domenica, Dicembre 22, 2024

Gli ultimi fuochi. Dopo l’incendio dei Maronti, l’isola torna a spaccarsi.

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INCHIESTA DI PASQUALE RAICALDO | Un bello spreco, prassi anacronistica che resiste in tempi di spending review. Macché: una tradizione da rispettare, che asseconda i gusti dei turisti e che consente all’isola di farsi bella. Ischia torna a spaccarsi sui fuochi pirotecnici e sulle feste patronali. La miccia, più reale che metaforica, è stata l’incendio sulla collina di Fondolillo durante le celebrazioni per San Michele Arcangelo. Festeggiate con lo spettacolo pirotecnico ufficiale, ma anche con una serie di «spari» paralleli: albergatori e semplici cittadini, come da prassi, hanno accompagnato la processione coi botti. E una scintilla ha originato l’incendio che per tre ore ha tenuto impegnati i vigili del fuoco e la protezione civile. Minacciando le case.
Così, per il partito – certo decisamente nutrito – dei detrattori di botti e fuochi pirotecnici è spuntata una nuova voce a supporto: con il dispendio economico, che potrebbe essere destinato altrove, anche l’intrinseca pericolosità dello spettacolo. Che ieri l’altro ha portato persino alla denuncia del responsabile dei fuochi costati un ettaro e mezza di vegetazione, tra le Fumarole e Sant’Angelo.
Per la verità il tema è caldo, non solo a Ischia. Qui da noi aveva già portato alla storica frattura tra Salvatore Ronga, direttore artistico della penultima edizione della Festa di Sant’Anna, e l’amministrazione comunale di Ischia, che non avrebbe voluto il sacrificio dei botti.
Altrove, c’è chi ha tagliato la voce senza troppi rimorsi: a Milano, per esempio, il sindaco Pisapia aveva optato per un Capodanno a prova di botti firmando un’ordinanza ad hoc per mettere al bando in tutta la città e per tutto il periodo natalizio fino alla mezzanotte del primo giorno del 2015 “fuochi artificiali, petardi, botti, razzi” e altri strumenti “pirotecnici”. Il tutto al fine, dichiarato, di “tutelare il benessere e la salute delle persone e degli animali”. Ai trasgressori una multa che può variare dai 25 ai 500 euro.

HAI CAPITO FIGLIOLIA…
Ma c’è un esempio, decisamente più vicino alla nostra isola, che dovrebbe fare riflettere: perché il sindaco di Pozzuoli, Vincenzo Figliolia, non certamente uno benvoluto da queste parti, ha firmato – lo scorso settembre – un’ordinanza con la quale vieta su tutto il territorio comunale, “sia di giorno che di notte”, di accendere fuochi d’artificio, petardi, mortaretti e altro materiale esplodente. E il divieto riguarda anche tutti i ristoranti, bar, stabilimenti balneari, pubblici esercizi o strutture adibite ad attività di svago e ricreazione. I quali, nel dettaglio, non possono “accendere e/o consentire ai propri ospiti l’accensione dei fuochi d’artificio o altro materiale esplodente in assenza della preventiva licenza dell’Autorità di pubblica sicurezza e della comunicazione preventiva al Comune”.
Il provvedimento, spiegano i bene informati, sarebbe stato adottato in seguito alle numerose lamentele giunte in Comune da parte di molti cittadini per l’esplosione sconsiderata di fuochi d’artificio in tutte le ore del giorno e della notte e in considerazione degli effetti negativi che i botti procurano sul quieto vivere civile, soprattutto a danno dei soggetti deboli. E anche in questo caso le sanzioni dovrebbero dissuadere dall’irrefrenabile tentazione di sparare i botti: i trasgressori dell’ordinanza sono infatti puniti con una sanzione da 25 a 500 euro, mentre la pubblica attività rischia una sospensione da 3 a 15 giorni qualora allo stesso esercente vengano contestate due violazioni alle disposizioni contenute nell’ordinanza. Una sanzione di non meno 500 euro è prevista anche per chi sporca la pubblica via con “materiali combusti e/o incombusti residuati dalle esplosioni non autorizzate”. E come se non bastasse l’accensione non autorizzata di materiali esplosivi e rumorosi comporta l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 39 del Regolamento acustico del Comune di Pozzuoli, approvato con deliberazione del Consiglio comunale numero 54 dell’11 giugno 2014.

LA TRADIZIONE DI CASA NOSTRA
Insomma, la tutela della pubblica tranquillità, del decoro, della pulizia delle strade – in centro e in campagna – ha convinto Pozzuoli allo strappo. Ma qui ad Ischia sarebbe ipotizzabile (e auspicabile, va da sé) un’azione del genere? Il tema, da queste parti, è caldissimo. E divide, altroché.
«Ho letto post in cui si difende l’uso dei fuochi pirotecnici, direi l’abuso di fuochi pirotecnici, in nome delle tradizioni e di una abusata idea che i fuochi siano un’attrazione turistica – ha scritto Salvatore Ronfa –
Questo è vero per la Festa di San Michele a Sant’Angelo, ma non per gli altri eventi che si svolgono sull’isola. E mi sorprende che chi si occupa di turismo, anche rivestendo ruoli di responsabilità, non si accorga che in altre località si sia provveduto da tempo a trasformare lo spettacolo pirotecnico in uno spettacolo di luci e suoni che non arrechi danni ai monumenti ( anche le colline a Ischia sono monumenti), agli animali e alla salute dei cittadini.
L’abuso dei fuochi pirotecnici, il cattivo uso che se ne fa, con spettacoli spesso di dubbio gusto per la qualità dell’accompagnamento musicale, per la povertà di coerenza artistica, il più delle volte serve a coprire e a nascondere il vuoto totale di contenuti. E ripeto, non è il caso della Festa di San Michele. E mi chiedo uno spettacolo simile quale tipo di turista possa attrarre.
La festa di Sant’Anna è stata negli anni affossata da questa mania dei fuochi: poco importa lo spettacolo delle barche, magari raffazzonate all’ultimo momento, poco importa la totale assenza di programmazione, basta chiamare un bravo fuochista, sparare i botti, e siamo tutti contenti. Lo spettacolo dei fuochi è risolutivo e viene prima di tutto. Lo stesso vale per la festa del porto. Si svuota il porto per questo. Quale rievocazione storica se non quella di spendere budget spropositati per rievocare la storica passione degli isolani con il naso per aria? Con buona pace del re Borbone che va a pesca o che passeggia per il corso travestito, in una inconsapevole, me lo auguro, deriva neoborbonica e monarchica.
A tutto ciò bisogna aggiungere il delirio delle feste patronali, piccole e grandi. La più piccola parrocchia rivendica la propria identità sparando botti e gareggiando con la parrocchia vicina. Colpevoli e complici i parroci che predicano dall’ambone e che per non scontentare i fedeli cedono o addirittura alimentano la furia bombarola. Mentre invece potrebbero fare ben altro.
Non bastano gli incidenti, non bastano gli incendi. E’ il popolo che lo vuole. E’ il turista che lo vuole. Ma quale turista? Che tipo di turista? Ve lo siete chiesto?
A stagione turistica conclusa, posso dirmi contento, contento di aver rifiutato la direzione artistica della Festa di Sant’Anna per non aver voluto cedere alle pressioni di chi invocava i botti come unica ed esclusiva priorità, disconoscendo la qualità dello spettacolo di fuochi dell’edizione 2014, uno spettacolo bello, elegante, non pericoloso, coerente con la “narrazione” della Festa e applaudito dal pubblico nella baia».

UN MILIONE IN FUMO
Ma in molti gonfiano il petto per lo spettacolo. Apprezzato dai turisti, come nel caso della Festa del Porto. Ecco, ma quanto costa all’isola assecondare la tradizione, per concludere col proverbiale botto la Festa patronale? Un milione di euro all’anno, se contiamo gli eventi di ogni tipo, pubblici e privati. Sacrificati all’altare delle celebrazioni. Un budget che non sembra risentire della spending review. Quasi a dire che Comuni, Regione, Diocesi e singoli Parrocchie destinano ai fuochi artificiali.
Lo scorso maggio la levata di scudi arrivò addirittura dal presidente provinciale di Confcommercio, Pietro Russo, isolano doc. Che rischiò quasi la scomunica: «Gli stessi Santi sarebbero più felici se i soldi venissero investiti nel recupero delle chiese e dei tanti tesori artistici dell’isola. Un segnale di giubilo è più che accettabile, ma quella che è diventata una vera e propria competizione a chi la spara più grossa rappresenta, oggi, il colmo del disprezzo in questa nostra asfittica economia. Per quanto concerne l’afflusso turistico o di concittadini di altre località, i soli a tranne qualche esiguo beneficio sono gli ambulanti che vengono da fuori e che poi si portano il ricavato nelle proprie terre! Quindi anche un danno all’economia locale». Apriti cielo. Con o senza botti, naturalmente. E tutti a chiedersi, in quella circostanza come oggi, se sia giusto ed opportuno che la tradizione fortemente cattolica del nostro territorio, che si traduce nel festival dei campanili e in sessantasei chiese, appartenenti a venticinque distinte parrocchie, disseminate sull’isola, si traduca in un’orgia di luci e suoni, nello spettacolo pirotecnico parallelo ai riti di devozione, eppur così distante. Inno al paganesimo che si intreccia con il cattolicesimo. Sparando in aria. E ancora: fino a che punto la vocazione turistica della nostra realtà può e deve suggerire, quando non incentivare, una spesa extra – spesso decisamente consistente – per “regalare” agli ospiti l’effervescenza dei fuochi d’artificio, da seguire e immortalare? E’ davvero parte fondante dello spettacolo quel rituale spesso così simile, ancorché impreziosito dai riflessi sul nostro mare, e che abbraccia bombe da tiro-spolette-cartoccio-polvere da spacco-mortaio-passafuoco-stelle-cannoli o cannelli e via dicendo (una vera e propria orgìa di forme e colori, con termini gergali ai più sconosciuti), raggiungendo l’acme con pioggia e pupatella, strenta o fuga? Papa Francesco potrebbe dare disposizioni, nel qual caso – in linea con i dettami del nuovo Pontificato – Ischia finirebbe magari con il tremare. Non che abbia sin qui sortito effetti la direttiva del 2013 della Conferenza episcopale campana. Che aveva posto un freno, almeno nelle intenzioni, alla degenerazione di feste religiose a carattere popolare e processioni. Fissando regole e criteri per l’organizzazione e lo svolgimento. Nel documento firmato da Crescenzio Sepe si leggeva, tra le altre cose, come l’equilibrio tra il momento liturgico e il momento ludico della festa debbano essere «frutto di un sapiente dosaggio». E ancora: «Ogni nuova festa necessita di espressa autorizzazione dell’Ordinario» e deve concludersi con «la preparazione di un gesto di solidarietà». Ma soprattutto: «non è concepibile che una festa religiosa si riduca a manifestazione paganeggiante, con sperpero di denaro per cantanti e fuochi d’artificio». Parole recepite poco a Ischia. Del resto in pochi immaginerebbero un parroco che qui, come fece il vescovo della Diocesi di Noto, Antonio Staglianò, durante l’omelia della celebrazione eucaristica tuoni convinto: «Belli i fuochi d’artificio durante le feste, sono coreografici. Ma come la mettiamo con coloro che muoiono di fame mentre noi sprechiamo i soldi per queste cose. Cosa diciamo, noi gente di chiesa, a queste persone che soffrono mentre noi spendiamo migliaia di euro per i fuochi d’artificio. La cosa grave – ha incalzò – è che queste spese le sosteniamo con i soldi della gente. Le persone anziane ci danno i soldi delle loro pensioni a mo’ di offerte e noi spendiamo le pensioni della gente per i fuochi d’artificio. E’ ora di dire basta».

SE SPARANO ANCHE GLI ALBERGHI
Ma la deriva non è certo solo espressione di riti cattolici. Anzi. I nostri alberghi sembrano gradire particolarmente la soluzione pirotecnica a conclusione di serate culinarie o danzanti. E il mese di agosto, in particolare, è un inno ai fuochi. Di ogni tipo. In ogni dove. Il 73% dei nostri lettori chiamati a rispondere al sondaggio promosso dal “Dispari” li definì eccessivi. «I fuochi pirotecnici,cosiddetti d’artificio, li trovo sempre più monotoni,stantii e noiosi – spiegò, per esempio, Cesare Di Scala – Le nostre baie, quasi sempre utilizzate come location per festeggiamenti dei nostri Santi,si presterebbero ad una tipologia di intrattenimento diverso e più coinvolgente. Ad esempio concerti musicali su zattere poste di fronte alla costa. In special modo a Sant’Anna,lasciando solo l’incendio, del castello e della baia circostante». Un’idea, per la verità, già sperimentata. «Confesso – spiegò Nicola Manna – che sono un cattolico osservante, e ci tengo a partecipare alle feste patronali. Accade, però, che spesso mi soffermo sulla utilità di manifestare la propria gioia attraverso i fuochi pirotecnici. La fede, va vissuta intimamente, ma, forse, qualcuno, per mettere d’accordo tutti, laicamente parlando, ha pensato a inserire nei programmi delle festività la serata dedicata ai botti. Credo che non bisogna mai esagerare. Certo, i fuochi possono attirare l’attenzione di qualche turista, ma quei soldi potrebbero essere utilizzati veramente in modo più efficace». «Ancora una volta occorre citare Voltaire? – si chiese Giuseppe Del Monte – “Non approvo quello che dici, ma mi farei uccidere per fartelo dire.” Ognuno è libero di spendere i “propri” soldi come meglio crede, attenzione però che non siano della comunità, ovvero fondi regionali e statali, come spesso accade, soldi “nostri” concessi per le più futili e banali sagre di paese». Ecco, ma non manca chi difende a spada tratta tradizione e botti. Come Giovan Giuseppe Sorrentino, legato in particolare alla storia della madre di tutte le feste, Sant’Anna: «I fuochi rappresentano la tradizione , la tradizione la storia e nello stesso tempo le origine delle stesse feste, e penso a Sant’Anna con le sfilate su barche allegoriche». Sulla stessa lunghezza d’onda Vito Esposito: «Sono le leggi di mercato: coi fuochi non si fa altro che fare spettacolo. Gli spettacoli non fanno altro che attirare persone. Le persone non fanno altro che spendere soldi. I commercianti guadagnano i soldi e fanno guadagnare soldi a chi lavora per loro». Niente da fare, allora: l’isola è spaccata. Quelli di Sant’Angelo erano gli ultimi fuochi. Della stagione estiva, naturalmente. Perché il dibattito – scommettete – è destinato a infervorarsi. Ne sentiremo ancora delle belle. In cielo e in terra. Amen

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