La POLPA E L’OSSO di Francesco Rispoli | Non sentiamo il tarlo che rode il legno, non ci accorgiamo della crisalide che diventerà farfalla, non percepiamo l’intasarsi delle arterie della Storia. Avremmo preso per una testa calda chi, nell’ottobre dell’89, avesse detto che il Muro di Berlino sarebbe assai presto crollato e che al posto dei caduti muri ideologici sarebbero sorti altri muri etnici e sociali, rozze chiusure, gretti e soffocanti micro nazionalismi. C. Magris, Istantanee, 2016.
L’“identità” nella storia del pensiero attraversa alcune tappe rilevanti. Per Goethe, per i romantici era – un po’ come nelle sacre scritture – lo sviluppo dei talenti: “diventiamo quello che siamo”. A partire da Nietzsche “siamo quel che diventiamo”, come accade per il volto del pescatore bruciato dal sale e dal sole. Per altri pensatori (Heidegger, Deleuze e altri) l’identità si dà “per differenza”.
Infine Derrida ci parla di “différance” (differanza): una differenza che differisce. Siamo differenti, ma con il confronto diventiamo più simili … o più diversi: in conto, infatti, va messo anche il conflitto. Cambiamo continuamente!
La condivisione nasce dal “dia-logo” non dal “logos”: “beziehung ist alles” (tutto sta nella relazione) scrive Thomas Mann nel Doctor Faustus (1947).
Indicando – a chi fosse interessato – la lettura del bel libro di F. Remotti “L’ossessione identitaria” (2010), l’identità – quando parliamo, ad esempio, di paesaggio – si situa entro una storia che ha oggi accelerazioni assai maggiori che in passato. I paesaggi della “lunga durata” del Mediterraneo di un tempo non sono certo quelli di oggi! L’affascinante geografia, la “scrittura del suolo” frutto di una storia “a pendenza lieve” mostrataci da Fernand Braudel e dalla “Nouvelle Histoire” delle “Annales” – per quel che resiste la troviamo al riparo dal consumismo turistico.
Così, ad esempio, per trovare “quel” Mediterraneo nel Salento piuttosto che a Otranto, Santa Maria di Leuca o Gallipoli – sulle coste, cioè, martoriate dal turismo consumista – dobbiamo andare all’interno, dove interminabili uliveti mostrano ancora un tempo quasi immobile!
E allora che cos’è l’identità? Quella che specie nei luoghi turistici mostriamo con vecchie cartoline? Fotografiamo fotografie! È un doloroso paradosso: per mostrare la nostra identità – per dire “quel che siamo” – non ci resta che l’immagine di “quel che non siamo più”.