venerdì, Settembre 20, 2024

Giustizia per la ex Ischia Ambiente “salassata” dai burocrati governativi!

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L’Unità tecnica amministrativa della Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva notificato alla società oggi divenuta Ischia Servizi una ingiunzione di pagamento per quasi un milione di euro per il recupero dei contributi a favore dei Comuni che avevano ospitato i rifiuti campani. I giudici di secondo grado hanno accolto le tesi dell’avv. Leonardo Mennella, sentenziando che quelle somme erano a carico dei Comuni e non dei soggetti gestori del servizio N.U.

In materia di smaltimento dei rifiuti numerose sono le gabelle che gravano non solo sui cittadini, ma anche sui Comuni, come insegna il caso Sapna. Il bello è che i burocrati della Presidenza del Consiglio dei Ministri avevano pensato di poter “spremere” anche una società incaricata di effettuare il servizio di nettezza urbana, nel caso specifico Ischia Ambiente, oggi divenuta Ischia Servizi. Imponendo il pagamento di una somma di quasi un milione di euro! La società in house del Comune d’Ischia era ricorsa al Tar che le aveva dato torto. Ma oggi il Consiglio di Stato ha interamente riformato quella sentenza, accogliendo le tesi dell’avv. Leonardo Mennella, difensore di “Ischia Servizi”. Una bella vittoria e una sonora sconfitta per la Presidenza del Consiglio, che pure si era costituita in giudizio.

“Oggetto del contendere” era l’ingiunzione di pagamento del 23 gennaio 2015 emessa nei confronti di Ischia Ambiente s.p.a. dall’Unità tecnica amministrativa della Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’importo di euro 917.642,45, per recupero dei contributi di ristoro ambientale. Nonché la nota della stessa Unità del 20 aprile 2016 «recante il sollecito di pagamento dell’importo stesso, con preavviso dell’avvio del procedimento di riscossione coattiva». Il tutto legato al trasferimento in altri territori dei rifiuti campani e al successivo “risarcimento” a quelli che li avevano “ospitati”.

Tutti atti impugnati dinanzi al Tar Campania da Ischia Ambiente, evidenziando la violazione e falsa applicazione della normativa in materia e in particolare il difetto di legittimazione attiva, la violazione del giusto procedimento, la illegittima duplicazione della pretesa e infine la prescrizione dell’obbligo di pagamento. Per Ischia Ambiente, in sintesi, il soggetto incaricato della raccolta e trasporto dei rifiuti non è tenuto a pagare.

LA SENTENZA DEL TAR

A febbraio 2017 però i giudici amministrativi di primo grado rigettavano il ricorso in base a un ragionamento sintetizzato dai colleghi del Consiglio di Stato. Per il Tar Ischia Ambiente era tenuta alla obbligazione tariffaria relativa ai contributi, alle maggiorazioni e alle quote di ristoro ambientale alla luce della normativa vigente. E questo perché «in base a tale normativa, ai fini della debenza del contributo di ristoro ambientale, ai Comuni – enti conferenti i rifiuti nei siti di stoccaggio, discarica o termovalorizzazione localizzati nel territorio degli altri Comuni beneficiari del contributo stesso – erano assimilati “i relativi consorzi e gli altri affidatari”, ossia i soggetti come Ischia Ambiente s.p.a. che avevano “raccolto, depositato in aree di temporaneo stazionamento (o di trasferenza) e materialmente conferito agli impianti di destinazione i rifiuti prodotti dai Comuni incaricanti”».

E per confermare tale assunto, scendevano nel dettaglio della composizione azionaria di Ischia Ambiente: «A suffragio della affermazione della titolarità passiva dell’obbligazione di pagamento del contributo di ristoro ambientale anche in capo ai soggetti predetti, e alla società ricorrente in particolare, militavano, da un lato, la circostanza della materiale effettuazione da parte loro del conferimento dei rifiuti all’origine della debenza del contributo, con emissione a loro carico delle relative fatture da parte del gestore dell’impianto, dall’altro, la posizione stessa di Ischia Ambiente, società in house interamente partecipata dal Comune di Ischia “in toto ragguagliabile a quella dell’ente locale”, quale mera articolazione funzionale e organizzativa di quest’ultimo, con conseguente impossibilità di “sottrarsi alle obbligazioni contratte in tale veste, adducendo una insussistente condizione di estraneità e terzietà”».

Nulla da eccepire nemmeno sul procedimento di riscossione coattiva, «rispetto al quale l’ingiunzione di pagamento si poneva a monte, a guisa di atto propedeutico, senza che l’amministrazione dovesse previamente dar corso all’accertamento della massa attiva e passiva».

Inoltre «non era dimostrato che con l’ingiunzione impugnata fossero state richieste somme a titolo di diritti di tesoreria o comunque non riconducibili all’operato della FIBE e della FIBE Campania in virtù del relativo mandato, né che fosse stata “effettivamente operata una detrazione sui trasferimenti erariali per l’anno 2006” o che la somma ingiunta fosse stata calcolata “al lordo”». Per finire, i crediti non potevano considerarsi prescritti.

CONTRIBUTI A CARICO DEI COMUNI

Di qui l’impugnazione di quella sentenza ritenuta errata. Ribadendo il difetto di legittimazione passiva ed attiva, la violazione del giusto procedimento, la illegittima duplicazione della pretesa, la prescrizione dei crediti.

E il collegio della Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto fondati i motivi elencati dall’avv. Mennella. I giudici ricordano che Ischia Ambiente, «società pubblica costituita dall’unico socio Comune di Ischia per il quale ha svolto e svolge il servizio di raccolta e conferimento dei rifiuti urbani, ha lamentato l’erroneità della sentenza impugnata deducendo, in primo luogo, che in essa il T.a.r. non ha adeguatamente valutato il fatto che dapprima la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con l’ordinanza n. 3032 del 1999, e poi il legislatore, con l’art. 2 del d.l. n. 245 del 2005, avevano posto a carico dei soli Comuni produttori dei rifiuti conferiti nei siti di stoccaggio, e non di altri soggetti, il contributo di ristoro ambientale, destinato a compensare del pregiudizio subito i Comuni che ospitavano sul loro territorio i rifiuti di altre collettività.

Tale censura, ad un approfondito esame della disciplina normativa concretamente applicabile e di tutti i documenti di causa, risulta fondata e meritevole di accoglimento».

Il nodo da sciogliere era appunto quali fossero i soggetti obbligati al pagamento. E i giudici di secondo grado sciolgono ogni dubbio: «In favore dell’interpretazione sostenuta dall’odierna appellante circa l’impossibilità di ritenerla soggetto obbligato al pagamento del contributo di ristoro ambientale richiestole depone, prima di tutto, il tenore letterale delle disposizioni normative dettate in materia, con particolare alle ordinanze della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 1999 e del 2003, per cui “Il Commissario delegato – Presidente della Regione Campania dispone un contributo a carico dei Comuni che conferiscono i rifiuti, da erogare a favore dei Comuni nel cui territorio sono ubicati gli impianti di trasferenza, i siti di stoccaggio provvisorio di combustibile derivati dai rifiuti e i siti di stoccaggio definitivo…”.

Manca nella suddetta disciplina una specifica disposizione che estenda espressamente ai soggetti incaricati della semplice raccolta e del trasporto dei rifiuti il contributo in parola, dovuto, invece, in via esclusiva, da parte dei “Comuni” che li hanno prodotti, effettivi beneficiari del trasferimento».

INTERPRETAZIONE ERRATA

Il riferimento al recupero delle somme dovute oltre che presso i Comuni, anche presso «i relativi Consorzi e gli altri affidatari della Regione Campania…» aveva indotto in errore i burocrati e lo stesso Tar. Ma il Consiglio di Stato ha bocciato questa interpretazione, «dovendo questi ultimi (consorzi e affidatari, ndr) intendersi ragionevolmente quali eventuali altri soggetti che si trovino ad aver beneficiato della prestazione di smaltimento, avvantaggiandosi dal punto di vista ambientale rispetto ad altri enti che abbiano accolto i rifiuti nel proprio territorio. Con tale disposizione il legislatore ha, dunque, inteso non ampliare in via indiretta (in sede di indicazione del successivo potere di recupero) la platea dei soggetti tenuti alla corresponsione del contributo, bensì specificare che i Comuni restano obbligati al pagamento delle relative somme anche qualora abbiano contratto l’obbligazione o posto in essere suo presupposto per il tramite di loro consorzi o di altre forme associative per lo svolgimento del servizio, quali Unioni di Comuni, accordi di programma o convenzioni».

MATERIA COMPLESSA

Aggiungendo che «La legittimazione passiva dell’odierna appellante in ordine all’obbligazione de qua non può, inoltre, evidentemente fondarsi sul fatto dell’avvenuta emissione da parte di FIBE e di FIBE Campania di fatture a suo nome, come sostenuto dall’amministrazione, trattandosi di un dato meramente formale, né, tantomeno, sull’applicazione analogica delle norme specificamente dettate per la tariffa di smaltimento rifiuti, che, in quanto relative ad altra “prestazione imposta”, non appaiono suscettibili di estensione analogica quanto all’individuazione degli enti tenuti all’obbligazione di pagamento.

La funzione del contributo di recupero ambientale in parola appare, del resto, ben distinta da quella della tariffa per lo smaltimento, essendo quest’ultima il corrispettivo di un servizio e il primo, invece, un onere posto a carico di un soggetto (il Comune) a favore di un altro soggetto (il Comune beneficiario) che subisce una “sofferenza ambientale” nell’accogliere i rifiuti prodotti da un’altra comunità territoriale e di tale sacrificio deve essere ristorato».

Nella sentenza si aggiunge un ulteriore elemento a favore della tesi di Ischia Ambiente: «Ulteriore conferma della fondatezza della tesi della debenza da parte dei soli Comuni, e degli enti territoriali associativi e assimilati, del contributo di ristoro ambientale può, infine, rinvenirsi nel potere dell’Amministrazione competente di operare le “corrispondenti riduzioni dei trasferimenti erariali” nei confronti “dei Comuni interessati”, unici soggetti dunque da ritenersi, nell’eventualità, inadempienti al pagamento degli importi dovuti a tale titolo e, dunque, da assoggettare a forme di compensazione».

Una sentenza che acclara definitivamente la «inesistenza di una posizione debitoria specifica di Ischia Ambiente s.p.a. in relazione al contributo di ristoro ambientale». Il sollecito di pagamento del 2015 e la nota del 2016 sono stati dunque definitivamente annullati.

Le spese di giudizio sono state compensate «per la complessità delle questioni trattate, suscettibili di condurre ad interpretazioni contrastanti». Le leggi italiane, si sa, sono difficili da comprendere e vanno interpretate. In questo caso i burocrati della Presidenza del Consiglio avevano chiesto il pagamento dei 900mila e passa euro al soggetto sbagliato e incassano una sonora bocciatura.

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