Raffaele De Maio
Caro Direttore,
non so se ci sarà spazio sul tuo giornale per queste considerazioni, ma sinceramente non riesco più a sopportare la gogna mediatica che si è abbattuta su Ischia a seguito del sisma di Casamicciola e del recente “decreto Genova”, in cui sarebbe stato inserito anche un improbabile condono edilizio che riguarderebbe gli immobili distrutti o danneggiati dal terremoto del 21 agosto 2017.
Dalle date dei suddetti eventi l’isola d’Ischia è divenuta per la politica italiana, per i mass media nazionali, per alcuni settori della magistratura e per buona parte di un’opinione pubblica “disinformata” , il buco nero dell’abusivismo nazionale che attira e assorbe continuamente un bla bla bla di denunce e lamentele fine a se stesso, ma a cui non segue mai un’analisi e una proposta seria che dia risposta ai danni provocati dal sisma e dall’abusivismo isolano. Per quest’ultimo, che è bene ricordare essere un fenomeno endemico di molte realtà territoriali nazionali (comprese anche alcune aree del civile e progredito nord Italia) favorito per decenni da una mancata programmazione politica del territorio (per fini elettorali!), nessuno si è assunto o si assume responsabilità e indica soluzioni, tranne il condannare e invocare abbattimenti. Per quanto riguarda Ischia, nessuno evidenzia che il suo territorio, in quanto isola, ha limiti territoriali non espandibili, con l’aggravante della sua conformazione territoriale vulcanica con alcune zone ad alto rischio sismico dove è già vietato costruire. Ora, in un catino di 46 Km2 circondato dal mare, dove al centro si trova una vasta area occupata da un vulcano spento, con alcune zone al alto rischio sismico, il territorio usufruibile “in sicurezza” per una popolazione di circa sessantaquattromila persone si riduce di moli metri quadrati procapite, considerando anche il fatto che tale territorio è porzionato in sei comuni che, a seconda delle circostanze erigono barricate tra loro!. In tale situazione, senza una pianificazione territoriale univoca cosa deve fare una popolazione per avere uno spazio vivibile in sicurezza dove potersi accasare? Questa risposta è da dare ai giovani locali che vogliono costruirsi una famiglia e a tutto il settore turistico e al suo indotto, che attualmente rappresenta l’unica possibilità di lavoro sul territorio. Diversamente l’alternativa è migrare altrove. L’idea romantica dell’isola medioevale arroccata sul castello e delle campagne limitrofe spopolate con pochi abitanti sul resto del territorio, o le immagini ed i racconti del Gran Tour che facevano dell’isola un’arcadia per letterati ed artisti è stata superata da molti e molti decenni in nome del progresso e di un’economia turistica che deve essere al passo con i tempi senza la quale faremmo tutti la fame! Dal medioevo ad oggi la popolazione indigena è cresciuta di anno in anno, popolando l’intera isola con nuovi insediamenti ed attività. A ciò, in anni recenti, si è aggiunta anche una porzione di popolazione proveniente dal continente che ha favorito l’apertura di nuovi insediamenti commerciali a dismisura senza che nessuno pianificasse seriamente questa ineluttabile crescita che ha saturato l’intero territorio, dove oggi non è più possibile trovare neancheun sito intercomunale idoneo dove selezionaree smaltire la “monnezza” che il progresso della civiltà d’oggi ci impone!
Se tutto ciò si può e si deve risolvere solo con gli abbattimenti o con i condoni come superficialmente molti pontificano, i vari soggetti in causa devono dirci:
1 Dove abbattere e come farlo
2 Con quali risorse
3 Dove poter ricostruire in sicurezza su un territorio così porzionato
4 Quale edilizia popolare antisismica può essere messa in campo per dare risposte agli sfollati d’oggi e alle future generazioni in cerca di casa
5 Quale politica territoriale si vuole attuare per eliminare l’abusivismo su un territorio insulare non più espandibile se non su palafitte! Solo dando risposte concrete a queste domande e alle molte altre che la problematica contempla, si può cercare di venire a capo di una pianificazione territoriale che la saturazione degli spazi oggi esige.
P.S.: E’ inoltre da ricordare che il territorio isolano, tranne qualche esproprio per opere pubbliche, è costituito da tantissima terra (a monte e a valle) proprietà privata ereditata nel corso dei secoli dagli avi degli indigeni e su cui quest’ultimi (tranne alcune occasioni speculative di mercato) hanno costruito un proprio nucleo abitativo, fatto non più da una stanza, un cesso esterno e un cortile dove vive la famiglia patriarcale di una volta, ma da una casa decente dove poter vivere secondo i canoni di una civiltà moderna.
Se solo abbattere o condonare è la panacea di tutti i mali, come molti dicono, temo che l’abusivismo abitativo resterà per forza di cose ancora per anni la soluzione soggettiva locale e nazionale per dare risposta al proprio vivere.