martedì, Marzo 11, 2025

I Dazi USA sulle navi cinesi minacciano lo shipping italiano

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Un’imposta fino a 3,5 milioni di dollari per scalo: le paure dei marittimi

Leo Pugliese | L’industria dello shipping italiano si trova di fronte a una nuova sfida che potrebbe avere conseguenze pesantissime per il commercio internazionale. L’amministrazione Trump ha annunciato una proposta di tassa sulle navi costruite in Cina, che potrebbe arrivare fino a 3,5 milioni di dollari per ogni ingresso nei porti statunitensi. L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre la dipendenza della flotta globale dalla cantieristica cinese e incentivare la produzione navale americana, ma il provvedimento rischia di colpire duramente anche gli armatori italiani, da anni legati ai cantieri asiatici per la costruzione delle proprie unità.

L’iniziativa, avanzata dall’Office of the United States Trade Representative (USTR), prevede tre livelli di tassazione:
1 milione di dollari per ogni ingresso di una nave gestita da un operatore cinese.
Fino a 1,5 milioni di dollari per ingresso se la nave è stata costruita in Cina, indipendentemente dalla nazionalità dell’armatore.
1 milione di dollari per ingresso se l’operatore ha in ordine nuove navi nei cantieri cinesi.
Nel caso peggiore, una nave costruita in Cina, gestita da una compagnia cinese e con nuove unità in costruzione nel Paese, potrebbe pagare fino a 3,5 milioni di dollari per ogni scalo in un porto USA. Un costo che potrebbe compromettere l’equilibrio economico delle principali rotte commerciali.

La tassa americana potrebbe avere un impatto particolarmente forte sull’industria marittima italiana. Secondo uno studio di Confitarma, l’associazione che rappresenta gli armatori italiani, attualmente il 17,9% della flotta controllata dall’industria armatoriale italiana è stato costruito in Cina. Il dato diventa ancora più allarmante se si considerano le nuove commesse: l’84,6% delle navi in costruzione per gli armatori italiani proviene da cantieri cinesi.
Per alcune tipologie di imbarcazioni, la dipendenza dalla Cina è pressoché totale: 99,3% delle navi per il trasporto di carichi secchi. – 100% dei traghetti e delle portacontainer attualmente in costruzione – 90% delle chimichiere – 41% delle gasiere.

Questo scenario mette in evidenza una realtà consolidata negli ultimi decenni: la cantieristica navale europea è quasi scomparsa nel settore delle navi mercantili, con la stragrande maggioranza delle nuove costruzioni affidate a Cina e Corea del Sud.
A rendere ancora più critico il quadro è il ruolo degli Stati Uniti nel commercio italiano. Gli USA rappresentano il primo mercato di destinazione per le esportazioni italiane e il secondo per le importazioni dopo la Cina. Una tassa così elevata sulle navi potrebbe tradursi in un aumento dei costi per le compagnie di navigazione, con inevitabili ripercussioni sui prezzi finali dei beni importati ed esportati.
Il mondo dello shipping italiano si è immediatamente mobilitato contro questa proposta. Luca Sisto, direttore generale di Confitarma, ha espresso profonda preoccupazione:

“Pensare che una nostra nave, solo perché costruita in Cina o operata da un nostro armatore con ordini in quei cantieri, debba pagare fino a un milione di dollari per ogni scalo in un porto americano è un problema enorme”. Secondo Sisto, la tassa rappresenta una nuova barriera al commercio internazionale, che va a sommarsi alle difficoltà già esistenti per il trasporto marittimo, dalle tensioni geopolitiche agli attacchi ai mercantili nel Mar Rosso.

Anche Stefano Messina, presidente di Assarmatori, invita alla prudenza, ma non nasconde la preoccupazione: “Il trasporto marittimo ha sempre dimostrato di sapersi adattare, ma una mossa del genere alzerebbe ulteriormente i costi e potrebbe portare a una diversificazione delle rotte e una riduzione degli scali negli USA”.
Uno degli armatori più esposti è MSC, leader mondiale nel trasporto marittimo. Secondo i dati di Linerlytica, l’11% della sua flotta è composto da navi costruite in Cina, mentre il gruppo continua a investire nei cantieri asiatici per il futuro.
Il CEO di MSC, Soren Toft, ha stimato che la tassa, se approvata, potrebbe far aumentare i costi di trasporto fino a 400-600 dollari per container. Questo perché una portacontainer standard da 10.000 TEU sulla linea Trans-Pacific (Asia-USA East Coast) effettua in media tre scali negli Stati Uniti per ogni viaggio, con un costo aggiuntivo che potrebbe superare i 4 milioni di dollari a rotazione.

Per evitare questa imposizione, le compagnie potrebbero decidere di ridurre il numero di scali negli Stati Uniti, concentrando le operazioni su porti selezionati o addirittura rivedendo le rotte commerciali. Il rischio, però, è che i maggiori costi si riflettano sui prezzi finali per i consumatori americani.
Per il momento, la tassa sulle navi cinesi resta una proposta e non è ancora chiaro in che modo verrà applicata. Tuttavia, il solo annuncio ha già messo in allarme il settore marittimo internazionale.
Se la misura dovesse entrare in vigore, potrebbe ridisegnare le rotte commerciali globali, penalizzando fortemente gli armatori italiani e facendo aumentare i costi per il commercio con gli Stati Uniti. Le prossime settimane saranno decisive per capire quali strategie adotteranno le compagnie di navigazione per affrontare questa nuova sfida.

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  • Articolo realizzato dalla Redazione Web de Il Dispari Quotidiano. La redazione si occupa dell'analisi e della pubblicazione fedele degli atti e dei documenti ufficiali, garantendo un'informazione precisa, imparziale e trasparente. Ogni contenuto viene riportato senza interpretazioni o valutazioni personali, nel rispetto dell’integrità delle fonti e della veridicità dei fatti.

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