi dell’usucapione. Spiegano i giudici: «Del resto, ancorché si accedesse alla tesi contraria, non potrebbe non rilevarsi che la relazione di fatto con il bene da parte del Maltese, proprio perché si fonda su un rapporto negoziale attributivo di un diritto personale, sarebbe astrattamente configurabile come detenzione e non come possesso e non sarebbe perciò utile ai fini dell’usucapione. Invero, l’usucapione costituisce un modo di acquisto a titolo originario della proprietà e degli altri diritti reali che si fonda sull’esercizio del possesso continuato per venti anni; tuttavia, qualora si tratti del possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui, il possessore può usucapire la proprietà della cosa soltanto mediante l’“interversio possessionis” ovvero mutando il titolo del suo possesso. Ciò significa che quando il potere di fatto sia inizialmente esercitato a titolo di detenzione, per il perfezionarsi dell’usucapione è richiesto un atto di interversione in opposizione al proprietario, tale da manifestare il possesso pieno, escludendone il titolare; occorre, in particolare il compimento di attività materiali che rendano esteriormente riconoscibile all’avente diritto che il detentore aveva iniziato a possedere in modo esclusivo». Ma Manzi non ha fornito alcuna prova di tali circostanze.

I CONTATORI ENEL

Cancellata finalmente quella servitù di passaggio: «Pertanto, in ragione di tale assorbente rilievo, deve pervenirsi all’accoglimento della domanda attorea di negatoria delle servitù relative all’apertura dei varchi ed al diritto di passaggio, condannando l’appellato alla chiusura dei varchi ed alla cessazione della pratica di passaggio lungo il viale attoreo, con conseguente rigetto delle contrapposte domande riconvenzionali di acquisto a titolo originario delle relative servitù».

La sentenza emessa «accerta l’inesistenza del diritto di Manzi Vito ad aprire i due varchi di accesso sul viale di proprietà degli attori, del diritto di passaggio sul detto viale e del diritto all’apposizione del contatore dell’Enel e dei relativi fili di alimentazione sul viale, e condanna Manzi Vito all’immediata chiusura dei due varchi abusivi ed alla cessazione della pratica di passaggio lungo il viale attoreo». Riguardo ai contatori, però, Manzi non dovrà richiederne all’Enel l’immediato spostamento in quanto la questione così come posta non rientra nei casi di esecuzione forzata».

Rigettata anche la domanda di risarcimento dei danni, «perché, pur potendo riconoscersi la natura potenzialmente lesiva della imposizione di una servitù di fatto, limitativa dell’uso e del godimento del bene da parte del proprietario, nel caso di specie la scarna e generica allegazione di parte attrice circa i “danni patiti a seguito degli abusi perpetrati” rivela una carenza assertiva che preclude in radice l’accertamento del preteso pregiudizio patrimoniale mediante il ricorso alla prova presuntiva».

Ma oltre al danno materiale, in realtà siamo in presenza sicuramente anche di altra natura di danno, per il “peso” di un angosciante contenzioso durato 22 anni. Vito Manzi è stato condannato ovviamente al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio, quantificate in 4.720 euro.

Giustizia è fatta, anche se non tutto è stato riconosciuto alla famiglia Serappo. Ma soprattutto, per far valere un proprio diritto e cancellare quello vantato da Vito Manzi, ha dovuto attendere 22 anni. E questo è sicuramente l’aspetto più grave.

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